Una settimana fa Actionaid lanciava la campagna “Black Freeday -70%” per denunciare il taglio dei fondi sulla prevenzione contro la violenza di genere operato dal governo Meloni: “senza fondi si continuerà ad intervenire sempre e solo in risposta a violenze già subite”
Esattamente una settimana fa, lunedì 13 novembre, all’angolo tra via del Corso e via Frattina a Roma Actionaid lanciava la campagna “Black Freeday -70%” per denunciare il taglio dei fondi sulla prevenzione contro la violenza di genere operato dal governo Meloni, chiedendo ovviamente all’esecutivo di tornare indietro su quella inaccettabile decisione. Con la vicesegretaria generale Katia Scannavini era presente anche la storica testimonial di Actionaid, Claudia Gerini ed insieme hanno presentato il mega cartellone luminoso posto proprio all’angolo tra via del Corso e via Frattina con il volto di una donna che esce dall’ombra e sovrasta la scritta ad intermittenza “Black Freeday -70%”, con sotto lo slogan “Per liberare le donne dalla violenza puntare al ribasso non conviene”.
“Uno sconto incredibile – denunciava Actionaid – che batte tutte le offerte del Black Friday e che arriva dall’attuale governo. Eppure i numeri sono abominevoli e non possono passare inosservati”. “In Italia sono quasi 7 milioni le donne che hanno subito violenza fisica, oltre 2 milioni quelle che subiscono stalking e da inizio anno si sono verificati 104 femminicidi – aggiungeva Claudia Gerini – Bisogna sradicare quella cultura maschilista e patriarcale che è alla base di tutto ciò, intervenire in supporto di queste donne è fondamentale ma arrivare dopo non basta. E’ necessario contrastare la violenza di genere in tutte le sue forme, prima che si verifichi. Per questo fare sconti sulla prevenzione non è ammissibile”.
Invece il governo ha decurtato addirittura del 70% i fondi destinati alla prevenzione che sono passati dai 17 milioni di euro stanziati nel 2022 ai 5 milioni per l’anno in corso. “Con la campagna Black Freeday – concludeva Katia Scannavini – vogliamo chiedere al governo e al Parlamento di costruire davvero un futuro libero dalla violenza per bambine e ragazze perché senza fondi sufficienti e politiche mirate alla prevenzione si continuerà ad intervenire sempre e solo in risposta alle violenze già subite dalle donne”.
Purtroppo esattamente quello che sta accadendo in queste ore, con il Paese sconvolto per il femminicidio numero 105 (ma in queste ore, proprio nelle Marche, è arrivato il femminicidio numero 106), quello di Giulia Cecchettin, e il solito fiume di dichiarazioni, di promesse di interventi, con il profondo dolore espresso dal governo e dalla presidente del Consiglio Meloni che, per l’occasione, ha addirittura accolto l’appello della segretaria del Pd, Elly Schlein, per promuovere insieme un intervento legislativo a tutela delle donne. Senza voler strumentalizzare una vicenda così drammatica e dolorosa, sono le solite “lacrime di coccodrillo”, come dimostrano innanzitutto proprio la campagna e la denuncia di Actionaid.
Perché chi ha davvero a cuore la lotta alle violenze contro le donne e ai femminicidi non può in alcun modo neppure immaginare di tagliare un euro dei fondi destinati alla prevenzione anzi, semmai si impegna ad aumentarli e si preoccupa che vengano usati nel modo migliore possibile. Ancora, sono “lacrime di coccodrillo” perché quelli che oggi, dopo la tragedia della povera Giulia, promette tutto quello che si può promettere sono gli stessi che al Parlamento europeo si sono astenuti (quindi non hanno votato a favore) sulla proposta di chiedere all’Unione europea di aderire alla convenzione di Istanbul, il più importante trattato internazionale contro la violenza sulle donne.
Un’autentica vergogna, ancora più sconcertante di fronte alle imbarazzanti motivazioni a cui Fratelli d’Italia e la Lega si sono aggrappati per spiegare l’inspiegabile. La prima di metodo, perché la mozione era stata votata a maggioranza invece che all’unanimità, la seconda ancora più ridicola adducendo la presunta preoccupazione su fantomatiche tematiche legate al gender che, però, come aveva ampiamente ribadito e sottolineato anche la Corte di giustizia europea, nulla avevano a che fare con quella convenzione. Ma soprattutto sono “lacrime di coccodrillo” perché questa governo e questa destra, consapevolmente o meno, alimentano e supportano quella società maschilista e patriarcale che è alla base della condizione sempre più precaria e a rischio delle donne nel nostro paese. C’è un dato, per certi versi più significativo e sconcertante del numero stesso dei femminicidi, che fotografa la situazione.
Secondo i dati, aggiornati al primo semestre del 203, del Gender Social Norm Index delle Nazioni Unite in Italia il 61,58% della popolazione ha pregiudizi contro le donne e il 45% ha convinzioni che possono condurre a giustificare la violenza fisica, sessuale e psicologica da parte del partner. L’esempio più eclatante di cosa sia la “società maschilista e patriarcale” denunciata da Actionaid è nelle parole pronunciate qualche mese fa dall’ex compagno della Meloni, Giambruno, a Rete4 dopo l’ennesimo episodio di violenza sessuale (di gruppo) su una ragazza (in provincia di Palermo): “Se vai a ballare tua hai il diritto di ubriacarti, ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi”.
“Una frase da medioevo, il solito uomo che dice: te la sei cercata. E purtroppo questa è una mentalità diffusa nel nostro paese” aveva subito commentato l’eurodeputata Alessandra Mussolini, trovando subito conferma alla sua denuncia nel supporto e nella condivisione che le allucinanti affermazioni di Giambruno hanno avuto non solo da parte di una certa stampa e di gran parte della destra, ma anche e soprattutto dal governo, compresa la stessa presidente del Consiglio. Purtroppo nulla di sorprendente perché le parole dell’ex compagno della Meloni sono perfettamente in linea con il pensiero molto diffuso nel nostro paese, e sempre rappresentato ed espresso da una certa stampa e da determinati esponenti politici, che in queste circostanze trova sempre e comunque una corresponsabilità nella vittima (perché a quell’ora non doveva essere in giro, perché non doveva bere, perché non doveva vestirsi in un certo modo, ecc…).
Si chiama “cultura dello strupro”, cioè un sistema che minimizza, normalizza e per certi versi incoraggia la violenza stessa, con l’idea che la vittima “in qualche modo se l’è cercata” o, nella migliore delle ipotesi, non ha fatto quanto poteva per evitare lo stupro. Quel che è peggio è che questa “cultura dello stupro” permea con sempre maggiore frequenza e si ritrova anche nelle sentenze sui casi di violenza sessuale, con il presunto comportamento poco attento della vittima che diventa addirittura un’attenuante o, peggio ancora, la base per giustificare un’assoluzione. Il caso più recente (ad inizio estate) arriva dal Tribunale di Firenze che ha assolto due giovani imputati dall’accusa di stupro di gruppo.
Nella sentenza si spiega che la violenza c’è stata, che la vittima non era consenziente ma l’assoluzione viene determinata dal fatto che i due ragazzi “non avevano la piena consapevolezza della mancanza di consenso” a causa dei comportamenti avuti negli anni passati dalla ragazza. Per non parlare dell’incredibile archiviazione disposta dal Tribunale di Benevento della denuncia di abusi sessuali presentata da una donna nei confronti dell’ex marito in virtù del “sacro” diritto dell’uomo di pretendere prestazioni sessuali dalla moglie. Lo schema è sempre lo stesso, la vittima ha comunque quanto meno delle corresponsabilità e, per lavarsi la coscienza, il carnefice ha avuto un improvviso raptus o, nella peggiore delle ipotesi, è un “mostro”.
“Filippo Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. I mostri non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro. Il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, non fa abbastanza per prevenire. Non finanzia adeguatamente i percorsi educativi, l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Lo Stato è complice perché non condanna apertamente questi episodi, non dice le cose che dovrebbe, non rende sicure le donne” afferma la sorella di Giulia, Elena. Che poi lancia un appello agli uomini che merita di essere condiviso in pieno:
“Gli uomini devono fare mea culpa, anche chi non ha mai fatto nulla. Sono sicura che nella vostra vita c’è stato almeno un episodio in cui avete mancato di rispetto ad una donna in quanto donna, in cui avete mancato di rispetto a qualcuno solo perché donna, avete fatto catcalling o commenti sessisti con i vostri amici. L’ironia da spogliatoio non va bene. Fatevi un esame di coscienza e poi imparate da questo episodio e iniziate a richiamare anche i vostri amici perché da voi deve partire questo. Noi donne possiamo anche difenderci ma finché gli uomini non si renderanno conto del privilegio che hanno in questa società non andremo da nessuna parte. Fatelo per mia sorella“