Secondo la visione di parte di politici e media italiani, “capitanati” da Ernesto Galli della Loggia, chi non approva la strage di civili e bambini messa in atto da Israele a Gaza è un “sostenitore dei terroristi che, magari inconsapevolmente, desidera la distruzione di Israele”
Siamo tutti terroristi o, nella migliore delle ipotesi, sostenitori dei terroristi che, consapevolmente o meno, desideriamo la cancellazione di Israele. Almeno secondo la folle visione manichea di una consistente fetta di politici e giornalisti italiani, di destra ma anche del centrosinistra. Lo ripetono ormai da quel tragico 7 ottobre in poi, i vari Sallusti, Belpietro, Ferrara, Bocchino, capitanati dal più guerrafondaio di tutti, quel Mario Sechi che, se potesse, farebbe molto di peggio di quanto già non stia facendo Netanyahu.
Ma, anche se non usa i toni da “predicatori di guerra” dei suoi colleghi, il punto di riferimento dei sostenitori della guerra di casa nostra è indiscutibilmente Ernesto Galli della Loggia. Che nei giorni scorsi, dopo aver invitato a riflettere “tutti coloro che pensano che la guerra costituisca intrinsecamente un male”, sostenendo invece che “a volte non c’è che la guerra capace di evitare un male ancora maggiore”, di fatto ha regalato a semplice trascurabile “inconveniente” il fatto che Israele, per esercitare il proprio diritto di autodifesa (che evidentemente considera illimitato), stia sterminando migliaia e migliaia di innocenti civili e di bambini. D’altra parte, però, lo stesso Galli della Loggia già qualche settimana fa aveva indicato la strada.
“Con la sua selvaggia sete di sangue – scriveva – questo terrorismo vuole una cosa sola: la distruzione di Israele, la pura e semplice eliminazione dello Stato ebraico e dei suoi abitanti, la cancellazione di entrambi dalla faccia della terra. E chi qui in Italia oggi è pronto a stracciarsi le vesta di fronte alla reazione israeliana, deve sapere che in realtà anche lui, ne sia cosciente o no, si prefigge la medesima cosa”. Una sentenza senza appello, non ci possono essere dubbi, né cedimenti umanitari, non deve esserci spazio a nessuna forma di pietà: chi non approva e non condivide in pieno, chi non applaude l’inevitabile (secondo questo folle ragionamento) strage di civili non può che essere un terrorista o un sostenitore dei terroristi che, anche se non lo dice, desidera la distruzione di Israele. E, allora, su questa base altrettanto inevitabilmente dovremmo concludere che il nostro paese e, ancor più, tutto il mondo occidentale pullula di terroristi e di “odiatori seriali” di Israele.
Perché da settimane in tutte le principali piazze italiane, europee e americane migliaia e migliaia di persone manifestano per la pace, per chiedere che Israele fermi questa strage (o che qualcuno convinca Israele a fermarsi). Erano oltre 20 mila a Roma, tantissimi anche a Torino, Milano, Firenze, Venezia. Allo stesso modo a Londra a Piccadilly Circus, a Berlino ad Alexanderplatz, anche a Parigi, a Place de Republique, nonostante il divieto da parte del governo francese. Mobilitazione senza precedenti anche negli Stati Uniti, con la National March di Washington, organizzata da “Answer Coalition” e sostenuta da 450 organizzazioni, che ha visto la partecipazione di decine e decine di migliaia di persone, provenienti da tutti gli stati della federazione, per chiedere un immediato cessate il fuoco e la sospensione degli aiuti militari ad Israele.
Ma da settimane anche negli stadi e nei palazzetti di tutta Europa gli ultras e i tifosi di diverse squadre espongono striscioni e bandiere per la Palestina, invocando pace a Gaza. Tutti terroristi o sostenitori dei terroristi, secondo Galli della Loggia e gli altri accaniti fans della guerra e della strage senza limiti che sta portando avanti Israele. Senza alcuna ipocrisia, non vi è dubbio che tra quei manifestanti, in Italia e nel resto dell’occidente, ci sarà stato sicuramente chi davvero è anti semita e nutre inaccettabili sentimenti di odio nei confronti di Israele.
Ma è completamente fuori luogo, oltre che offensivo e ai limiti della diffamazione, definire in quel modo chi invece manifesta in nome della pace, ritenendo che non possano esserci giustificazioni che tengano di fronte a quella strage di civili e di bambini, e che, a differenza di quanto sostiene Galli della Loggia, legittimamente ritiene la guerra sempre e comunque il male peggiore. E affermare simili principi non significa certo giustificare in alcun modo l’orrore di Hamas o tanto meno sostenere la causa dei terroristi. Significa semplicemente non accettare che a quell’orrore si risponde con un orrore infinitamente più grande, ma anche considerare sacra la vita di ogni essere umano, senza distinzioni (come invece avviene dall’altra parte).
E, soprattutto, significa non accettare l’improponibile visione dell’ennesima “guerra santa” del bene contro il male e non essere “lobotomizzati” al punto di negare l’evidenza e di non vedere che quanto sta facendo Israele a Gaza non c’entra nulla con l’autodifesa né con la volontà di eliminare definitivamente Hamas ma è semplicemente una vera e propria strage dal sapore vendicativo, ai limiti del genocidio.
Perché è giusto chiamare quello che sta accadendo con il giusto nome, senza nascondersi dietro il ridicolo e per nulla credibile paravento del diritto all’autodifesa. Che è sancito e codificato dall’art. 51 della Carta delle Nazione Unite che ne fissa anche i limiti, a partire dalla proporzionalità. Oltrepassati i quali si sconfina nel campo dei crimini di guerra. E, limitandoci alla cronaca degli ultimi giorni, in quale altro modo possono essere classificate le azioni compiute da Israele a Gaza? Dal bombardamento e distruzione dei magazzini in cui venivano raccolti (per poi essere distribuiti alla popolazione al collasso) gli aiuti umanitari (generi alimentari), a quello del campo profughi di Jabalia che ha provocato oltre 50 morti e centinaia di feriti tra i civili (secondo l’esercito israeliano nel raid sarebbe morto il comandante del battaglione centrale di Hamas e pazienza se per uccidere lui sono stati sacrificati decine di civili, tra cui numerosi bambini…). E poi ancora, il bombardamento sul campo rifugiati di Maghazi (oltre 50 morti), l’ordine di far evacuare l’ospedale Al Quds che ospita centinaia di feriti e dove trovano rifugio oltre 10 mila sfollati, il raid contro le ambulanze a Gaza City (oltre 20 morti e un centinaio di feriti).
Per il diritto internazionale non ci sono dubbi, si tratta di crimini di guerra, non certo di azioni che possono rientrare nell’ambito del diritto all’autodifesa. Di fronte alle quali, nella visione manichea della guerra del “bene” contro il “male” (che, come ci insegna la storia degli ultimi 30 anni, ha prodotto danni e guasti irreparabili), diventa addirittura difficile capire da quale parte sia il bene e da quale il male. Sicuramente trucidare a sangue freddo 1400 israeliani, presi casa per casa, in alcuni casi sgozzati o bruciati vivi, tra cui tantissimi bambini e ragazzi e ragazze che avevano solamente la colpa di volersi divertire, rappresenta indiscutibilmente il “male”.
Ma possiamo in qualche modo catalogare come “bene” l’uccisione indiscriminata di oltre 10 mila civili, tra cui più di 4 mila bambini? Anche in questo caso siamo di fronte a morti innocenti, uccisi non in una battaglia ma in attacchi indiscriminati che nulla c’entrano con l’autodifesa, né tanto meno con la guerra ai vertici di Hamas. Nei racconti della seconda guerra mondiale, tutto il mondo civile inorridiva di fronte alle atroci gesta della Germania di Hitler che, per ogni nazista ucciso dai partigiani, per vendetta uccideva 10 innocenti civili. Lungi da noi fare inaccettabili paragoni, ma in termini strettamente numerici siamo ormai a quei livelli ed il rischio concreto (anzi, la certezza se non si ferma i bombardamenti) che si arriverà a proporzioni doppie e triple di quelle operate dai nazisti.
Una simile “mattanza” può essere davvero considerato diritto all’autodifesa? E quante migliaia di civili e di bambini dovranno ancora morire prima di poter instillare il dubbio che forse si sta esagerando? Insieme al diritto all’autodifesa, per giustificare questo massacro si sbandiera la guerra ad Hamas, la volontà di distruggere i suoi vertici. Una palese ipocrisia perché tutti, Israele in testa, sanno che in realtà i vertici di Hamas non sono certo a Gaza ma altrove, magari in Qatar (come il suo attuale leader Ismail Haniyeh, il suo predecessore Khaled Meshal, il portavoce Samu Abu Zuhri) o in Libano o anche in Turchia. Continuando a bombardare Gaza, quindi, i vertici di Hamas non vengono in alcun modo toccati, semmai potrà essere decimata la base del movimento.
Ma non bisogna certo essere dei grandi esperti per capire che, a maggior ragione dopo questa “mattanza”, non sarà certo difficile per i capi di Hamas reclutare nuovi adepti. C’è un fatto che, a nostro avviso, più di ogni altro testimonia la folle deriva in cui stiamo precipitando. Nel fine settimana scorso è stato sospeso il ministro israeliano per gli affari e il patrimonio di Gerusalemme, Amichai Eliyahu, che aveva affermato che “oggi sganciare una bomba atomica sulla Striscia di Gaza è un’opzione”. Sospensione inevitabile dopo le polemiche che ne sono scaturite ma non per l’atrocità in se dell’affermazione, quanto semplicemente che il ministro non avrebbe considerato che così metterebbe a rischio la vita degli ostaggi israeliani.
Vale a dire che, se non ci fossero gli ostaggi, quell’atroce opzione sarebbe considerata del tutto normale. Se considerare folle una simile opzione significa essere terroristi, allora siamo orgogliosi di esserlo…