Gli eventi degli ultimi giorni mostrano il volto del moderno “regime” all’italiana, un po’ cialtronesco stile Marche del Grillo ma con la feroce avversione per chi osa dissentire e cinicamente vendicativo con chi pretende anche dagli esponenti di governo il rispetto delle regole
Il duro attacco della presidente del Consiglio contro una giornalista “colpevole” di aver espresso un’opinione poco gradita. Le minacce alla stessa giornalista e al suo editore da parte del presidente della Commissione Editoria della Camera e responsabile nazionale cultura e innovazione di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone. La nomina come coordinatore del piano per l’educazione affettiva nelle scuole dell’autore di un libro velatamente (per usare un eufemesmo) sessista. La sosta “ad personam” del Frecciarossa diretto a Napoli per il ministro cognato Francesco Lollobrigida.
La revoca della scorta alla giudice che nel luglio scorso aveva disposto l’imputazione coatta per il sottosegretario alla giustizia Andrea De Mastro. Gli eventi delle ultime ore potremmo definirli, senza tema di smentita, “cronache di ordinario regime” che, per altro, non provocano la feroce indignazione che invece dovrebbero, scivolano via come se nulla fosse.
Naturalmente quando parliamo di “regime” non facciamo certo riferimento a qualcosa di simile a quelli soffocanti, violenti e sanguinari del ‘900 quanto piuttosto ad una forma di moderno regime di stampo occidentale, in questo caso anche un po’ cialtronesco (che sembra ispirarsi al Marchese del Grillo e al suo “perchè io so’ io e voi non siete un c...”), che finge di rispettare le fondamentali libertà di ogni individuo, a partire da quella di pensiero e di opinione, ma che poi mette ferocemente “alla gogna” e prova a distruggere chi osa anche solo mettere in discussione il “sovrano” e la sua corte e, ancora peggio, cinicamente non si fa alcuno scrupolo di vendicarsi nel modo peggiore su chi si azzarda a pretendere anche dalla corte stessa il pieno rispetto delle regole valide per tutti gli altri cittadini.
Inevitabilmente quando si parla di lato cialtronesco viene subito in mente il ministro cognato e la sua imbarazzante vicenda del Frecciarossa ma, per certi versi, anche la scelta di Alessandro Amadori come coordinatore del piano per l’educazione affettiva nelle scuole. In un momento in cui l’opinione pubblica è scossa dall’ennesimo atroce femminicidio e, di conseguenza, non solo l’universo femminile ma, finalmente, in parte anche quello maschile provano seriamente a mettere in discussione la nostra società ancora così profondamene patriarcale e maschilista, affidare la responsabilità di gestire e coordinare quel fondamentale intervento di prevenzione ed educazione all’autore di un saggio vagamente sessista, “La guerra dei sessi”, è un atto di inutile e cialtronesca “spacconeria”, oltre che una colossale dimostrazione di mancanza di rispetto e di ancor minore sensibilità.
Per chi non lo conoscesse, in quel libro in sostanza si arriva a sostenere che la violenza maschile contro le donne è effetto della perdita di potere degli uomini dovuta alla presunta tendenza delle donne a “castrare” gli uomini stessi. Non servirebbe neppure sottolinearlo, ovviamente Alessandro Amadori è un fedele e importante esponente politico della Lega, figura di rilievo nella stesura del manifesto educativo-culturale del Carroccio che, quindi, prima o poi un qualche modo doveva trovare un suo spazio in un governo e in una coalizione che “premia” a getto continuo parenti di ogni grado e amici.
E proprio il parente più famoso, il ministro cognato Lollobrigida, è l’emblema di questo lato cialtronesco, alla Marchese del Grillo, del nostro moderno regime. In questi mesi al governo ci aveva già regalato leggendarie “perle” ma questa volta si è superato con la fermata “ad personam” del gremitissimo Frecciarossa che viaggiava già con un discreto ritardo. Che, ovviamente, deve essere sopportato in silenzio dai normali cittadini ma non certo da un rappresentante della “casta” di governo che ha chiesto e ottenuto una fermata straordinaria in una stazione in cui non era prevista la sosta. E pazienza se questo ha comportato ulteriore disagio e ritardo per tutti gli altri passeggeri del treno…
La faccia feroce di questo regime all’italiana, invece, è altrettanto indiscutibilmente quella della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Che in questi 13 mesi di governo ha ampiamente dimostrato tutta la sua avversione per la libera stampa, per chi prova a fare informazione indipendente e tutta la sua più profonda allergia per qualsiasi confronto democratico. Ad onor del vero non che gli ultimi presidenti del Consiglio prima di lei fossero molto più disponibili e aperti, ma la leader di Fratelli d’Italia ha fatto un ulteriore salto in avanti (o forse sarebbe meglio dire indietro) rispetto ai suoi predecessori, aggiungendo anche l’idiosincrasia nei confronti di qualsiasi critica o presunta tale, a cui risponde con un’aggressività insopportabile (soprattutto per chi è alla guida del paese e, quindi, è in una situazione di indiscusso potere).
Per altro con uno schema ormai consolidato, la presidente del Consiglio attacca con inaudita durezza chi osa sollevare dubbi o, peggio ancora, critiche al suo operato (e su quello del governo), lasciando poi agli esponenti del suo governo o del suo partito il “lavoro sporco”. Emblematico, a tal proposito, il caso della conduttrice di “Otto e mezzo” Lilli Gruber” che lunedì sera parlando del caso Cecchettin con il giornalista di “Libero” Francesco Specchia ha affermato “tu non potrai negare che in Italia ci sia una forte cultura patriarcale e che questa destra destra al potere non la sta proprio contrastando tanto”, aggiungendo poi “si abbiamo una donna come presidente del Consiglio che però ci tiene ad essere chiamata Il presidente, per me un mistero della fede. Sarà anche questa una cultura di destra patriarcale?”.
Non lo avesse mai detto, immediata è arrivata la dura replica della presidente del Consiglio che ha accusato la Gruber di strumentalizzare “anche le tragedie più orribili”. “Ritengo che sia sempre pericoloso per il buon funzionamento democratico quando un presidente del Consiglio attacca direttamente la stampa e i singoli giornalisti” ha replicato la Gruber. Anche perché, come sempre avviene in queste circostanze, l’intervento della presidente del Consiglio è stato solo l’inizio di una vera e propria campagna che mira a colpire pesantemente la giornalista e il suo editore. A breve distanza di tempo, infatti, ecco arrivare l’intervento di Federico Mollicone, presidente della Commissione Editoria della Camera responsabile nazionale cultura e innovazione di FdI, meglio conosciuto come l’uomo che ha dichiarato guerra a Peppa Pig, che ha minacciato di chiamare in audizione davanti alla Commissione la stessa Gruber e il suo editore Cairo per “tutelare il pluralismo in trasmissioni come Otto e mezzo”.
Sarebbero infinite le argomentazioni per stroncare senza possibilità di replica l’ennesima uscita fuori luogo di Mollicone (partendo innanzitutto dal fatto che La7, fino a prova contraria, è una tv privata, o magari ricordando allo “smemorato” presidente della Commissione Editoria che semmai prima dovrebbe preoccuparsi del pluralismo nella Rai che è diventata sempre più “Tele Meloni”). Meglio buttarla sull’ironia come ha fatto Massimo Giannini, proprio a “Otto e mezzo”, sostenendo che “sono soddisfatto di Mollicone, passare da guardare Peppa Pig a guardare programmi di informazione importanti come questo è un segnale di emancipazione culturale”.
Non ci si può invece rifugiare nell’ironia per la vicenda della giudice romana Emanuela Attura. A cui, nel marzo 2020, era stata assegnata una tutela di quarto livello (agente e autista di scorta) perché nel mirino dei Casamonica (“questa giudice me la porterò con me nella tomba” aveva detto Raffaele Casamanonica, intercettato in carcere in un colloquio con un suo familiare) ma anche perché al centro di importanti inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Roma e sulle infiltrazioni della ndrangheta nel Lazio. L’estate scorsa la giudice era stata bersaglio di un violento attacco politico da parte del governo e della destra dopo che aveva disposto l’imputazione coatta per il sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro per la fuga di notizie e le informazioni passate al deputato di FdI Donzelli (coinquilino di Delmastro) nell’inchiesta Cospito. A tal proposito era stata anche presentata una richiesta di apertura di una pratica alla Consiglio superiore della magistratura, respinta quasi con sdegno dal Csm. Nei giorni scorsi, però, come un fulmine a ciel sereno è arrivata la decisione di uno degli uffici del ministero dell’interno che con effetto immediato ha deciso di togliere, con effetto immediato, ogni tutela alla giudice romana. “Casualmente” proprio a pochi giorni dall’udienza preliminare (mercoledì 29 novembre del procedimento contro Delmastro…