A Roma tre giornalisti che stavano documentando un blitz di Ultima Generazione sono stati fermati e identificati dalla Digos che poi li ha portati in caserma dove li ha tenuti per 2 ore in una cella, come fossero criminali. Era già accaduto poche settimane fa a Messina e Padova…
L’avevamo scritto qualche settimana che Report senza frontiere era stata sin troppo ottimista a collocare l’Italia al 46° posto (dal 41° dell’anno precedente) nella classifica sulla libertà di stampa. I fatti accaduti ieri a Roma, con 3 giornalisti fermati ed identificati dalla polizia, poi portati in caserma e trattenuti in una cella per un paio d’ore, alla stregua di pericolosi criminali, solo perché stavano svolgendo il proprio compito (cioè documentare quanto stava accadendo in una manifestazione) sono molto più che inquietanti. Anche e soprattutto perché non sono purtroppo una spiacevole eccezione. Sarà anche esagerato, come sostengono sempre da destra, ma i fatti accaduti ieri a Roma sono davvero episodi che solitamente avvengono in un paese dove esiste un regime. La cronaca di quanto avvenuto è semplicemente sconcertante.
La collaboratrice de “Il Fatto Quotidiano” Angela Nittoli, il fotografo de “Il Corriere della Sera” Massimo Barsoum e il videomaker freelance Roberto Di Matteo stavano svolgendo il proprio lavoro, documentando un blitz (ampiamente annunciato) di Ultima Generazione, quando sono stati fermati ed identificati dalla Digos che, nonostante i 3 avessero subito mostrato la tessera dell’Ordine dei giornalisti, gli ha impedito di utilizzare il cellulare per riprendere la manifestazione di protesta, di fatto impedendogli di continuare a svolgere il proprio lavoro. Incredibilmente poi i 3 sono stati caricati in macchina e portati al commissariato di Castro Pretorio dove sono stati sottoposti a perquisizione, nonostante si fossero subito offerti di mostrare i contenuti di borse e zaini dove era riposta l’attrezzatura necessaria per il proprio lavoro.
Due di loro sono stati sottoposti anche a perquisizione personale, poi sono stati lasciati per oltre 2 ore in una cella di sicurezza piccolissima, nonostante avessero chiesto di poter essere spostati in sala di attesa, con la porta aperta e sorvegliati dagli agenti. Ad un certo punto la giornalista ha chiesto di poter andare al bagno ma è stata costretta a farlo con la porta aperta, con la presenza degli agenti. Definire quanto accaduto una vergogna è assolutamente riduttivo, sono scene e vicende da regime, che non possono accadere e non posso essere in alcun modo tollerate in un paese civile e democratico. Per altro, come se non lo fosse già la vicenda in se, ad inquietare maggiormente è il fatto che quanto accaduto a Roma non si tratta certo di un episodio isolato, già negli ultimi tempi si erano verificate situazioni simili.
A fine anno a Messina il giornalista Fabrizio Bertè di “La Repubblica” che si stava recando ad una manifestazione di protesta degli aderenti alla campagna “Fondo riparazione” è stato fermato, identificato e perquisito dagli agenti della Digos che poi l’hanno portato in Questura, impedendogli quindi di svolgere il proprio lavoro, dove è stato nuovamente perquisito e tenuto in stato di fermo per oltre un paio d’ore. Qualche settimana fa (il 12 aprile) a Padova Edoardo Fioretto, giornalista de “Il Mattino di Padova” stava seguendo e documentando un’azione di protesta di Ultima Generazione a Palazzo Zabarella quando è stato fermato e portato in Questura, nonostante avesse mostrato la tessera dell’ordine dei giornalisti, dove è stato tenuto per 5 ore in un surreale “stato di congelamento” (questo è quanto gli hanno detto i funzionari della Questura…) in cui non poteva neppure chiamare un avvocato.
Per altro la notizia del suo fermo si è subito diffusa nella redazione del giornale che ha immediatamente mandato in Questura un proprio legale al quale, però, non è stato permesso di entrare. “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria” recita l’articolo 21 di una Costituzione che ormai viene sistematicamente violata nel nostro paese. Dopo i fatti di Messina e Padova la Federazione nazionale della stampa e l’ordine dei giornalisti avevano chiesto e ottenuto un incontro con il ministro dell’interno Piantedosi che aveva assicurato che non c’era alcuna strategia dietro a simili episodi che lo stesso ministro aveva condannato.
“E’ grave che degli operatori dell’informazione siano sottoposti all’attenzione della polizia durante l’attuazione del dovere di cronaca e sostanzialmente intimiditi” protesta l’Osservatorio sulla legalità e sui diritti che esprime forte preoccupazione per quanto sta avvenendo nel nostro paese. Sarà anche come sostiene Piantedosi che non c’è alla base alcuna strategia, certo, però, tre episodi simili nel giro di poco tempo sollevano più che qualche sospetto. Anche perché è il clima generale che si è fatto pesante e preoccupante nei confronti di quegli operatori dell’informazione che svolgono semplicemente il proprio mestiere e che hanno “l’ardire” di ritenere che si possa liberamente criticare l’operato delle istituzioni.
In tal senso è per certi versi ancora più inquietante l’episodio raccontato giovedì sera ad “Otto e mezzo” (il programma condotto da Lilly Gruber su “La7”) dal giornalista Massimo Giannini che, dopo essere stato ospite ad un programma televisivo nel corso del quale aveva criticato il comportamento delle forze dell’ordine in occasione delle manifestazioni degli studenti, è stato svegliato alle 4 di notte in hotel dalla polizia che ha pensato bene a notte fonda di presentarsi in camera per notificargli una querela. Questa, come quelle accadute a Messina, Padova e Roma, sono vicende che accadevano nell’Argentina dei colonnelli o nel Cile di Pinochet ma che sono inaccettabili in un paese civile. Sempre ad “Otto e mezzo” il direttore de “Il Secolo d’Italia” (il giornale vicino a Fratelli d’Italia), Italo Bocchino ha ammesso che quanto accaduto a Roma è inaccettabile ma ha assicurato che non c’è alcuna strategia dietro e che ci si può fidare del ministro Piantedosi.
Parole che lasciano il tempo che trovano e che non servono a nulla anche perché dopo tre episodi analoghi (oltre la vicenda che ha raccontato Giannini) nel giro di poche settimane pensare che tutto sia casuale e frutto di “deliri personali” è semplicemente ridicolo. E’ necessario un immediato intervento concreto del ministro, ancor più che chi ha commesso simili inaccettabili prevaricazioni, contrarie ad un diritto costituzionalmente garantito, ne paghi le conseguenze. In altre parole, al netto delle chiacchiere, servono sanzioni nei confronti di chi ha agito in quel modo e di chi ha permesso che si verificasse una simile inaccettabile situazione.
In caso contrario sarà chiaro che, a differenza di quanto sostiene il ministro, quei comportamenti non sono frutto di follia e delirio personale ma di una precisa e voluta strategia tipica dei peggiori regimi…