“Doppietta” alla regionali, lezione per la Meloni, la destra e… per i “bambini” capricciosi del centrosinistra
Se in Emilia Romagna la vittoria era scontata, in Umbria ci si attendeva un “testa a testa”. Invece non c’è stata storia e non è servito alla destra “imbarcare” anche Bandecchi pur di provare a vincere. Ad ulteriore conferma che la destra non è affatto maggioranza nel paese
Contrordine compagni, l’astensionismo è un problema serio e rende poco significativi e credibili i risultati delle elezioni regionali. Come folgorati sulla via Damasco, lo hanno improvvisamente scoperto esponenti politici e giornali di destra lunedì 18 novembre nel primo pomeriggio, come lo spoglio in Emilia Romagna e Umbria ha subito reso chiaro quale sarebbe stato il risultato finale. “Si nascondono dietro l’astensionismo per mascherare la sconfitta e per non ammettere che gli italiani sono con questo governo” sosteneva con la sua solita spocchia Italo Bocchino, direttore del giornale del partito della Meloni (“Il Secolo d’Italia”), in uno dei suoi tanti interventi televisivi 20 giorni fa, dopo le elezioni regionali dove avevano votato il 45,8% degli aventi diritto.
Nella serata di lunedì 18 novembre il suo giornale, a proposito delle elezioni regionali, apre con la notizia del consistente astensionismo, mentre esponenti politici di destra dal pomeriggio hanno fatto a gara per sottolineare come, con quelle percentuale di votanti (52,3% in Umbria e 46,2% in Emilia Romagna), non era possibile fare alcuna seria analisi politica del voto come, invece, era stato fatto dopo la Liguria, con una percentuale di votanti minore. Ma cosa mai sarà cambiato rispetto a 20 giorni fa? Molto semplice, il risultato finale, in Liguria ha vinto la destra di un’incollatura (1,4%, poco più di 8 mila voti di differenza), in Emilia Romagna e Umbria ha vinto il centrosinistra, nel primo caso con quasi il 17% e 300 mila voti in più, nel secondo con il 5% e poco meno di 20 mila voti in più. Tanto a destra sono convinti che i loro elettori e, più in generale, gli italiani sono quanto meno distratti (per non dire altro) e, quindi, gli si può raccontare tutto e il contrario di tutto, senza problemi.
Naturalmente, a prescindere da chi poi vince, il fatto che ormai a qualsiasi tornata elettorale nel nostro paese quando va bene si reca alle urne un elettore su due è sicuramente un dato eclatante e allo stesso modo sin troppo significativo per essere così banalizzato o, tanto meno, per essere sottovalutato. Servirebbe una seria riflessione comune perché, al di là del fatto che non è certo in discussione la legittimità a governare (il paese, la regione, il comune) di chi vince pur con così basse affluenze, non è certo un bel segnale che praticamente la metà dei cittadini sono disaffezionati e sono convinti che non cambia nulla che governi una o l’altra parte politica.
Tornando all’analisi politica del voto e lasciando da parte l’Emilia Romagna, dove risultati alla mano la destra avrebbe perso anche se si fosse presentato il Pd da solo (42,9% contro il 40,1% di tutta la destra), guardando all’Umbria e facendo il paragone con la Liguria la differenza è sotto gli occhi di tutti: da una parte il centrosinistra si è presentato unito, dall’altra per i “capricci” da bambino bizzoso di uno dei suoi leader senza alcuni pezzi. Ed è solo grazie a questo incomprensibile autogol che la destra che è al governo ha evitato un pesante 0-3. Ma il dato politico che emerge è tanto chiaro quanto poco sorprendente. Perché non è affatto una novità, anzi, è la storia degli ultimi anni, dalle elezioni politiche del 2022 (comprese) in poi, che la destra non solo non è affatto maggioranza nel paese ma anche che vince quasi sempre solo perché dall’altra parte fanno le bizze e ci si divide. Che non sia maggioranza nel paese, nonostante i proclami che ripetono ad ogni elezione (anche di condominio) per loro positiva, lo dicono inequivocabilmente i numeri.
Non lo è in assoluto, perché con quasi il 50% di astenuti per essere maggioranza in senso assoluto la destra dovrebbe prendere più del 90% dei voti, ma non lo è neppure se si prendono in considerazione solo chi si reca alle urne. Non lo era neppure alle elezioni politiche del 2022 quando, prendendo a riferimento i risultati della Camera, la destra aveva ottenuto poco meno del 44% dei voti mentre l’area del centrosinistra (per intenderci partiti e movimenti che si sono presentati uniti in Emilia Romagna e Umbria) sommata arrivava al 48%.
Ed è ora di finirla anche di raccontare la favoletta che da una parte si uniscono perché sono simili e hanno programmi e progetti comuni, basta sentire parlare i vari leader della destra per rendersi conto di quanto siano profondamente differenti Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega che, però, non si fanno alcuno scrupolo e senza troppe storie si mettono insieme con l’unico obiettivo di vincere o, quanto meno, di non far vincere l’altra parte politica. E, come ha sottolineato perfettamente il prof. Saraceni, il problema nel campo del centrosinistra non riguarda solo partiti ed esponenti politici.
“Ieri abbiamo vinto in Umbria e Emilia Romagna – scrive in un post di commento al voto – i commenti di tanti elettori del centro sinistra sono stati di questo tenore: “eh ma questa non è vera sinistra”; “comunque hanno votato in pochi”; “si tratta di regioni rosse”. Ora, a parte il fatto che l’Umbria è stata riconquistata, mai come in queste occasioni appare chiara la grande differenza che separa l’elettorato di destra da quello di sinistra. In due anni di governo ne abbiamo viste di tutti i colori: gente indagata per reati di ogni tipo; amanti, parenti e amici che fanno carriera alla faccia del merito; dichiarazioni imbarazzanti e silenzi ancor più imbarazzanti sul fascismo. Il vuoto pneumatico in tema di sicurezza (sul lavoro), scuola e sanità. Investimenti ingenti in progetti del tutto inutili – come il ponte sullo stretto o i centri di prima accoglienza in Albania. Il settore dei trasporti paralizzato. Di fronte a tutto questo, loro sono rimasti impassibili, uniti, compatti. Mai una polemica, un passo indietro, un tentennamento. Tutti schierati con Giorgia: nessuno si dimette, nessuno ammette di avere mezza responsabilità, funziona tutto alla grande. Noi, invece, anche nella vittoria – figuratevi nelle sconfitte – ci teniamo a parlare male di noi stessi, a dividerci, a fare autocritica. Siamo “consapevoli”? No, siamo stupidi. Non abbiamo ancora capito le regole del gioco, non abbiamo compreso che il sistema è binario. Il PD ed MS5 sono alternativi ad una destra reazionaria, arrogante e nostalgica, che sta facendo e farà danni gravissimi al Paese. È così difficile da capire?”.
Non dovrebbe esserlo ma ancora non è così e c’è solo da sperare che le lezioni di Liguria e Umbria servano a far aprire gli occhi. Non è invece affatto difficile da capire quanto sia cocente per la Meloni e per la destra la sconfitta in Umbria. Nell’ultima settimana di campagna elettorale i rappresentanti del governo erano scesi in massa in Umbria (Giorgetti, Valditara, Salvini, la stessa presidente del Consiglio) convinti poi di potersi accreditare il sorpasso e la vittoria. La Meloni, in particolare, nell’ultimo comizio aveva sparato a zero contro Elly Schlein e il Pd, promettendo tutto il possibile all’Umbria.
Come se non bastasse, a conferma di quanto sostenuto dal prof. Saraceni, pur di vincere la destra non si era fatta alcuno scrupolo di imbarcare anche l’impresentabile (politicamente parlando) Bandecchi, al centro di mille polemiche per le sue esternazioni di dubbio gusto (per usare un eufemismo) e con su la testa una richiesta di rinvio a giudizio per evasione fiscale. Senza dimenticare che Bandecchi era diventato sindaco di Terni combattendo e facendo una durissima “guerra” contro la destra. Come se nulla fosse, però, per le elezioni regionali la stessa destra non ha esitato ad imbarcarlo nella coalizione, con la convinzione che avrebbe portato i voti necessari per il sorpasso e per la vittoria. Non è stato così, anzi, alla fine non c’è stato neppure il previsto “testa a testa”, la vittoria di Stefania Proietti e del centrosinistra è stata netta e il poco più del 2% ottenuto da Bandecchi è servito solo a rendere un po’ meno pesante il divario della destra dal centrosinistra.
Mentre lo show e la personalizzazione della sfida con Elly Schlein voluta dalla Meloni ha prodotto un risultato ancora più chiaro, il Pd che alle politiche era distaccato da FdI del 9% ha superato quota 30% (non accadeva da tempo in Umbria), con un clamoroso 11% in più rispetto al partito della Meloni, sotto il 20%. A testimonianza che forse anche il mito della Meloni invincibile nella propaganda elettorale è solo “una leggenda metropolitana”.
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