Non è un paese per talenti…


Il caso Egonu è l’ennesima dimostrazione di come in questo paese si cerchi sempre di mortificare il talento ma anche di come un certo sentimento (che, per carità, non chiamatelo razzismo…) sempre meno latente caratterizzi una fetta comunque consistente della nostra società

Diceva Oscar Wilde attraverso il suo Dorian Gray: “there in only one thing in the world worse than being talked about, and that in not being talking about” (“c’è una sola cosa al mondo peggiore del far parlare di sé ed è non farne parlare”). Un’espressione a cui negli anni molti hanno fatto riferimento (Andreotti ripeteva spesso “nel bene o nel male, purché se ne parli”) e che sembra calzare alla perfezione a quanto sta avvenendo nel mondo della pallavolo italiana con il caso Egonu. Perché in effetti mai come in questo periodo, neppure nei momenti di gloria, quando arrivavano successi a ripetizione della Nazionale, si è mai parlato così tanto, sui media e sui social, della pallavolo.

Perché indiscutibilmente il caso è a dir poco eclatante, il clamoroso harakiri dell’allenatore Mazzanti e dell’inerme federazione italiana ha davvero dell’incredibile. E, in aggiunta, quando c’è di mezzo, per sua volontà o meno, Paola Egonu i media e l’opinione pubblica si scatenano, come dimostra la paradossale e menzognera campagna mediatica montata in questi giorni da una parte dell’informazione a cui non è parso vero, pur non risparmiando critiche all’indifendibile allenatore e all’ancor meno difendibile federazione, trovare il modo di stuzzicare quel sentimento discriminatorio, sempre meno latente, che caratterizza una fetta comunque consistente della società italiana (ma, per carità, non chiamatelo razzismo…). Che in questo caso si unisce all’atavica capacità di questo paese di mortificare sempre e comunque i talenti in qualsiasi campo.

Paola Egonu è l’ennesimo talento mortificato in Italia perché il capo non vuole essere messo in ombra – scrive Massimo Gramellini – il talento non è di buon comando, però ti fa vincere e un manager in gamba è tale perché sa gestirlo”. In realtà, a differenza di quello che si vuole far credere, la storia sportiva della 25enne campionessa italiana dimostra esattamente il contrario, che non è affatto difficile gestirla. E questo non fa altro che aumentare le responsabilità del tecnico azzurro e della federazione. A prescindere da tutto, siamo di fronte ad una delle pagine più imbarazzanti della storia recente dello sport italiano, che riguarda due ambiti differenti ma strettamente connessi: quello tecnico-sportivo e quello mediatico. Partendo dal primo, chiunque “mastichi” anche solo un po’ di pallavolo non ha grandi dubbi.

Innanzitutto sul fatto che è la Nazionale ad avere un disperato bisogno dell’Egonu e non certo il contrario. Perché la campionessa italiana, a soli 25 anni, ha già vinto tutto quello che c’era da vincere con le squadre di club (un mondiale per club, 3 Champions League, 2 scudetti, 5 Coppe Italia, 1 Coppa di Turchia, 4 Supercoppe italiane), facendo incetta di riconoscimenti individuali (giocatrice mondiale dell’anno, mvp in mondiale per club, Champions, campionati, coppe varie). Ed è sin troppo facile prevedere che continuerà a farlo nei prossimi anni, a differenza della Nazionale senza di lei.

Ancora meno dubbi, poi, ci sono sul fatto che il campo, che nello sport dovrebbe sempre essere il giudice supremo, ha dimostrato ciò che in realtà era sin troppo facile prevedere, cioè che le scelte di Mazzanti si sono rivelate fallimentari e che il suo improbabile progetto (o percorso che dir si voglia) è miseramente naufragato. A chi gli chiedeva con quale criterio facesse la formazione, il selezionatore della nazionale brasiliana di calcio ai mondiali di Svezia 1954, Vicente Feola, rispondeva: “semplice, prima scelgo tutti quelli che sanno giocare bene a pallone, poi nei posti liberi metto gli altri”.

Estremizzando un po’, si potrebbe dire che Mazzanti ha fatto l’esatto contrario. Ha rinunciato al libero più forte al mondo (Mochi De Gennaro), ad alcune delle giocatrici chiave della Nazionale (come Bosetti, Chirichella, Folie, Malinov), infine ha messo ai margini quella che unanimemente è considerata tra le 3 più forti giocatrici al mondo. Molto si è parlato ad Europeo in corso dei rapporti difficili tra Mazzanti e le azzurre. Senza dilungarci oltre, ci limitiamo ad osservare che, in qualsiasi sport di squadra, le formazioni vincenti sono sempre composte da campioni e giocatori con una forte personalità. E se il tecnico di una Nazionale che punta a vincere non è in grado di gestire campionesse con personalità, allora è meglio che faccia altro.

Per altro, con l’esclusione dalle convocate di quelle giocatrici, a maggior ragione serviva alla formazione azzurra un punto di riferimento, un terminale offensivo sicuro a cui appoggiarsi nei momenti difficili e nelle fasi decisive. Riferimento che tutte le nazionali più forti hanno (Vargas, Boskovic, Stysiak) e che anche l’Italia poteva avere. Perché Paola Egonu è esattamente quel tipo di giocatrice, quella a cui appoggiarsi nei momenti cruciali, in grado di vincere le partite quasi da sola. Lo ha dimostrato e lo dimostra da anni: 42 punti nella finale di Champions League vinta a giugno a Torino dal suo Vakifbank, 41 punti nella finale di Champions vinta dalla sua Novara, 35 nella finale del mondiale per club conquistato dalla sua Conegliano (solo per citare qualche esempio).

Mazzanti per misteriose ragioni le ha preferito Antropova che ancora non è e non può essere quel tipo di giocatrice, al momento lontana “anni luce” dal livello di fuoriclasse come la Vargas, la Boskovic e, appunto, la Egonu. E se è vero, come è stato ripetuto in questi giorni, che un allenatore ha il diritto di fare le sue scelte e seguire le sue convinzioni è, però, altrettanto innegabile che poi è il campo a stabilire se erano giuste. Ed in questo caso il verdetto finale è inequivocabile: eliminazione ai quarti di finale nella Vnl e quarto posto all’Europeo, con l’umiliante sconfitta con l’Olanda, per una squadra come l’Italia equivale ad un fallimento. E la semifinale persa con la Turchia ne è il più clamoroso simbolo. Perché, come ha dichiarato l’allenatore della Turchia Santarelli, “Paola Egonu stava per vincere la partita da sola”.

Poi, però, l’incomprensibile decisione di ripartire nel secondo set con l’Antropova in campo (tolta solo a set quasi compromesso, sul 3-10), le scelte fatte nel finale di secondo e quarto set (palla sempre a Pietrini e Sylla invece che alla Egonu) e la ricezione in tilt nella seconda parte del quarto set (chissà come saranno fischiate le orecchie alla De Gennaro e alla Bosetti) non hanno consentito all’Egonu di completare l’impresa. Una lezione purtroppo chiarissima che, però, non è servita a Mazzanti, che ha insistito con le sue fallimentari decisioni anche nella finalina con l’Olanda. Ed una federazione seria ed efficiente un minuto dopo la fine di quella partita (o al massimo un minuto dopo la fine della cerimonia di premiazione) avrebbe preso l’unica decisione possibile per cercare di salvare il salvabile.

Invece si è arrivati alla “manfrina” finale, con il surreale comunicato che spiega la mancata partecipazione dell’Egonu alle qualificazioni olimpiche. Una “pagliacciata” che la federazione ritiene di potersi permettere perché probabilmente, grazie al ranking, anche in caso di debacle alle qualificazioni olimpiche, l’Italia femminile di pallavolo dovrebbe comunque essere presente alle Olimpiadi di Parigi.

Come era inevitabile che fosse, il mondo della pallavolo quasi al completo si è schierato dalla parte dell’Egonu. “Andare alle qualificazioni olimpiche senza la Egonu è un suicidio” ha affermato Maurizia Cacciatori. “Paola Egonu ha avuto una bella pazienza, al suo posto non l’avrei fatto” ha commentato Francesca Piccinini (tanto per citare due ex bandiere della pallavolo femminile italiana). Impossibile, anche per quella parte di informazione che non ha particolari simpatie (per usare un eufemismo) nei confronti dell’Egonu, schierarsi a fianco di Mazzanti e della federazione. Però non si poteva certo perdere una così ghiotta occasione per gettare ancora un po’ di fango sulla campionessa italiana.

E allora, non a giustificare Mazzanti ma a dimostrare che in fondo qualche responsabilità ce l’ha anche lei, ecco la costruzione della storiella della campionessa bizzosa e capricciosa, che ha sempre avuto rapporti difficili con i suoi allenatore e con le sue compagne di squadre, non ben vista anche dalle altre azzurre. Ancora una volta solo falsità, i fatti (che dovrebbero essere il riferimento di qualsiasi giornalista) sono lì a dimostrare esattamente il contrario. Paola Egonu fino ad ora ha militato in tre squadre (da quest’anno sarà a Milano), Asystel Novara, Imoco Conegliano e Vakifbank, ed ha avuto tre allenatori che non sono certo conosciuti per essere teneri.

E sono gli stessi tecnici ad aver inequivocabilmente dimostrato come fosse il loro rapporto con la Egonu. Barbolini (Novara) nel giorno dell’ultimo partita della Egonu con la sua squadra ha abbandonato la conferenza stampa per abbracciarla e salutarla in lacrime (e tutt’ora non manca mai di sottolineare che splendido rapporto avevano), Santarellli (Conegliano) nei giorni scorsi ha ribadito il suo pensiero, mentre Guidetti (Vafikbank) non smette mai di ringraziarla e di sottolineare quanto mancherà a lui e a tutto il gruppo non solo la campionessa.

Quanto ai rapporti con le sue compagne di squadre, basterebbe chiedere a Francesca Piccinini (carattere non proprio semplice), sua compagna di squadra a Novara e tutt’ora legatissima a lei come le altre giocatrici di quell’Asystel, o alle sue ex compagne di Conegliano, senza dimenticare ciò che hanno scritto e continuano a scrivere giocatrici come la brasiliana Gabi o la turca Gunes, sue compagne di squadre al Vakifbank. Quanto al rapporto con le altre azzurre, in questi giorni molte di loro (Alessia Orro in testa) non fanno altro che pubblicare sui social foto con la Egonu (che a sua volta ricambia) con espressioni e commenti che non lasciano dubbi.

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