Beffa piano sanitario regionale, ennesimo “schiaffo” al Piceno


Quello approvato il 9 agosto scorso è un piano sanitario già vecchio e superato, che ignora i tagli decisi dal governo sui fondi del Pnrr, che si limita a proporre una lunga serie di slogan di imbarazzante ovvietà e che accentua l’abisso che esiste tra il Piceno e il resto della regione

La prima cosa che salta agli occhi leggendo le oltre 500 pagine del nuovo piano regionale socio-sanitario 2023-2025, approvato dal Consiglio regionale il 9 agosto scorso, è che si tratta di un piano già superato, vecchio, che non tiene conto della realtà attuale e, quindi, già da cambiare. L’altro aspetto che emerge con altrettanta evidenza è che non programma nulla, non pianifica, non spiega in che modo si vuole concretamente intervenire, né come e dove si vuole investire (e ovviamente con quali soldi a disposizione), si limita ad una lunga lista di enunciazioni di imbarazzante ovvietà (alla Catalano, per chi ricorda il “re dell’ovvio”, uno dei personaggi di “Quelli della notte”).

Chi può non essere d’accordo che bisogna ridurre i tempi di attesa o migliorare la qualità dei servizi sanitari o, ancora, diminuire la mobilità passiva. Solo che il minimo sindacale che ci si possa attendere da un piano sanitario serio è che non sia solo uno spot propagandistico, che si indichino concretamente le azioni, gli strumenti e gli investimenti che si attueranno in questo triennio per cercare di perseguire quegli obiettivi. E nel piano socio sanitario delle Marche non c’è nulla di tutto ciò, neppure per sbaglio. Ad una lettura più attenta, poi, emerge anche l’enorme contraddizione che lo caratterizza, almeno per quanto riguarda il territorio piceno.

La serie infinita di numeri, dati, analisi, grafici di cui è infarcito il piano sanitario certifica in maniera inequivocabile quello che in realtà da queste parti è ampiamente noto, l’abisso che separa il Piceno con il resto delle Marche. Solo che neppure nel peggiore degli incubi si poteva immaginare che, proprio chi aveva promesso di sanare o, quanto meno, accorciare le distanze, invece non fa nulla, anzi, le accentua ulteriormente. In altre parole, il piano prende atto e certifica la distanza ma non interviene per diminuirla, l’amplifica enormemente. Sarebbero tantissimi gli aspetti da evidenziare di questo sconclusionato piano, la più evidente dimostrazione di come la destra che governa la regione sia imbattibile quanto a propaganda ma assolutamente incapace poi di trasformare in fatti concreti gli slogan propagandistici.

Ma i tre aspetti citati sono sufficienti a dimostrare l’assoluta inutilità del piano stesso, addirittura dannoso per la nostra provincia, ulteriormente umiliata e penalizzata. D’altra parte già solo il fatto che sia superato e non attuale basterebbe per bocciarlo irrimediabilmente. E che sia tale lo dimostra innanzitutto il fatto che si basa su numeri e dati, come quelli sulle ospedalizzazioni e sugli accessi ai pronto soccorso, che non sono più attuali (quelli del periodo covid) e che quindi non possono essere presi a riferimento. Soprattutto, però, lo conferma il fatto che uno dei punti centrali di quel piano, le case di comunità e gli ospedali di comunità, non è più attendibile e andrebbe completamente ripensato.

Il ruolo centrale nel sistema territoriale deve essere svolto dal Distretto sanitario al cui interno si colloca la Casa della Comunità come luogo dove i cittadini possono trovare assistenza h24 ogni giorno della settimana” si legge nel piano regionale. “All’interno del Distretto – si legge ancora nel piano – vi devono essere gli Ospedali di Comunità con una forte presenza di assistenza infermieristica principalmente orientati alla presa in carico dei pazienti nelle fasi post ricovero ospedaliero o in tutti quei casi dove c’è bisogno di una particolare assistenza vicino al domicilio del paziente”.

Partendo da questo assunto, l’obiettivo prioritario del piano è quello di implementare i “nuovi modelli organizzativi di assistenza territoriale”, prevedendo una casa della comunità ogni 40-50 mila abitanti, un ospedale di comunità di 20 posti letto ogni 100 mila abitanti e una centrale operativa territoriale ogni 100 mila abitanti. Sono, quindi, previste 29 Case della Comunità, 9 ospedali di comunità e 15 centrali operative territoriali tutte finanziate dai fondi del Pnrr (42,5 milioni di euro per la case, 23 milioni per gli ospedali e 2,5 milioni di euro per le centrali). Peccato, però, che ad inizio estate il governo Meloni ha deciso di modificare il Pnrr per quanto riguarda gli investimenti nella sanità, tagliando i fondi da stanziare, 414 case della comunità e 96 ospedali di comunità. Questo significa che le Marche perderanno una decina di case della comunità, 4-5 ospedali e 2-3 centrali operative e, naturalmente, vedranno dimezzarsi i fondi complessivamente a disposizione.

Di tutto questo, però, non c’è traccia nel nuovo piano sanitario che finge di ignorare il drastico taglio operato dal governo Meloni che inevitabilmente costringerà la Regione a scegliere tra due possibili alternative: rimodulare il piano con una drastica riduzione di quelle fondamentali strutture (l’ipotesi più probabile) o supplire in prima persona ai mancati finanziamenti (30-40 milioni di euro in meno). In un caso o nell’altro di certo così come è stato approvato ad agosto il piano regionale sanitario non è in alcun modo attendibile in quello che è uno dei suoi punti centrali. In realtà non lo è nel suo complesso, perché non va oltre enunciazioni e slogan, non spiega e non programma in concreto interventi ed investimenti in grado di ottenere determinati risultati.

Così come è concepito il piano è inutile, fatto di tante promesse ma senza alcuna scelta concreta nei fatti, che possa far presuppore un reale miglioramento della sanità marchigiana” si legge in una nota congiunta di Cgil, Cisl e Uil. “Quali sono le priorità del governo Acquaroli? Come si intendono ridurre le liste d’attesa? Qual è il progetto per le aree interne? Quale la strategia per la tutela degli anziani fragili o dei soggetti più deboli e delle loro famiglie? Queste sono solo alcune delle domande a cui non si trova risposta nel piano socio sanitario regionale” aggiunge la segreteria regionale del Pd.

In effetti in quelle 500 pagine è tutto terribilmente vago e indefinito, l’unica certezza, sancita dai numeri e dai dati, è che tra il Piceno e il resto della regione c’è molto più di un abisso. Che quel piano sanitario non solo non prova a colmare ma, anzi, lo amplifica ulteriormente. Con una sintesi estrema e per certi versi brutale, ma purtroppo estremamente aderente a quanto emerge da quelle 500 pagine, si potrebbe dire che la destra che governa la regione con quel piano prende inequivocabilmente atto di come il Piceno sia fortemente penalizzato e, con una certa dose di sadismo, decide di accentuare le distanze. Tanto da queste parti non protesta quasi più nessuno, sembrano tutti “muti e rassegnati”, soprattutto i nostri rappresentanti istituzionali (i sindaci di Ascoli e San Benedetto in testa).

Nel diluvio di numeri, dati, cifre e allegati che compongono il piano sanitario regionale se ne potrebbero citare decine e decine che testimoniano inequivocabilmente il gap esistente e la volontà di accentuarlo. Ci soffermiamo brevemente su due che, a nostro avviso, sono la più emblematica fotografia di questa sconcertante contraddizione. Il primo riguarda i dati della mobilità relativa alle ospedalizzazioni dei residenti delle Marche per provincia. Detto che altri numeri evidenziano come le province di Ascoli e Fermo sono quelle con la maggiore mobilità passiva (cioè residenti che scelgono di ricoverarsi in strutture sanitarie di altre province o fuori regione), è significativo come solo il 58,59% dei residenti nella provincia di Ascoli sceglie per il ricovero ospedali della provincia stessa, rispetto all’84,63% della provincia di Ancona, il 70,52% di quella di Pesaro, il 64,40 di quella di Macerata e il 50,45% di quella di Fermo.

Che, dunque, ha dati peggiori rispetto alla provincia di Ascoli ma in parte compensa con la mobilità attiva, visto che il 17% dei ricoveri nelle strutture del fermano provengono dalle altre province delle Marche. E da questo punto di vista la provincia di Ascoli è di gran lunga il fanalino di coda, con appena il 4,59% dei ricoveri che provengono da altre province delle Marche. In altre parole gli ospedali della nostra provincia convincono poco i residenti stessi, per nulla gli altri marchigiani. Il secondo dato riguarda invece gli investimenti previsti nel piano regionale sanitario per l’ammodernamento del parco tecnologico e digitale ospedaliero   strutture della provincia di Ascoli e appena 800 mila euro per l’ospedale Mazzoni. Imbarazzante la sproporzione con le altre province: 6,5 milioni per la provincia di Macerata (6 milioni per l’ospedale di Macerata), 6,8 milioni di euro per quella di Pesaro (5 milioni per l’ospedale di Pesaro), 11 milioni per la provincia di Ancona.

Discorso a parte per la provincia di Fermo dove è in fase di realizzazione il nuovo ospedale, che quindi già avrà un parco tecnologico e digitale all’avanguardia. In ogni caso, però, l’ospedale di Fermo ottiene ugualmente 1,5 milioni di euro, praticamente il doppio rispetto a quello di Ascoli.

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