In Liguria, dopo le dimissioni di Toti, la destra era destinata alla sconfitta, con Orlando sostenuto dal cosiddetto “campo largo” dato per vincente. Poi sono iniziati i “capricci” di Conte che non può stare con Renzi ma solo in Liguria. E Giorgia Meloni e la destra ringraziano…
Come recita un famoso proverbio, “chi trova un amico, trova un tesoro”. E Giorgia Meloni e la destra di amici, per certi versi inattesi, ne trovano sempre più di uno tra quelle che, almeno in linea teorica, dovrebbero essere i loro principali avversari. Spesso sono Matteo Renzi e Carlo Calenda, questa volta in Liguria il migliore amico della presidente del Consiglio si è rivelato Giuseppe Conte. A cui indiscutibilmente va attribuito buona parte del merito della vittoria, fino a qualche tempo fa del tutto inattesa, del candidato governatore della destra, Bucci.
Quando, dopo le inevitabili dimissioni di Toti, erano state indette le elezioni regionali, non sembravano esserci dubbi sull’esito finale. Il cosiddetto “campo largo”, con candidato l’ex ministro Orlando, aveva la vittoria in pugno. I primi sondaggi non lasciavano dubbi e anche dopo la scelta della destra di puntare sul sindaco di Genova Bucci la situazione non cambiava, Orlando sostenuto da tutte le opposizioni all’attuale governo veleggiava ben sopra il 50% e con il 6-8% di vantaggio. Considerando le altre due elezioni regionali (di metà novembre), secondo tutte le previsioni l’ostacolo da superare per il “campo largo” per ottenere il 3-0 era considerato l’Umbria, visto che sull’Emilia Romagna non ci sono dubbi.
Però non si erano fatti i conti con la “sindrome di Tafazzi” che da sempre è la principale caratteristica di quello pseudo schieramento politico. E quando si parla del personaggio interpretato da Giacomo Poretti a “Mai dire gol” è praticamente automatico pensare ai due ex presidenti del Consiglio Matteo Renzi e Giuseppe Conte. In genere è soprattutto il primo a meritarsi il titolo “ad honorem” del Tafazzi della politica italiana. Ma pian piano Conte, di “tafazzata” in “tafazzata” sta seriamente mettendo a rischio il primato del leader di Italia Viva. Ed in Liguria neppure il più fedele alleato della Meloni sarebbe riuscito a compiere un simile capolavoro. Con Orlando che veleggiava nei sondaggi, il leader del Movimento 5 Stelle deve aver pensato che vincere così, senza patemi, fosse troppo semplice.
Così, non avendo niente di meglio da fare, ha pensato di complicare le cose, chiedendo che dalla coalizione in Liguria fossero esclusi Renzi e Italia Viva, con il sostegno del suo fido scudiero Marco Travaglio che, per dare corpo e sostanza a quello che è apparso subito un “capriccio”, ha sostenuto che politicamente Conte e il M5S non possono stare insieme a Renzi e che, oltretutto, così invece che guadagnare si sarebbero persi voti. In realtà tutti i sondaggi dimostravano esattamente il contrario (ma per il direttore de “Il Fatto Quotidiano” i fatti contano solo quando supportano le sue tesi…) e, soprattutto, quella presunta incompatibilità politica per qualche misterioso motivo valeva solo per Liguria, visto che in tante altre elezioni amministrative (comunali e regionali) M5S e IV sono andati e sono insieme, come accade per le prossime elezioni regionali in Umbria e Emilia Romagna.
Frantumato dai fatti, inequivocabili e indiscutibili, l’improbabile paravento dell’incompatibilità politica, ci si attendeva ovviamente la reazione di un certo tipo da parte di Matteo Renzi. Che, invece, questa volta ha tenuto a freno il suo ego smisurato (politicamente parlando) e ha “abbozzato”, accettando di non presentare la lista e il simbolo di IV ma accontentandosi di inserire alcuni esponenti liguri del suo partito in una lista civica. Certo quegli incomprensibili capricci avevano già sortito un qualche effetto, visto che secondo i sondaggi Orlano era sceso sotto il 50% ed il suo vantaggio su Bucci si era dimezzato mail cosiddetto “campo largo” sembrava saldamente in testa.
E, allora, per rendere più emozionante e incerta la contesa, Giuseppe Conte ha ben pensato di rilanciare, di raddoppiare i “capricci”, pretendendo e ottenendo, a poche ore dalla chiusura delle liste, anche l’esclusione dalla lista civica degli esponenti di IV che, di conseguenza, è rimasta completamente tagliata fuori dalle elezioni regionali in Liguria. Con le polemiche interne e la confusione che ne sono derivate che hanno subito prodotto le prevedibili conseguenze, prima l’annullamento (sempre secondo i sondaggi) del gap tra i due candidati, poi addirittura un leggerissimo vantaggio per Bucci. Confermato, poi, nelle urne, con la destra che è riuscita a mantenere il governo della Liguria per 8 mila voti. Considerando che, pur con stime al massimo ribasso, IV e candidati renziani erano accreditati almeno di 12-13 mila voti e che il M5S, grazie anche al “capolavoro” compiuto dal suo leader, ha perso rispetto alle passate elezioni 23 mila voti (e rispetto ai sondaggi fatti prima dei capricci di Conte tra il 2 e il 3%), i conti sono presto fatti.
Ricordando che, per non farsi mancare nulla, nella competizione elettorale ligure erano presenti altri 3 candidati governatori dell’area di sinistra che complessivamente hanno ottenuti poco più del 2% (11 mila voti), non c’è bisogno di aggiungere molto altro, i fatti e i numeri in questo caso sono sin troppo chiari nel dimostrare a chi vanno i maggiori meriti per il nuovo successo della destra. Che pure, rispetto alle elezioni regionali passate, ha perso circa 90 mila voti, con Fratelli d’Italia che ha ottenuto quasi la metà dei voti di un Pd addirittura al 28,5% (quasi 40 mila voti in più rispetto alle precedenti elezioni regionali).
Detto che ancora una volta il dato più eclatante è quello sull’ulteriore crollo dei votanti (46%, l’8% in meno rispetto alle precedenti elezioni regionali), più in generale le elezioni ligure hanno confermato quello che già è noto e che viene mascherato dall’incessante grancassa propagandistica dei Meloni’s boys. Cioè che, al contrario di quanto sbandierano esponenti politici e giornalisti fedeli alla presidente del Consiglio, la destra in Italia non è affatto maggioranza, anzi, rappresenta molto meno di un terzo degli italiani. Questo naturalmente non inficia in alcun modo il legittimo diritto della destra di governare il paese (e in questo caso la Liguria) ma è un dato che chi governa dovrebbe comunque sempre tenere in considerazione. E soprattutto che la destra vince e può continuare a vincere solo per la “dabbenaggine” dei suoi avversari politici.
La differenza tra le due parti è emersa in maniera ancora più evidente in questa tornata elettorale, la destra pur di vincere non si fa alcuno scrupolo di imbarcare anche personaggi politici del calibro di Bandecchi, politicamente semplicemente impresentabile, che ovviamente in Liguria ha inciso poco o nulla (0,3% e meno di 2 mila voti) ma che poi in Umbria, dove i sondaggi danno le due coalizioni praticamente alla pari, un peso potrebbe averlo. Dall’altra parte, invece, veti, capricci, isterismi da improbabili “prime donne” e l’atavico “tafazzismo” della sinistra producono gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti. Non è certo una novità, d’altra parte senza la “dabbenaggine” di quelle forze politiche la destra e la Meloni non sarebbero al governo perché non avrebbero ottenuto la maggioranza dei seggi necessaria per governare.
Già all’epoca evidenziammo l’insopportabile e deleterio “tafazzismo” dei leader di quello schieramento, da Letta (Pd) a Conte (M5S), da Renzi (IV) a Calenda (Azione) che avevano portato non solo alla conquista del governo da parte della destra ma anche a risultati disastrosi per i loro stessi partiti. Il problema, che poi è il vero nodo politico della questione, è che dopo quel disastro elettorale solo il Pd ha cambiato leader, gli altri 3 protagonisti di quella Caporetto, come se nulla fosse, sono rimasti alla guida dei rispettivi partiti. Che, inevitabilmente, in questi 2 anni ad ogni elezione hanno continuato ad inanellare una “batosta” dietro l’altra, con rarissime eccezioni, rimanendo saldamente ognuno al proprio posto.
Superfluo parlare di Renzi e Calenda i cui rispettivi partiti sono strettamente e indissolubilmente legati a loro, difficile invece comprendere perché il Movimento 5 Stelle, che ha esponenti validi e spendibili come leader (una su tutti, l’ex sindaco di Torino Chiara Appendino), continui a rimanere prigioniero del sempre più disastroso Conte. Che, da quando non è più presidente del Consiglio, di fatto non ne ha azzeccata più una, riportando pian piano il M5S agli arbori, non da un punto di vista ideologico e di strategia politica ma come percentuali alle elezioni. Da qui alle elezioni politiche, a meno di improbabili terremoti, manca ancora molto tempo (3 anni). Ma appare chiaro che, fino a che potrà contare su questi insospettabili “amici”, Giorgia Meloni può dormire sonni tranquilli.