L’inchiesta di Fanpage e il disperato bluff della Meloni


Dopo aver provato ad ignorarla e delegittimarla, dopo aver tentato, attraverso i suoi fedeli “soldatini”, improbabili paragoni con altri partiti, la Meloni prova a chiudere la vicenda dell’inchiesta di Fanpage con una lettera. Che, però, è inesorabilmente smentita dai fatti

Ha provato a vestire i panni di improbabile Jessica Rabbit e, parafrasando una famosa battuta tratta dal film “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” (“Io non sono cattiva, è che mi disegnano così”), nella lunga lettera scritta ai dirigenti del suo partito Giorgia Meloni ha tentato di scacciare via i fantasmi sollevati dall’inchiesta di Fanpage sostenendo che “non siamo come vorrebbero disegnarci”. Non bisogna essere dei fini analisti politici per comprendere che in realtà, più che ai dirigenti di Fratelli d’Italia, la presidente del Consiglio si rivolgeva all’opinione pubblica o, quanto meno, a quella parte del suo elettorato più moderato, che guarda più al centro che all’estrema destra, che magari non sarà così tanto sensibile al tema del fascismo e dell’antifascismo ma che di certo è infastidita e non gradisce certe preoccupanti deviazioni.

Ha impiegato diverso tempo per prendere una determinata posizione Giorgia Meloni, dopo che a caldo aveva reagito in maniera a dir poco imbarazzante, prendendosela con gli autori dell’inchiesta giornalistica più che con gli esponenti del suo movimento giovanile smascherati dall’inchiesta stessa, delirando su presunte scorrettezze e illegalità, fino al punto da lanciare un ridicolo e patetico appello al presidente della Repubblica (che ovviamente Mattarella, per carità di patria, ha finto di ignorare…). “In altri tempi – aveva dichiarato la Meloni – infiltrarsi nei partiti politici e nelle organizzazioni sindacali, riprenderne segretamente le riunioni e pubblicarle discrezionalmente erano metodi che utilizzavano i regimi. Non è mai successo con nessun altro, anche perché infiltrarsi nei partiti politici non è un metodo giornalistico. Lo chiedo ai partiti politici e, soprattutto, lo chiedo al presidente della Repubblica, da oggi è consentito?”.

Semplicemente sconcertante che una presidente del Consiglio scenda così in basso per provare a spostare il tiro e a stendere un pietoso velo per coprire quanto accaduto e accade nel movimento giovanile del suo partito. Per altro è ancora più grave per il fatto che la Meloni resta pur sempre una giornalista iscritta all’Ordine dei giornalisti e, di conseguenza, dovrebbe ben sapere che quello utilizzato da Fanpage è a tutti gli effetti un metodo giornalistico tipico del giornalismo d’inchiesta (tutt’altro che nuovo perché era già accaduto che alcuni giornalisti si infiltrassero in partiti politici, senza andare troppo indietro nel tempo per ben due volte negli ultimi anni nel M5S), ma anche e soprattutto perfettamente legittimo e tutelato da alcune specifiche norme, come la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti (n. 69 del 1963) e quella sulle “Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” (decreto legislativo 196 del 2003).

Ora, 10 giorni dopo, la presidente del Consiglio ha provato a correggere un po’ il tiro sostenendo che “abbiamo fatto i conti con il ventennio molti anni fa, fuori chi non lo ha capito”. Al di là di ogni altra considerazione, è del tutto evidente come da un lato l’inchiesta di Fanpage ha colpito e spiazzato la destra, che prima ha provato a fingere di ignorarla, poi ha reagito in maniera confusa e scomposta, e dall’altro che la Meloni e i vertici del suo partito (e del governo) ancora una volta non sono riusciti a fare lo scatto in avanti che servirebbe per archiviare definitivamente certi sospetti. Che quell’inchiesta abbia profondamente turbato e colpito FdI e la sua corte è risultato inequivocabilmente evidente dal modo in cui hanno reagito lo stesso partito della Meloni e i suoi fedeli cantori. Che, quando hanno compreso che non serviva a nulla e non potevano continuare a fingere di ignorarla, hanno prima provato a giocare l’improbabile carta della delegittimazione, poi quella ancora più patetica di una sorta di “così fan tutti” dai risvolti ben più che ridicoli.

E in un caso e nell’altro è sempre impressionante vedere come la destra, almeno nel suo “zoccolo duro”, riesca ad essere terribilmente compatta, pronta a seguire senza neppure discutere gli “ordini di scuderia” anche quando questo significa esporsi a colossali “figuracce”. Dall’alto si detta la linea, quale che sia, e da bravi soldatini e sudditi ubbidienti tutti la seguono senza batter ciglio, a partire dai “giornalacci” di destra e da tutti i principali esponenti di destra, anche quelli “più illuminati” (almeno in confronto degli altri). Così, per fare un esempio, nei giorni successivi alla messa in onda su “Piazzapulita” della prima parte dell’inchiesta facevano quasi tenerezza i vari Alessandro Giuli (presidente della Fondazione Maxxi) e Francesco Specchia (giornalista di Libero) dagli schermi di “La7” ripetere, in realtà con poca convinzione e con espressione stralunata, la “favoletta” del metodo discutibile con cui è stata realizzata l’inchiesta, per non affrontare il vero nocciolo della questione (cioè quello che emerge inequivocabilmente dall’inchiesta stessa).

Miseramente naufragato il tentativo di delegittimazione del lavoro di Fanpage (con tanto di patetico video di 9 minuti, infarcito di considerazioni esilaranti ai limiti del ridicolo, di non meglio identificati esperti di comunicazione pubblicato prima da Donzelli e poi rilanciato da tutti i “giornalacci” di destra), lo step successivo lanciato dall’alto e subito ripreso dagli obbedienti sudditi è quello del “così fan tutti”. Con la surreale tesi secondo cui se Meloni e FdI devono fare pulizia con i giovani del partito che hanno posizioni nostalgiche, razziste e antisemite, allora anche la Schlein, Conte e Fratoianni devono fare la stessa cosa con i ragazzi dei movimenti studenteschi che da mesi scendono in piazza in favore della Palestina e contro Israele. “Ora tocca anche agli altri” è il titolo di un articolo, pubblicato mercoledì 3 luglio, del direttore de “Il Giornale” Alessandro Sallusti che scrive: “dopo la lettera di Giorgia Meloni al suo partito, c’è da chiedersi se altri leader di partito faranno altrettanto”.

Ed è davvero difficile credere che Sallusti e gli altri giornalisti “soldatini” della destra non si rendano conto dell’enorme differenza e della totale impraticabilità del paragone per il semplice fatto che da una parte ci sono i ragazzi (una parte di loro) del movimento giovanile di Fratelli d’Italia, su cui, quindi, la Meloni e i vertici del partito possono intervenire, dall’altra movimenti studenteschi autonomi e indipendenti, che non hanno nessun tipo di legame con i partiti del centrosinistra (spesso oggetto di critiche e contestazioni) che, quindi, in alcun modo possono prendere qualsiasi tipo di provvedimento (o tanto meno prendere le distanze) nei loro confronti.

Al di là di tutti i patetici e improbabili tentativi di spostare l’attenzione su altro, il punto vero di tutta la vicenda è che l’inchiesta di Fanpage ha colto nel segno e inevitabilmente mette spalle al muro la Meloni, il suo partito e la destra al governo che sono in grandissima difficoltà perché, qualunque cosa possono dire ora, non sono in alcun credibili. “Non c’è spazio in Fratelli d’Italia per posizioni razziste o antisemite, come non c’è spazio per i nostalgici dei totalitarismi del ‘900 o per qualsiasi manifestazione di stupido folklore” scrive nella lettera Giorgia Meloni fingendo di non sapere che, in realtà, i fatti dimostrano esattamente il contrario. Perché se così fosse, se davvero in FdI non ci fosse spazio per “nostalgici dei totalitarismi” e “manifestazioni di stupido folklore” allora da tempo la presidente del Consiglio avrebbe cacciato dal suo partito Ignazio La Russa, che ha sempre rivendicato con orgoglio certe posizioni, e Galeazzo Bignami, divenuto famoso per essersi fatto fotografare vestito da gerarca nazista.

E come loro tutti gli esponenti locali del partito che non si vergognano di fare riferimenti espliciti al fascismo (l’ultimo della seria il consigliere comunale di Verona Massimo Mariotti). A tal proposito l’esempio più emblematico arriva dalla Francia dove la candidata lepeniana Ludivine Daoudi si è ritirata dal secondo turno dopo che era venuta a galla una vecchia foto in cui era ritratta con in testa un cappello nazista. Se anche la Meloni e il suo partito avessero adottato questa rigida ma inevitabile linea allora si che si potrebbe prendere sul serio la lettera della presidente del Consiglio. Che, invece, non solo non ha cacciato dal suo partito quegli esponenti ma, addirittura, li ha ritenuti adeguati e degni di rivestire importanti incarichi istituzionali, La Russa addirittura presidente del Senato, quindi seconda carica dello Stato (Bignami invece è viceministro alle infrastrutture).

Le parole sono sicuramente importante ma, soprattutto in politica, i fatti lo sono infinitamente di più. E i fatti dimostrano esattamente il contrario di quello che ha scritto la presidente del Consiglio perché dimostrano che in Fratelli d’Italia i “nostalgici” e le “manifestazioni di stupido folklore” vengono incredibilmente premiate…

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