Alla presentazione in Parlamento della fondazione dedicata Giulia Cecchettin, la 22enne uccisa un anno fa dal suo fidanzato Filippo Turetta, le parole dell’inadeguato e impresentabile Giuseppe Valditara provocano sconcerto e indignazione
Di fronte a quanto avvenuto in Parlamento in occasione della presentazione della fondazione dedicata alla memoria della povera Giulia Cecchettin, la 22enne uccisa un anno fa dal suo fidanzato Filippo Turetta, non è più in ballo una questione di destra e sinistra, di opposte fazioni politiche. C’è innanzitutto una questione di rispetto della memoria di chi è morta così tragicamente ma anche e soprattutto del rispetto e della comprensione del dolore, profondo, lancinante e impossibile da scacciare o attenuare, di chi è rimasto. Pensiamo innanzitutto a papà Gino che, propria in memoria della figlia, si è impegnato in questa iniziativa di così grande valenza sociale, con una fondazione che si occuperà di progetti di formazione ed educazione all’affettività. Ma anche della sorella Elena, da un anno più sola, a cui la folle violenza di un uomo ha strappato un pezzo importante e insostituibile della sua vita.
Infine è anche e soprattutto una questione di sensibilità e di umanità che devono prevalere su ogni cosa, a maggior ragione sulla rivendicazione di determinate posizioni politiche, quando di fronte ci si trova chi ha vissuto e porta i segni indelebile di una simile tragedia. Per questo non ci possono essere alibi e giustificazioni e lo sdegno dovrebbe essere univoco, a prescindere dalle legittime simpatie politiche, di fronte alle parole pronunciate da chi riveste una così importante carica istituzionale e che in queste circostanze dovrebbe rappresentare e farsi portatore del sentimento profondo di tutto il paese. Anzi, in questo caso la richiesta convinta e irrevocabile di farsi immediatamente da parte dovrebbe arrivare con maggiore veemenza proprio dalla parte politica di provenienza del soggetto in questione, il signor Giuseppe Valditara, che ci rifiutiamo di chiamare “ministro” perché a nostro avviso ha dimostrato di non essere adeguato e degno di rivestire quella carica istituzionale.
Proprio quella sensibilità, quell’umanità a cui abbiamo fatto riferimento, unite a quella dignità che ogni credo politico dovrebbe avere, dovrebbero provocare profonda vergogna in chi, in buona fede, pensava di sentirsi rappresentato da quell’esponente leghista. In qualsiasi altro posto civile al mondo, 5 minuti dopo l’accaduto sarebbe stato invitato dalla sua stessa parte politica, dai massimi esponenti del suo stesso governo a farsi immediatamente da parte. Ma sappiamo bene che nel nostro paese la politica e gli esponenti politici precipitano ogni giorno sempre più in basso, costringendoci a spostare ogni volta sempre più quello che dovrebbe essere il fondo. Quindi dimissioni o allontanamenti da posti di potere e di comando non sono previsti neppure nei casi peggiori, tanto che a questo punto quasi siamo costretti a rivalutare Sangiuliano che almeno ha avuto la decenza di dimettersi.
Per quanto può contare, però, dopo le parole che il signor Giuseppe Valditara ha pronunciato, per altro registrate e trasmesse con un video (quindi con l’aggravante di aver avuto tutto il tempo per pensare a cosa dire…), in occasione della presentazione della fondazione Cecchettin non ci sentiamo più in alcun modo rappresentati da quello che ci rifiutiamo di chiamare ministro. Perché le sue parole sono gravi e inaccettabili in assoluto ma incredibilmente fuori posto e totalmente inopportune in quel contesto, pensando a chi erano rivolte. Ancor più in considerazione del fatto che, consapevolmente o meno (e nel caso non sappiamo quale sarebbe l’ipotesi peggiore…), quelle parole hanno riportato a galla una pretestuosa e inopportuna polemica che esponenti del suo partito avevano sollevato nei confronti della famiglia Cecchettin, ed in particolare della sorella Elena, incredibilmente nei giorni del dolore, nelle ore successive all’omicidio di Giulia. Per altro non si può fare a meno di sottolineare come quelle pronunciate da Valditara sarebbero comunque state parole sconcertanti e del tutto fuorvianti in assoluto, in qualsiasi altro contesto fossero state pronunziate.
Con la pesante aggravante che, quando si rivestono determinati ruoli istituzionali, bisognerebbe avere la decenza di informarsi correttamente prima di “sparare a caso”. “Esistono due strade, una concreta e l’altra ideologica” ha affermato Valditara in quel video con chiaro riferimento, nel secondo caso, alla lotta al patriarcato. “Massimo Cacciari indubbiamente esagera quando dice che il patriarcato è morto 200 anni fa. Il patriarcato come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975”. La risposta migliore l’ha data il giorno successivo, in un’intervista al “Corriere della Sera”, proprio Gino Cecchettin. “Non è che se neghi una cosa questa non esiste – ha spiegato – il ministro ha parlato di soprusi, di violenze, di prevaricazione. E’ esattamente quello il patriarcato ed è tutto ciò che viene descritto nei manuali. E’ la parola oggi che mette paura, patriarcato spaventa di più di guerra. E’ un problema sociale, non ideologico. Quando ci riapproprieremo tutti del significato di questa parola vorrà dire che avremo fatto metà della strada”.
Al di là della perfetta risposta del padre di Giulia, per quale dannata ragione Valditara parla con quei toni (dal nostro punto di vista a sproposito, per altro…) di patriarcato alla presentazione di una fondazione che ha come obiettivo promuovere progetti di formazione ed educazione all’affettività? In un paese dove la memoria è ormai un optional in pochi l’avranno compreso ma, per spiegare l’arcano, bisogna tornare indietro ad un anno fa, ai giorni dell’omicidio della povera Giulia quando le parole della sorella Elena proprio sul patriarcato (“Turetta è figlio di questa società, è un figlio sano del patriarcato, della cultura dello stupro”) provocarono la reazione scomposta e fuori luoghi di diversi esponenti leghisti, compreso il vice presidente del Consiglio Salvini.
Al quale la stessa Elena Cecchettin rispose con decisione, accusandolo di essere severo solo quando ad essere accusati di omicidio sono gli immigrati e non quando si tratta di un bianco italiano, come nel caso di Giulia. Comunque la si pensi (senza ipocrisia, noi condividiamo quella posizione), all’epoca bisognava avere la decenza di comprendere lo stato di quella ragazza che aveva visto uccisa in quel modo la sorella. Invece nei confronti di Elena Cecchettin esponenti leghisti e i soliti giornali di destra montarono allora una vergognosa campagna di fango, addirittura costruendo la folle menzogna sul presunto satanismo della ragazza. Un anno dopo, alla presentazione della fondazione Cecchettin, Valditara, consapevolmente o meno, del tutto inopportunamente ripercorre quella strada, quella polemica, prima sul patriarcato, poi sugli immigrati.
“Occorre smettere di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e devianza in qualche modo discendenti dall’immigrazione illegale” ha infatti aggiunto. Con tutto il rispetto una “castroneria” del tutto fuori luogo, considerando che la fondazione è intitolata ad una ragazza uccisa da un italiano, completamente priva di fondamento, visto che tutti i dati ufficiali dimostrano esattamente il contrario, da quelli dei centri antiviolenza Di.Re a quelli del rapporto Istat che certificano come tra l’85% e il 90% di quei casi avvengono in ambito familiare, per opera di italiani.
“Se si ascoltasse invece di fare propaganda alla presentazione della fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un ragazzo bianco, italiano e per bene, forse non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro paese ogni anno” ha amaramente commentato Elena Cecchettin. Impossibile non sottoscrivere.