Salis, Schlein, Meloni: elezioni al femminile con record negativo di votanti


Prosegue la fuga dalle urne, con affluenza addirittura sotto il 50%. In Europa incubo estrema destra anche se in base ai seggi di fatto non cambia nulla, con la Meloni di fronte ad un difficile bivio. In Italia grande successo di Pd e Avs, bene Fdi, debacle per Renzi e Calenda

La buona notizia, almeno per chi ha a cuore determinati principi, è l’elezione di Ilaria Salis. La cattiva, a prescindere dalle legittime simpatie politiche di ognuno, è l’astensione sempre più alta, con addirittura il record negativo di oltre la metà degli aventi diritto che non si sono recati alle urne. Con i dati ormai consolidati e definitivi è il momento di fare alcune considerazioni sull’esito delle elezioni europee, come sempre basandosi su dati e numeri concreti (a differenza di quanto abbiamo ascoltato, con rarissime eccezioni, in queste ore nelle varie maratone televisive). E naturalmente non si può non partire dal dato più clamoroso e inquietante, quello sull’affluenza che nel nostro paese si è fermata al 49,7%.

Un vero e proprio record negativo, non era mai accaduto prima che si recasse alle urne meno della metà degli aventi diritto al voto. Un trend che prosegue, la fuga degli elettori è iniziata da un po’ di tempo ma in questa tornata elettorale ha toccato livelli inimmaginabili, rispetto alle precedenti elezioni europee l’affluenza è scesa del 7%, mentre alle elezioni politiche del settembre 2022 avevano votato il 64% degli aventi diritto (quindi rispetto ad un anno e mezzo fa si è registrata una diminuzione di quasi il 15%). Partendo dal fatto che, dal nostro punto di vista chi non vota ha sempre torto e non ha alcun giustificazione valida, sono evidenti ed inequivocabili le gravi responsabilità della politica, da destra a sinistra senza alcuna distinzione. Sono tanti i fattori che contribuiscono ad allontanare gli italiani dal voto, primo tra tutti la distanza sempre più marcata dei politici italiani dai cittadini, dai problemi reali e concreti con i quali devono convivere quotidianamente.

E poi i continui scandali, le vicende giudiziarie che, purtroppo, ormai sono la quotidianità nel nostro paese e che vengono affrontate e vissute dalla politica italiana in maniera quasi infantile, senza mai una seria e concreta riflessione ma sempre e solamente in maniera teatrale, con slogan e posizioni preconcette, senza mai preoccuparsi dell’impatto che invece certe vicende finiscono inevitabilmente per avere sull’umore e sulla fiducia dei cittadini italiani nei confronti della politica ma anche delle istituzioni. L’esempio più recente ed emblematico è il caso Toti che, a prescindere dagli aspetti più strettamente giudiziari, ha portato alla luce un modo di far politica, di amministrare la cosa pubblica che dovrebbe quanto meno provocare una seria discussione e un’approfondita riflessione, partendo dal concetto di “etica pubblica” che dovrebbe essere il cardine e il principio fondamentale a cui si dovrebbe ispirare l’operato di ogni amministratore.

Le conseguenze di questa sempre più accentuata fuga del voto dovrebbero essere chiare e, pur non intaccando in alcun modo la piena legittimità di chi governa o è chiamato a svolgere determinate funzioni istituzionali, incide in maniera determinante sulla rappresentatività. E’ sufficiente un semplice dato per comprenderlo, sulla base dei numeri ottenuti dai partiti di maggioranza (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia), l’attuale governo di fatto ha il sostegno di meno di un quarto (il 23,7%) dell’elettorato italiano. Vale la pena di ribadire che un simile dato non incide in alcun modo sulla piena legittimità della Meloni e della sua coalizione di governare il paese ma è altrettanto evidente ed inequivocabile che l’attuale esecutivo rappresenta solo una minima parte degli italiani.

Dando uno sguardo complessivamente al voto in Europa sicuramente c’è stata una preoccupante crescita della destra più estrema, per altro ampiamente annunciata, ma in realtà in concreto non è cambiato nulla, almeno a livello di governo europeo. Infatti a livello di seggi il Partito popolare ha fatto registrare addirittura un leggero incremento (da 179 a 184), i socialdemocratici hanno mantenuto lo stesso numero di rappresentanti che avevano nel passato Parlamento europeo (139), mentre Renew (Macron e Renzi) e i Verdi hanno fatto registrare un sensibile calo (rispettivamente da 102 a 80 e da 71 a 52). La cosiddetta “maggioranza Ursula” resta comunque solida (senza contare altri parlamentari che al momento non fanno parte di alcun gruppo si parte da circa 400 parlamentari, con la maggioranza fissata a quota 360). D’altra parte i due raggruppamenti della destra che sicuramente avanzano in realtà in termini di seggi guadagnano molto poco, Ecr 4 seggi (da 69 a 73), Id appena 1 (da 57 a 58).

Nei commenti della prima ora, nella celebrazione della presidente del Consiglio, si è molto parlato di come, in un simile contesto, la Meloni potrebbe avere un ruolo centrale in Europa. In realtà, in attesa di capire cosa accadrà in Francia nelle elezioni politiche di fine giugno-inizi di luglio, per la presidente del Consiglio la situazione è molto più complessa e intricata di quello che si vuole far credere. “In Europa mai al governo con i socialisti” aveva dichiarato prima delle elezioni ma, di fatto, senza socialdemocratici non c’è nessuna maggioranza possibile (e popolari e socialdemocratici hanno già ribadito di voler confermare l’alleanza e la maggioranza della passata legislatura). Per poter incidere e avere un ruolo concreto in Europa la Meloni dovrà necessariamente smentire se stessa e altrettanto inevitabilmente prendere le distanze dai due raggruppamenti europei di destra (Ecr e Id) che è scontato che non offriranno alcun appoggio o collaborazione alla “maggioranza Ursula”.

Se, invece, vorrà rimarrà fedele a se stessa e ai gruppi europei di destra inevitabilmente sarà destinata ad avere un ruolo marginale in Europa. Per quanto riguarda il quadro complessivo politico del nostro paese, mai come in questo caso l’esito del voto è chiaro e inequivocabile su vincitori e vinti. Considerando che si votava con il proporzionale puro, il successo maggiore l’ha inequivocabilmente ottenuto il Pd che guadagna un sostanzioso 5% rispetto alle politiche, superando il 24%, quota che non raggiungeva da tempo. Grande e per certi versi inatteso il successo di Alleanza Verdi e Sinistra che alla vigilia era tra i partiti dati in bilico rispetto al quorum del 4% e che invece ottiene un clamoroso 6,7%, con una crescita del 3,1% rispetto alle ultime elezioni.

Altrettanto evidente è l’ottimo risultato di Fratelli d’Italia che sfiora il 29% e guadagna poco meno del 3% rispetto al settembre 2022. C’è, però, un dato che, chissà perché, nessuno si è ricordato di sottolineare e che, invece, è giusto evidenziare perché molto significativo. Le elezioni europee solitamente si tengono in Italia a distanza di un anno e mezzo da quelle politiche, un tempo in cui il governo che emerso da quelle elezioni, se non combina “pasticci” inenarrabili, è nella curva naturale di crescita. Non a caso nelle precedenti tornate elettorali europee il principale partito della maggioranza di governo aveva sempre ottenuto degli exploit straordinari, nel 2014 il Pd di Renzi aveva addirittura superato il 40% (con una crescita superiore al 15%), mentre nel 2019 la Lega di Salvini aveva praticamente raddoppiato i voti, passando dal 17,3% al 34,2%.

E’ del tutto evidente, quindi, che il partito della Meloni ottiene un buon risultato ma molto al di sotto rispetto ai suoi predecessori. Ci sono pochi dubbi anche su chi invece esce sconfitto da questa tornata elettorale, con Renzi e Calenda in prima fila, addirittura lontani dal quorum del 4%. Male anche il Movimento 5 Stelle di Conte che si ferma al 10%, perdendo più del 5% rispetto al 2022. In termini esclusivamente di voti, solamente il Pd (+250 mila) e Avs (addirittura +500 mila) guadagnano sensibilmente rispetto alle ultime politiche. FdI perde quasi 700 mila voti, la Lega circa 300 mila, mentre Forza Italia solo grazie a Noi moderati (che nelle politiche del 2022 si erano presentati da soli ottenendo circa 250 mila voti) riesce a non perdere (ma non guadagna) nulla.

Pur guadagnando complessivamente quasi il 3% rispetto alle ultime politiche, la destra continua ad essere maggioranza relativa solo perché le forze di opposizione di centro sinistra continuano ad essere divise (e, come detto, rappresenta meno di un quarto dell’elettorato italiano). Elly Schlein l’ha capito da un pezzo, dopo la mezza “batosta” elettorale sembra averlo inteso anche Conte e già solamente l’unione di quei due partiti con Avs renderebbe l’ipotetica sfida con la destra incerta, visto che quei tre partiti di centrosinistra allo stato avrebbero un distacco non incolmabile (e con il sistema elettorale in vigore alle politiche già con queste percentuali sarebbe molto complesso l’emergere di una maggioranza solida). Se poi si considerano, solo numericamente, anche altri partiti teoricamente dell’opposizione, il cosiddetto (quanto improbabile) “campo largo” avrebbe addirittura un certo margine.

Al di là di ogni altra considerazione, anche queste elezioni hanno confermato che in questo momento nel nostro paese politicamente la scelta di non schierarsi apertamente da una parte o dall’altra è perdente, non paga. Logica e buon senso vorrebbero, quindi, che Renzi e Calenda facciano una chiara scelta di campo, anche se, si sa, quando ci sono di mezzo quei due politici logica e buon senso sono un optional. Tutto come ampiamente previsto, invece, per quanto riguarda Santoro (che se ritrovasse un briciolo di lucidità dovrebbe fare mea culpa e riflettere seriamente) e Bandecchi che, visto il risultato “ridicolo” ottenuto, forse dovrebbe iniziare a pensare che la politica non fa per lui…

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