Caso Cospito tra giusta pena e vendetta di Stato


Secondo la Dia “escludere Cospito dai contatti con l’esterno poco cambia rispetto al quadro generale”. Ma Nordio conferma il 41 bis e ora all’esponente anarchico viene contestato l’art. 285 del codice penale non ritenuto sussistente nelle peggiori stragi avvenute in Italia

Per provare a districarsi nella vicenda Cospito, tra indecorose strumentalizzazioni e inopportuni toni “da guerra santa”, è opportuno ripartire dai fatti. Alfredo Cospito, componente della Federazione anarchica informale (Fai), è in carcere da più di 10 anni, arrestato e condannato a 10 anni e 8 mesi per il ferimento di Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Mentre era in carcere, la procura di Torino ha avviato una lunga indagine, sfociata poi nel procedimento denominato “Scripta manent” che ha visto finire sul banco degli imputati decine di presunti militanti della Fai, accusati di diversi reati. Che poi si è concluso con l’assoluzione di quasi tutti gli imputati e la condanna per associazione a delinquere solo per Cospito, Anna Beniamino e Nicola Gai.

Questo significa che, al di là delle chiacchiere e dei deliri degli esponenti politici e dei giornali di destra (in particolare de “Il Fatto Quotidiano”), il temibilissimo gruppo terroristico anarchico di cui Cospito sarebbe a capo, per gli atti ufficiali è composto da 3 elementi, tutti in carcere. E già tutto ciò dovrebbe qualche riflessione dovrebbe provocarla. Tornando a Cospito, nell’ambito di quel procedimento, oltre ad essere stato riconosciuto a capo di questa associazione a delinquere (più che altro un trio), è stato condannato per l’attentato alla scuola allievi dei carabinieri di Fossano, in provincia di Cuneo. Nella notte tra il 2 e il 3 giugno 2006 fece esplodere due bombe a basso potenziale esplosivo nella caserma deserta (e l’esponente anarchico era pienamente consapevole che lo fosse), ovviamente non provocando né feriti né, tanto meno, vittime.

Nonostante questo particolare non irrilevante, fu condannato a 20 anni di reclusione per il reato di strage, inteso come delitto contro la pubblica incolumità (art. 422 codice penale). Una condanna molto dura che già all’epoca provocò non poche perplessità perché apparsa sproporzionato a quanto accaduto. Nel maggio scorso, poi, il ministro di giustizia Cartabia ha disposto nei suoi confronti un provvedimento di applicazione del regime ex art. 41 bis al fine di limitarne i contatti e la corrispondenza con l’associazione terroristica di cui è ritenuto il capo. In realtà come abbiamo visto, in base agli atti ufficiali e alle risultanze dei procedimenti giudiziari, gli unici che dovrebbero contare in un paese civile, più che un’associazione si tratta di un trio, tutti in carcere.

Quindi con chi mai potrebbe avere rapporti così pericolosi all’esterno Cospito? Impossibile capirlo, al di là di slogan e affermazioni generiche sulla presunta pericolosità degli anarchici, nessuno degli ultras del 41 bis per Cospito è mai riuscito a spiegarlo. Per altro nei giorni scorsi, nel parere inviato dalla Direzione nazionale antimafia al ministro Nordio, chiamato a decidere sull’istanza di revoca del 41 bis, si sottolineava l’estrema parcellizzazione del mondo anarchico (sai che novità, è da sempre così), affermando che “escluderlo dai contatti con l’esterno poco cambia rispetto al quadro generale”.

Naturalmente, sulla base di un simile parere, Nordio ha respinto l’istanza perché, come è noto, in questo paese il garantismo vale solo qualche nei guai con la giustizia si trova qualche politico o qualche personaggio di rilievo… Per altro a rendere la situazione di Cospito più grave nel luglio scorso la Corte di Cassazione ha rinviato il suo processo alla Corte di Appello di Torino, accogliendo la richiesta del procuratore generale di riconsiderare e cambiare il reato da strage comune a strage politica. In tal modo viene anche modificato il capo di imputazione, da delitto contro la pubblica incolumità ad attentato alla sicurezza dello Stato (art. 285 codice penale). Ed il nuovo reato prevede l’ergastolo ostativo che impedisce al detenuto di usufruire dei benefici penitenziari.

E’ giusto ricordare che l’art. 285 (attentato alla sicurezza dello Stato) non è stato contestato neppure nei peggiori attentati, nelle più sanguinose stragi che hanno colpito questo paese, mentre ora viene tirato in ballo per un episodio sicuramente grave ma in sostanza inoffensivo (e non per mera fortuna) e neppure lontanamente paragonabile ad altri gravi attentati. Va, per altro, ricordato anche che al momento in Italia sono più di 700 i detenuti sottoposti al regime del 41 bis, tutti legati a mafia, camorra, ndrangheta, ad eccezione proprio di Cospito. Più che legittimo il sospetto che alla base di questa intransigenza persecutoria nei confronti dell’esponente anarchico e nella decisione del ministro Nordio ci sia, oltre che una precisa strategia politica (già grave perché la giustizia non può essere amministrata in nome della politica), una sorta di volontà di vendetta.

D’altra parte se, come sostiene la Direzione antimafia, non è decisivo “escluderlo dai contatti esterni”, viene a cadere uno dei principali presupposti del 41 bis. Nei mesi scorsi, proprio partendo dal caso Cospito, in una lettera aperta sottoscritta da decine di avvocati viene denunciato l’inaccettabile accanimento dei tribunali nei confronti degli esponenti dell’area anarchica. “Sembra paradossale che il più grave reato previsto dal nostro ordinamento giuridico sia stato ritenuto sussistente in tale episodio e non nelle tante gravissime vicende accadute in Italia negli ultimi decenni, dalla strage di piazza Fontana a quella della stazione di Bologna, da Capaci a via D’Amelio” si legge nella lettera nella quale si critica duramente la riqualificazione del reato di Cospito.

E dove vengono richiamati altri casi di anarchici a cui sono state applicate pene e misure particolarmente pesanti, con “la sempre più diffusa e disinvolta sottrazione delle garanzie processuali a questa tipologia di imputati”. “Però non siate preoccupati, noi siamo gente che finisce male, galera od ospedale. Gli anarchici li ha sempre bastonati ed il libertario è sempre controllato dal clero, dallo Stato, non scampa da chi veste da parata, chi veste una risata” cantava Guccini nel 1976. Sono passati quasi 50 anni da allora ma quella canzone (“Canzone di notte n. 2”) è quanto mai attuale. E’ da sempre così, gli anarchici in Italia hanno sempre subito un determinato trattamento, sono sempre stati considerati una pericolosa minaccia, ora come allora.

Anche se la storia insegna che gli anarchici saranno anche una minaccia però poi in concreto a mettere bombe e a fare gli attentati più feroci e sanguinari sono sempre altri, in qualche caso con la collaborazione di pezzi deviati dello Stato. Il nome di Giuseppe Pinelli dovrebbe ricordare qualcosa ma, in proposito, per certi versi è ancora più significativo ricordare un vecchio editoriale di Gustavo Selva, per anni direttore del GR2 e poi parlamentare della DC prima e di AN poi, che a proposito di Pietro Valpreda, l’anarchico accusato ingiustamente di aver messo la bomba a piazza Fontana e per anni in carcere da innocente, sosteneva che solo per il fatto di anarchico doveva comunque rimanere in carcere.

Oggi la sostanza è un po’ diversa ma i toni sono identici. Così non solo si infierisce sugli anarchici ma, addirittura, vengono messi sotto accusa parlamentari che, nel pieno delle loro prerogative, si permettono di andare in carcere a visitare Cospito, dopo 100 giorni di sciopero della fame. E a farlo, con toni da guerra civile, è la destra che negli anni passati non ha trovato nulla da ridire quando diversi suoi parlamentari andavano in carcere a visitare esponenti mafiosi, addirittura persino il “capo dei capi” (Totò Riina). Naturalmente non si tratta di essere dalla parte di chi, come Cospito, ha commesso sicuramente reati gravi ed è sacrosanto che sconti in carcere la sua pena.

Ma, come sottolinea Valentina Calderone, direttrice dell’associazione “A Buon Diritto” (una onlus che si occupa dei diritti fondamentali della persona) “il populismo penale non deve entrare nelle decisioni sanzionatorie dello Stato e la vendetta dovrebbe stare al di fuori dell’amministrazione della giustizia. Il 41 bis per Cospito è sproporzionato rispetto a quello che ha commesso, in palese contrasto con il principio di proporzionalità nel diritto penale”. “La revoca del 41 bis nei confronti di Alfredo Cospito è urgente e necessaria per far si che la pena nel suo caso non sia in contrasto con la finalità costituzionale” aggiunge l’associazione Antigone, che dal 1991 si interessa di tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario, che ha anche segnalato il caso al Comitato europeo per la prevenzione della tortura.

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