A 25 anni dall’uscita del film, nella settimana in cui si celebrava il “Giorno della Memoria” riparte il surreale tormentone sul film “La vita è bella” e sul presunto falso storico della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte degli americani
Nella settimana in cui cadeva la ricorrenza del “Giorno della Memoria” si è vissuto un imprevedibile deja vu, come se all’improvviso il nostro paese fosse tornato indietro di una ventina di anni. Improvvisa e incomprensibile è, infatti, riesplosa sui social e su diversi siti e blog di una certa area politica la polemica sul presunto falso storico presente nel film da Oscar di Roberto Benigni “La vita è bella”. Con alcune differenze sostanziali rispetto al passato.
La prima che questa volta l’attore toscano non è più (o almeno non solo) bersaglio della destra ma a tirarlo in ballo è, in maniera strumentale nell’ambito di una delirante propaganda filo russa, la cosiddetta ala più estrema della sinistra (che in realtà ormai da tempo di sinistra non ha praticamente più nulla ma è solo una brutta copia della destra più estrema). La seconda è che almeno 20 anni fa si poteva anche comprendere che ci fosse chi aveva frainteso, chi in buona fede, pur in assenza di alcun riferimento concreto, aveva davvero creduto che il campo di concentramento in cui è ambientata la seconda parte del film fosse quello di Auschwitz. Ora, invece, non ci sono e non possono più esserci dubbi, più volte in questi anni è stato spiegato e ribadito, con testimonianze di ogni tipo, che quello non era e non poteva essere Auschwitz (liberato dai sovietici e non dagli americani) e che, quindi, l’accusa nei confronti di Benigni sono del tutto infondate.
In realtà quanto è accaduto era stato in parte previsto con un certo anticipo dalla Fondazione “Gino Germani”. Che, nel presentare il convegno “Dezinformacija e misure attive: le narrazioni strategiche filo-Cremlino in Italia sulla guerra in Ucraina”, aveva sottolineato che il mancato invito della Russia alla commemorazione di Auschwitz avrebbe scatenato la macchina della propaganda filo russa che, dallo scoppio della guerra in Ucraina, nel nostro paese non è più esclusiva della destra ma, anzi, è alimentata con maggiore forza e convinzione dall’ala più estrema della presunta sinistra. D’altra parte, però, non ci si può stupire più di tanto, se addirittura c’è chi ha avuto il coraggio di presentare e firmare una petizione nella quale si nega l’evidenza dei fatti, cioè l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, sostenendo che quella in atto è semplicemente una guerra per il Donbass, è lecito attendersi di tutto.
Anche che si torni a tirare in ballo il film di Benigni, nonostante la realtà sia da tempo ampiamente nota. Il fatto è che, esattamente come l’estrema destra, questa ala più radicale della sinistra da troppo tempo ormai si nutre di bufale e strumentalizzazioni che servono ad alimentare quello che l’attivista di sinistra siriano-britannica Leila Al Shami già nel 2018 definiva “l’antimperialismo degli idioti” (“questa sinistra pro fascista sembra cieca nel riconoscere una forma di imperialismo che non sia di origini occidentali. Per questo ad oggi il discorso fascista e quello degli anti imperialisti di sinistra è virtualmente indistinguibile” scriveva in un interessantissimo saggio del 2018).
Semmai l’unica cosa che può provocare un certo stupore è che al centro di questo stucchevole e sconfortante deja vu ci sia un personaggio del calibro del prof. Barbero, storico e professore universitario, protagonista di numerosi apprezzatissimi saggi (come l’ultimo su Dane), dal quale, proprio per il prestigio che lo circonda, non ci si aspetterebbe certo una così plateale superficialità che lo spinge ad emettere sentenze inappellabili, basate però sul nulla, su illazioni e falsità ampiamente dimostrate come tali. E proprio il riferimento al prof. Alessandro Barbero, che per questa storia del film di Benigni deve avere un’autentica ossessione, visto che la cita da anni in continuazione, è al centro di uno dei post più diffusi e condivisi dei giorni scorsi, da cui poi hanno preso spunto anche articoli e approfondimenti di siti internet e blog dell’area della sinistra più radicale.
“Facciamo una cosa semplice – si legge nel post – visto che il tentativo di riscrivere la storia della liberazione di Auschwitz sta diventando vomitevole, il punto esclamativo facciamolo mettere a lui, al prof. Alessandro Barbero. “Nel giorno della memoria, il giorno della liberazione di Auschwitz, lo ricordiamo stando dalla parte delle vittime ed esecrando i colpevoli. Sarebbe poi anche bene se diversamente da Roberto Benigni nel suo film ci ricordassimo che a liberare Auschwitz e le sue vittime sono stati i malvagi comunisti sovietici e non i buoni americani. Ecco vedete come si sfuma tra la memoria vera e la memoria ricostruita? Quanta gente ha visto il film e si ricorderà per sempre che Auschwitz è stata liberata dagli americani? La storia è un’altra cosa!”. Per gli attentatori della storia: prendetevi questa lezione del prof. Barbero e ficcatevela in testa. Perché di Oscar sul comodino se ne possono avere a migliaia, ma la cultura, il coraggio, la testa alta, la schiena dritta e l’onestà intellettuale valgono molto di più. Punto e a capo”.
Onestà intellettuale che, però, presupporrebbe che non si ripeta e non si riproponga ancora una clamorosa bufala più volte smentita e spiegata, confidando sull’inesistente memoria di questo paese che puntualmente fa si che siano sempre così numerosi i “boccaloni” che abboccano. Oltre a quelli con i “deliri” del prof. Barbero, nei giorni scorsi sui social sono anche spuntati post con le parole di Mario Monicelli, il primo che sollevò il problema del presunto falso storico, definendo una mascalzonata di Benigni “quando alla fine fa entrare ad Auschwitz un carro armato con la bandiera statunitense. Quel campo, quel pezzo di Europa, lo liberarono i russi ma l’Oscar si vince con la bandiera a stelle e strisce, cambiando la realtà”.
L’accusa del regista toscano fu poi ripresa dall’allora segretario del Partito dei Comunisti italiani Oliviero Diliberto (quando si tratta di fare una “figuraccia” la sinistra italiana non si tira mai indietro…) ma in seguito, ironia della sorte, il presunto “falso storico” volutamente realizzato per ingraziarsi gli americani in chiave Oscar diventò uno dei cavalli di battaglia della destra per demolire l’odiato Benigni, per loro emblema dell’ipocrisia e delle contraddizioni della sinistra. Già perché Roberto Benigni per anni è stato, giustamente, considerato organico alla sinistra, con quel rapporto particolare che aveva con Enrico Berlinguer, certificato da uno dei suoi film (“Berlinguer ti voglio bene”) ma anche dalla storica immagine di un comizio del 1983 al Pincio, al termine del quale Benigni prese in braccio il segretario del Pci.
In realtà, a prescindere dall’opinione che legittimamente ognuno si è formata sul film “La vita è bella”, anche i muri sanno che il campo di concentramento in cui è ambientata la seconda parte del film non è in alcun modo Auschwitz. Lo hanno detto e ribadito più volte tutti i protagonisti e i produttori del film, l’ha ripetuto a lungo lo stesso Benigni. “Quello è “il” campo di concentramento perché qualsiasi campo contiene l’orrore di Auschwitz, non uno o un altro” ha più volte sottolineato il comico toscano. Per altro, al di là delle spiegazioni del diretto interessato, stupisce che uno storico come Barbero possa essere incappato in una simile “figuraccia” (che continua ostinatamente a ripetere da anni) assolutamente evitabile anche senza aspettare le spiegazioni di Benigni.
Perché se si può comprendere che gli ottusi “creduloni” che ripetono a pappagallo slogan che probabilmente neppure capiscono ignorano che quello nel film non può in alcun modo essere Auschwitz, perché circondato da monti che intorno ad Auschwitz non ci sono, è imbarazzante che uno storico e un professore universitario come Barbero non lo sappia (o finga di ignorarlo). Per altro se il professore o chi per lui avesse avuto la decenza di informarsi correttamente prima di sparare sentenze, avrebbe scoperto innanzitutto che Benigni per quel film si è avvalso della collaborazione di uno dei più importanti studiosi della Shoah, Marcello Pezzetti (consulente anche di Spielberg per “Schindler’s List”), oltre che di Shomo Venezia sopravvissuto proprio ad Auschwitz.
Ma anche che i personaggi del film (Dora e Guido) sono un omaggio al soprano cesenate Dora De Giovanni e al marito Guido, quest’ultimo deportato e poi ucciso dai nazisti nel campo di concentramento di Mauthausen, nel quale vennero deportati tantissimi italiani. E quel campo di concentramento, così come quelli di Buchenwald, Dachau, Dora Mittelbau e Flossenburg, furono effettivamente liberati dagli americani (i britannici liberarono invece il campo di Bergen Belsen), mentre la liberazione di Auschwitz, Majdanek, Gross-Rosen, Sachesenhausen, Ravensbruck, Stutthoff e Theresienstad fu opera dell’Armata Rossa. Puntualizzazioni doverose per provare ad evitare ulteriori “attentati alla storia” ma anche al buon senso…