Annunciato con enfasi dal governo e dai giornali di destra pochi giorni prima delle elezioni, il decreto liste di attesa, approvato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, in realtà si è rivelato l’ennesima “patacca”, senza fondi e con l’inutile riproposizione di interventi già previsti
Il solito bluff. O, più realisticamente, il solito jolly da giocarsi prima di un’elezione, fregandosene che in questo caso si prendono in giro i cittadini italiani su un tema di estrema importanza, sul quale non sarebbe opportuno scherzare più di tanto, cioè la salute. Non che ci fossero molti dubbi in proposito, anche se i giornali di destra hanno cercato di far passare come qualcosa di serio e tangibile la “patacca” giocata dal governo solo a fini elettorali. Ma l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri e la conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale hanno definitivamente fugato i residui dubbi sull’assoluta inutilità del cosiddetto decreto liste di attesa, presentato negli ultimi giorni della campagna elettorale dalla presidente del Consiglio come un intervento se non risolutivo quanto meno fondamentale per far migliorare sensibilmente la situazione.
Per altro non bisogna essere grandi esperti per capirlo, già solo il fatto che non sono previsti nuovi stanziamenti (a parte i fondi, poco più di 2 milioni di euro, per pagare i 20 nuovi ispettori che vengono stornati dal fondo per risarcire le vittime dei danni derivati dai vaccini e dalle trasfusioni) rende evidente che non si tratta certo di un intervento serio e che sicuramente non porterà il benché minimo giovamento, sempre ammesso che diventi mai operativo. Perché ciò avvenga bisognerà attendere tutto l’iter per la conversione in legge e poi i conseguenti decreti attuativi quindi, a voler essere immotivatamente molto ottimisti, non prima della fine dell’anno. In altre parole almeno 5-6 mesi, un tempo relativamente lungo nel corso del quale il provvedimento potrebbe essere in parte cambiato o anche rivoluzionato se non, addirittura, definitivamente abbandonato.
Tanto per il governo era solo il classico “specchietto delle allodole” utile esclusivamente ai fini elettorali, non certo per provare realmente a migliorare una situazione che peggiora di anno in anno (nelle Marche, ancor più ad Ascoli, ne sappiamo qualcosa). Analizzando un po’ più attentamente il decreto pubblicato in Gazzetta, ciò che emerge immediatamente con assoluta chiarezza che in realtà, al di là del mancato stanziamento di fondi, non ci sono sostanziali novità rispetto a quanto già è previsto da anni, con la riproposizione di interventi e misure fatte passare come importanti novità ma che, in realtà, sono già ampiamente previste. In particolare i primi 2 degli articoli di cui si compone il decreto sono “fuffa” alla massima potenza, con l’art. 1 che prevede l’istituzione “presso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) della Piattaforma nazionale delle liste di attesa, interoperabile con le piattaforme delle liste di ciascuna regione e provincia autonoma, in coerenza con l’obiettivo “potenziamento del portale della trasparenza” previsto dal Pnrr”.
In altre parole una “supercazzola” di nessuna concreta utilità che, però, secondo il comunicato stampa diffuso dal governo dovrebbe servire perché “attraverso il monitoraggio dei dati, nell’ambito del controllo delle agende di prenotazione, si potrà attivare un meccanismo di audit per le aree ove si rilevino inefficienze o anomalie”. L’art. 2 prevede, invece, l’istituzione, presso il ministero della salute, dell’Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria, con il compito di verificare il corretto funzionamento del sistema di gestione delle liste di attesa e dei relativi piani operativi per il recupero. “L’organismo – si legge ancora nel comunicato stampa del governo – con il supporto dei Carabinieri per la tutela della salute, potrà accedere presso vari soggetti sanitari pubblici e privati accreditati per verificare e analizzare le disfunzioni delle agende di prenotazione su segnalazione dei cittadini, degli enti locali e delle associazioni di categoria degli utenti; inoltre, al fine di corrispondere a segnalazioni da parte dei cittadini, potrà acquisire documentazione dalle regioni”.
Quelli successivi sono teoricamente gli articoli più interessanti, se non fosse per il non trascurabile fatto che introducono qualcosa che, in realtà, già esiste da tempo. L’art. 3 comma 10 prevede infatti che “nel caso in cui i tempi previsti dalle classi di priorità individuate nel Piano Nazionale di Governo delle liste di attesa 2019-2021 non possano essere rispettati, le direzioni generali aziendali garantiscono l’erogazione delle prestazioni richieste nei limiti delle risorse previste dalla legge di Bilancio 2024, attraverso l’utilizzo dell’attività libero-professionale intramuraria o del sistema privato accreditato, sulla base della tariffa nazionale vigente”, mentre l’art. 4 comma 1 prevede che “al fine di ridurre i tempi delle liste di attesa e di evitare le degenze prolungate dovute alla mancanza di disponibilità per gli esami diagnostici, le visite diagnostiche e specialistiche sono effettuate nei giorni di sabato e domenica e la fascia oraria per l’erogazione di tali prestazioni può essere prolungata”.
“Nel Piano nazionale di governo delle liste di attesa (Pingla) 2019-2021 era già previsto quello che ora il governo presenta come grandi novità dalle classi di priorità per le prescrizioni, al cup unico regionale con tutte le agende di prenotazione delle prestazioni disponibili. Ma anche il sistema di monitoraggi, le disdette delle prenotazioni, i percorsi di tutela, il divieto di liste chiuse” accusa la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi. Che poi affonda il colpo sull’aspetto dei mancanti stanziamenti. “La possibilità di accertamenti diagnostici il sabato, la domenica e nelle ore serali – afferma – è già prevista dal Pingla, mentre nel decreto non si indica con quali professionisti e, soprattutto, con quali soldi si pagheranno gli straordinari al personale. Con un servizio sanitario nazionale che soffre ormai da troppo tempo di un’insostenibile carenza di personale non si chiarisce chi dovrebbe coprire quei turni ulteriori”.
Durissima la conclusione della Barbaresi: “non volendo pensare ad un vergognoso spot elettorale, non si comprende dov’è l’urgenza che giustifica un decreto privo di reali risposte per le persone malate. Se tutto l’impianto si regge a risorse invariate per il servizio sanitario ciò che accadrà sarà semplicemente il travaso di risorse dal sistema pubblico a quello privato”. Anche le Regioni, praticamente all’unanimità comprese quelle amministrate dalla destra, bocciano senza appello il decreto e pongono l’accento proprio sul fatto che ancora una volta il governo favorisce il privato, depotenziando il pubblico.
“Il decreto spinge ancora l’acceleratore sulla privatizzazione della sanità sia favorendo l’attività libero professionale dei medici a scapito del potenziamento del sistema sanitario pubblico, sia alzando il tetto di spesa per il privato accreditato, senza prima assicurare un adeguato finanziamento del sistema pubblico” accusa l’assessore regionale alla sanità della Regione Emilia Donini. Durissimo il commento anche delle associazioni dei medici, Anaao Assomed e Cimo Fasmed, che attraverso i presidenti Di Silverio e Quici stroncano il provvedimento e annunciano battaglia. “Voler abbattere le liste d’attesa partendo dal presupposto che i responsabili vadano individuati nei medici e dirigenti sanitari è inaccettabile oltre che falso – affermano – ridurre i sempre più lunghi tempi di attesa è un diritto del cittadino e un dovere del governo ma occorrono misure strutturali con risorse adeguate e durature nel tempo. E’, quindi, inimmaginabile separare gli interventi organizzativi dai finanziamenti, rinviando quest’ultimi ad altri tempi. La nostra risposta a provvedimenti punitivi o puramente cosmetici sarà dura”.
La realtà, chiara a chi ha piena coscienza della situazione, è che per provare a combattere e migliorare la piaga delle liste di attesa serve innanzitutto e prioritariamente proprio ciò che manca nel decreto, un concreto e consistente investimento, oltre ad un’organizzazione dell’assistenza sanitaria capace di garantire prestazioni e presa in carico dei bisogni di salute delle persone. E’ un problema di fondo, bisognerebbe mettere la sanità al primo posto come fanno da sempre Francia e Germania la cui spesa sanitaria rispetto al Pil continua a crescere ed ora si è attestata rispettivamente al 10,9 e al 13%. Praticamente il doppio rispetto all’Italia che con il governo Draghi aveva sfiorato il 7%, mentre ora con il governo Meloni è scesa al 6,3%, ben al di sotto della media Ocse (9,5%).
Come recita un famoso proverbio napoletano “chiacchiere e tabaccherie di legno non si accettano al banco di Napoli”. Che, per chi non avesse capito, significa che “frottole” e promesse false e inattendibili non si accettano perché il popolo non deve essere preso in giro… Soprattutto quando c’è di mezzo la salute