Durissimo il giudizio sulla prima manovra del governo Meloni che secondo la Corte dei Conti favorisce l’evasione fiscale, non è coerente con il Pnrr ed è in contrasto con la Costituzione. Pesanti rilievi anche per quanto riguarda sanità, pensioni ed energia
Magari ora i “cortigiani” della Meloni e del suo governo proveranno a sostenere che è un’istituzione spiccatamente di sinistra. Certo, però, è innegabile che il durissimo giudizio espresso dalla Corte dei Conti sulla manovra finanziaria per il 2023 è la prima pesante “mazzata” che si abbatte sul nuovo governo. E non solo per il giudizio in se, ma anche e soprattutto per il fatto che i principali rilievi della Corte sono perfettamente in linea con le più pesanti critiche avanzate da quasi tutte le opposizioni e dai sindacati. Per semplificare e sintetizzare, anche la Corte dei Conti sottolinea come la manovra favorisce l’evasione fiscale, oltre ad essere “non coerente con il Pnrr”.
Ma se l’attenzione di tutti i commentatori comprensibilmente si è incentrata su questo aspetto, leggendo nel dettaglio le 50 pagine che compongono l’articolato parere della Corte (“Audizione sul bilancio di previsione dello stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025”) si scopre che i rilievi non si limitano certo al pur fondamentale aspetto inerente l’evasione fiscale ma, anzi, vengono evidenziate altre criticità, con un quadro complessivamente preoccupante, in particolare per quanto riguarda la sanità. Ci si attendeva una maggiore attenzione, un impegno finanziario più consistente, invece le aspettative sono andate deluse.
“Il rapporto fra la spesa sanitaria e Pil – scrive la Corte – si porta su livelli inferiori a quelli precedenti alla crisi sanitaria già dal 2024 (al 6,3 per cento), per ridursi ancora di un decimo di punto nell’anno terminale (2025). La crescita rispetto al 2022 è limitata ed è destinata in gran parte a compensare gli aumenti legati al caro energia. Dopo l’emergenza che ha caratterizzato lo scorso triennio si ripropone quindi il gap mai risolto tra le risorse dedicate nel nostro Paese al sistema sanitario e quelle dei principali partner europei. Una differenza resa più grave dagli andamenti demografici: già oggi l’Italia è caratterizzata da una quota di popolazione anziana superiore agli altri paesi, quota destinata a crescere in misura significativa nei prossimi anni; elevato è poi il rapporto tra pensionati e occupati: un tasso di dipendenza che si riflette naturalmente anche sulla sostenibilità complessiva del nostro sistema di welfare”.
Dopo aver evidenziato le tante necessità che caratterizzano la gestione sanitaria, che non trovano possibilità di soluzione attraverso questa manovra, la Corte sottolinea come ci siano troppe Regioni con performance peggiori di quelle del 2019, in epoca pre covid. Ad esempio ben 14 per quanto riguarda gli interventi cardio vascolari (caratterizzati da maggiore urgenza, rientrati quindi in classe A, da eseguire entro 30 giorni), mentre per quanto riguarda i tumori maligno sono 12 le Regioni con performance peggiore, per non parlare delle prestazioni di specialistica ambulatoriale. Non ci sono fondi, non vengono previsti investimenti per provare a tornare su livelli più consoni ad un paese civile, con l’aggravante che questa, dopo il 2019, è la prima finanziaria che non è condizionata dalla pandemia. Grosse perplessità, da parte della Corte anche per gli interventi in materia di energia.
“Permangono elementi di incertezza sul quadro di finanza pubblica modificato dalla manovra – si legge nel documento – l’intervento sui costi dell’energia, pur di dimensioni rilevanti (oltre 20 miliardi nel 2023), è destinato a esaurire la maggior parte degli effetti nel primo trimestre dell’anno”. Obiezioni anche per l’intervento sulle pensioni, ma per quanto riguarda le misure fiscali il giudizio della Corte è durissimo. “Alcune misure in materia di entrate – spiegano i giudici contabili – generano alcune perplessità. I buoni risultati dell’ultimo biennio hanno consentito di mantenere in equilibrio i conti pubblici, garantendo la sostenibilità di un processo redistributivo che ha assunto dimensioni di rilievo. E’ importante conseguire significativi miglioramenti in termini di coerenza fiscale, ponendo al centro degli obiettivi pubblici un’efficace azione di contenimento dell’evasione che, nonostante i risultati conseguiti, rimane di dimensioni considerevoli.
Come più volte sottolineato dalla Corte, per far ciò è necessario che si utilizzino compiutamente le diverse misure di prevenzione e contrasto, che possono concorrere all’innalzamento dei livelli di fedeltà fiscale, favorendo, attraverso l’uso delle tecnologie, l’emersione spontanea delle basi imponibili e supportando la necessaria azione di controllo dell’Amministrazione fiscale; ciò anche mediante l’impiego sistematico dei dati finanziari e, non ultima, un’efficace attività di riscossione. Non sembrano andare in questa direzione alcune delle misure della manovra che interrompono un percorso intrapreso per la tracciabilità dei pagamenti, che ampliano l’area dei ricavi soggetti a regime forfettario o che propongono regimi di favore che, se consentono di ottenere un incremento del gettito immediato, ipotecano entrate future”.
La Corte, poi, analizza nel dettaglio e stronca le varie misure introdotte dal governo Meloni. A partire dal cosiddetto “condono allargato” che “rischia di attenuare l’effetto deterrente esercitato dalle attività di controllo e di riscossione, inducendo in molti contribuenti, anche non gravemente colpiti dalla crisi indotta e dalla lunga pandemia e dall’eccezionale aumento dei costi dei prodotti energetici, il convincimento che il sottrarsi al pagamento dei tributi possa essere notevolmente vantaggioso”.
Per quanto concerne lo stralcio delle cartelle sotto i mille euro “comporterà la cancellazione di molte singole partite dovute da uno stesso debitore per importi complessivi spesso ben superiori alla soglia fissata, nonché situazioni nelle quali le partite inferiore alle soglie coesisteranno con partite di importo unitario ben superiore per le quali l’azione di riscossione resta dovuta” sostengono i giudici contabili. Che considerano decisamente sottostimati gli 1,6 miliardi di mancate entrate previste dal governo (“come avvenuto nel provvedimento del 2021”) e soprattutto accusano che in tal modo si arriverà “alla rinuncia della riscossione di posizioni vive in quanto interessate a procedure di rateazione in essere per rottamazione”.
Smentendo, così, in maniera imbarazzante la tesi sostenuta dalla Meloni secondo cui si tratterebbe di “cartelle vecchissime per le quali la riscossione avrebbe per lo Stato un costo superiore a quello che incasserebbe”. Per quanto concerne la decisione di togliere l’obbligo di accettare pagamenti con il pos sotto i 60 euro secondo la Corte “risulta non coerente con l’obiettivo di contrasto all’evasione fiscale previsto nel Pnrr”.
La ciliegina sulla torta finale, però, i giudici contabili la riservano alla flat tax allargata a ricavi fino a 85 mila euro che “svuota ulteriormente la base imponibile irpef e quella incrementale sui maggiori redditi del 2023 e arriva a rendere regressiva l’imposizione sui redditi”. In palese contrasto con quanto previsto dall’art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Per essere la prima manovra davvero non c’è male…