Mentre una delle prime delibere della nuova giunta svela la “folle” cifra 140 mila euro) per il concerto del “gladiatore”, la Corte dei Conte boccia pesantemente l’operato del Comune sui parcheggi. “Dopo le elezioni le magagne vengono a galla” accusa Francesco Ameli
“Passata la festa, gabbato lo santo” recita un famoso proverbio che calza a pennello per quanto sta accadendo nel capoluogo piceno. Dove, passate le elezioni (“la festa”), con il plebiscito ottenuto dal riconfermatissimo Marco Fioravanti, pian piano i fatti, i documenti e gli atti ufficiali iniziano a fare luce e smascherare l’infinita serie di improbabili “favolette” e dei teatrini messi in scena dal primo cittadino e dalla sua giunta che sono riusciti a far credere agli ascolani (“gabbato lo santo”) di aver realizzato o di essere sul punto di realizzare autentiche mirabilie. In realtà nulla di così sorprendente e tutto ampiamente prevedibile, almeno per chi è abituato a basarsi su atti e fatti concreti e non certo su promesse e proclami elettorali.
Così prima è emerso come fossero del tutte infondate le rassicurazioni sull’ospedale e sulla sanità, poi che l’inaugurazione dei lavori per la demolizione della curva fossero un deprimente teatrino (perché i lavori non sono ancora partiti e si dovrà attendere ancora diversi prima che apra realmente il cantiere). Ora, nel giro di un paio di giorni, le prime delibere della nuova giunta comunale hanno portato alla luce come stanno realmente le cose per quanto riguarda l’intervento di riqualificazione di piazza Arringo (destino a diventare il nuovo “tormentone” di questo secondo mandato amministrativo, con novità e aspetti tenuti nascosti, come vedremo nel dettaglio i prossimi giorni…) e la surreale vicenda che ha coinvolto il gladiatore, Russel Crowe.
Soprattutto, però, nelle ore scorse è arrivata la pronuncia della Corte dei Conti sulla vicenda parcheggi che rappresenta un clamoroso (quanto prevedibile) smacco per il sindaco e per l’amministrazione comunale. Come sempre in queste situazioni, almeno per quanto riguarda il “gladiatore” improbabile cittadino ascolano, non mancano aspetti quasi comici che indurrebbero a sorridere, se non fosse che di mezzo ci sono soldi pubblici e l’immagine della città. In ogni caso la delibera n. 183 del 27 giugno scorso (uno dei primi atti della nuova amministrazione) svela che il concerto di Russel Crowe in piazza del Popolo costerà 140 mila euro, una cifra che considerare esagerata ed eccessiva è un eufemismo. Per altro nella delibera l’amministrazione comunale si guarda bene dallo specificare come si arriva ad un simile cifra così folle, parla genericamente di spese per le solite incombenze tecniche e per il cachet, senza specificare a quanto ammontano le prime e, conseguentemente, la seconda.
Di certo, considerando che per le spese cosiddette “tecniche” più di una certa cifra non si può andare, il cachet del “gladiatore” e del suo gruppo deve essere particolarmente elevato, al punto che, volendo “pensare male” (che, come ripeteva Andreotti, “si fa peccato ma spesso ci azzecca…), ora si può capire l’insistenza con cui Russel Crowe ha accreditato la tesi delle sue origini “ascolane”, smentita e non confermata da tutti i documenti degli Archivi di Ascoli e Parma. “Tra gli obiettivi dell’amministrazione, vi sono anche quelli di puntare su una programmazione culturale qualificata al fine di trasformare la città in un polo culturale d’eccellenza e di rendere la musica protagonista della programmazione cittadina” si legge nella delibera n.183.
Sembra uno scherzo, un’affermazione comica che, però, ha almeno il merito di svelare quale sia il concetto di cultura di questa amministrazione e di spiegare meglio di tanti commenti e tante parole perché Ascoli non poteva e non potrà mai essere scelta come Capitale italiana della Cultura, almeno fino a che continuerà in questo modo. Decisamente più pesante per il sindaco e per l’amministrazione comunale è, però, la deliberazione 105 del 24 giugno scorso con la quale la Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per le Marche ha sonoramente bocciato il modulo gestorio e la società mista per la gestione della sosta, certificando la non conformità della delibera comunale (delibera di Consiglio comunale n. 28 dell’11 aprile 2024) per il riscatto dei parcheggi rispetto alle norme del Testo Unico sulle società partecipate (Tusp – decreto legislativo 175/2016).
“La Sezione – si legge nella delibera della Corte dei Conti – rileva la non conformità della deliberazione consiliare in argomento all’art. 5 del TUSP, con riguardo ai profili di seguito rappresentati: 1. La deliberazione consiliare non fornisce una motivazione analitica della decisione assunta ai sensi dell’art. 5 TUSP, ma appare indirizzata, più che altro, ad approvare valutazioni istruttorie generiche, rinviando in più punti ad analisi e valutazioni svolte da altri soggetti ed in altra sede. Al riguardo, si fa presente invece che “l’amministrazione sia tenuta a svolgere una sua istruttoria preliminare alla sottoposizione alla Sezione sui singoli parametri del “controllo”, fornendone in modo esaustivo gli elementi, evitando cioè superficiali descrizioni e valutazioni meramente apodittiche di parametri dal tenore sicuramente elastico”.
2. La deliberazione consiliare in oggetto, poi, non fornisce specifiche argomentazioni in punto di sostenibilità finanziaria dell’operazione da parte l’amministrazione comunale né si esprime compiutamente su aspetti di assoluta rilevanza economico-finanziaria e patrimoniale per l’Ente locale (a cominciare dagli stessi costi connessi alla creazione e al mantenimento di un ulteriore veicolo societario in mano pubblica, oltre che a quelli afferenti ai rischi derivanti dalla risoluzione anticipata della convenzione in concessione attualmente vigente). 3. La deliberazione consiliare non fornisce informazioni, neppure sommarie, sulla situazione prospettica (economica, patrimoniale e finanziaria) e sui costi di gestione della costituenda società. 4. Nella deliberazione consiliare non viene dato atto che, con la costituzione della nuova società, risulti rispettato il divieto di cui all’art. 20, comma 2, lett. c) del TUSP, ma viene citata la norma in maniera descrittiva. 5. L’atto consiliare in parola, nell’aderire al descritto modello organizzativo e gestionale, non fa riferimento, neanche in modo succinto, all’impatto economico-finanziario e patrimoniale sul bilancio del Comune, del modello prescelto”.
Non bisogna essere dei fini giuristi per comprendere quanto duro sia il giudizio della Corte e quanto l’amministrazione comunale sia stata a dir poco superficiale e frettolosa. E, allo stesso modo, non bisogna avere una particolare intelligenza per capire le motivazioni di tale superficialità, con le elezioni alle porte era fondamentale avere un presunto risultato da poter sbandierare propagandisticamente. E chi se ne frega se per averlo si è dovuto fare tutto di fretta senza una seria e concreta valutazione di aspetti assolutamente determinanti (la situazione economica, patrimoniale e finanziaria, i costi di gestione della nuova società, l’impatto economico-finanziario sul bilancio comunale, la sostenibilità finanziaria di tutta l’operazione) e considerati dalla Corte dei Conti (e dalle norme del Tusp) indispensabili.
“Dopo le elezioni le magagne vengono a galla – commenta il consigliere comunale dem Francesco Ameli – una deliberazione molto pesante quella della Corte dei Conti secondo cui il Comune non ha fornito una motivazione analitica della decisione adottata ma adducendo solo valutazioni istruttorie generiche, rinviando ad analisi e valutazioni svolte da altri soggetti. Che dire, un inizio scoppiettante di consiliatura sulla quale ci muoveremo come opposizioni”.