Nelle stesse ore in cui a Pesaro è partita la 43^ edizione del Rof, ad Ascoli è stata inaugurata l’ottava edizione di “Ascoliva Festival – il festival mondiale dell’oliva ascolana”. E pochi giorni prima è stato confermato il cartello promozionale sull’autostrada che punta sull’oliva ascolana..
A proposito della disputa mai sopita sulla Capitale della Cultura 2024, a molti non sarà sfuggito il fatto che, quasi in contemporanea, mentre a Pesaro è partita la 43^ edizione del Rossini Opera Festival (Rof), ad Ascoli è stata inaugurata l’ottava edizione di “Ascoliva Festival – il festival mondiale dell’oliva ascolana”. E se a Pesaro, alla presentazione della serata inaugurale, si è fatto più volte riferimento all’ideale passaggio di consegne tra la mostra internazionale del nuovo cinema e, appunto, il Rof, nel capoluogo piceno i più “maliziosi” con una buona dose di ironia hanno, invece, sottolineato il passaggio di consegne e una sorta di continuità tra “Ascoliva” e la sagra dell’oliva all’ascolana che si è svolta a Monteprandone dal 5 al 9 agosto.
Proseguendo in questo parallelismo, solo per continuare a “farci male”, mentre sulla pagina ufficiale del Rof si può sfogliare l’interminabile elenco di ospiti e protagonisti illustri delle precedenti edizioni (direttori d’orchestra, pianisti, coreografi, tenori, soprani, baritoni di fama internazionale), su quella di “Ascoliva” si ricorda che addirittura “nel 2017 a provare le olive sono stati Pio e Amedeo”…
Non ci sarebbe molto da aggiungere, con la consapevolezza che tanto chi, offuscato dal più profondo campanilismo, è convinto che dietro la scelta di Pesaro ci sia chissà quale complotto intergalattico dei “poteri forti”, di certo non cambierà idea e non comprenderà l’enorme differenza che esiste, in termini di offerta culturale, tra i due capoluoghi marchigiani. Una differenza che purtroppo c’è non solo nei confronti di Pesaro ma anche del resto della regione e che va oltre l’offerta culturale stessa e parte dal modo stesso di intendere e di pensare la cultura. Un esempio a tal proposito emblematico è quello dei cartelloni turistici promozionali esposti lungo l’autostrada A14. Nei giorni scorsi, con determina n. 2257 del 14 luglio, è stato rinnovato l’accordo con l’Ad Moving Spa (per 12 mila euro all’anno) per 2 cartelloni promozionali nei pressi dello svincolo di San Benedetto.
E’ dal 2018 che ci sono e, nonostante i ripetuti appelli, l’amministrazione comunale non ha voluto cambiare il contenuto dei cartelloni stessi, “Ascoli Piceno terra delle olive ascolane”. Nessuno vuole sminuire l’importanza delle olive ascolane, ma con lo straordinario patrimonio architettonico-monumentale che il capoluogo piceno ha la fortuna di possedere, con le sue straordinarie bellezze (a partire da piazza del Popolo considerata una delle piazze italiane più belle), con il suo patrimonio storico e culturale, è incredibile che si sia deciso di puntare solo sulle olive ascolane.
Per altro è oltre modo significativo il fatto che nel territorio marchigiano (ma in pratica nel resto d’Italia) solo Ascoli ha fatto questo tipo di scelta, tutti gli altri hanno invece puntato sul proprio patrimonio artistico, monumentale e culturale. Ad esempio Fano sui tesori dell’antica Roma. Senigallia sui Della Rovere e le rocche, Ancona sulla propria storia dai greci al medioevo, Macerata sullo Sferisterio, Loreto sulla Basilica, Recanati su Leopardi, Grottammare sulle sculture di Tullio Pericoli, Urbino ovviamente sul Palazzo Ducale. E proprio a proposito di quest’ultima, pensando alla scelta fatta da Ascoli, è come se per promuovere la propria immagine la città pesarese avesse deciso di puntare sulla crescia.
Già ma Urbino e nelle altre città marchigiane non hanno mica la fortuna di avere i “geni del marketing e della promozione turistica” che abbiamo ad Ascoli, gli unici che hanno avuto l’intuizione, anzi, si potrebbe dire l’illuminazione di fare una scelta in assoluta controtendenza rispetto a tutti gli altri. Confortati anche dal solito gruppetto di “dotti medici e sapienti” che, dall’alto della loro infinita competenza e conoscenza, si affannano a spiegare che anche le olive sono cultura, anzi, per certi versi lo sono molto più di tutto il patrimonio storico, architettonico, monumentale che possiede il capoluogo piceno (e gli altri comuni marchigiani). Peccato che, poi, i numeri e i dati non supportano mai questa tesi e premiano sempre tutti gli altri, penalizzando i “geni” ascolani che fanno e sostengono scelte completamente differenti.
Può sembrare banale, ma alla fine al di là di parole, proclami e slogan contano i fatti ed il minimo che si debba pretendere è avere un riscontro pratico e certo per capire se determinate scelte sono state corrette, se certi investimenti sono stati in qualche modo fruttuosi. Cosa che, invece, non avviene mai al Comune di Ascoli, dove si vive di slogan e propaganda, dove nessuno si preoccupa mai di avere concreti e reali riscontri e, di conseguenza, si buttano al vento decine di migliaia di euro di soldi pubblici (dei cittadini).
A tal proposito l’esempio più emblematico sono 2 determine approvate nei giorni scorsi inerenti sia la promozione del capoluogo che la candidatura a Capitale della Cultura 2024, finita poi come sappiamo nel peggiore dei modi. La prima è la n. 2527 del 4 agosto scorso relativa all’affidamento diretto della gestione del portale “Visitascoli.it” alla DieciNodi srl per ”un complesso di attività di comunicazione e promozione, dirette nello specifico a favorire un rafforzamento e un riposizionamento dell’immagine di Ascoli Piceno in linea con il brand Marche verso l’Italia”, per la modica cifra di 90 mila.
Una somma notevole che è legittimo spendere per un obiettivo così importante, a patto però poi di verificare in concreto cosa è stato fatto in quel portale per promuovere e rafforzare l’immagine di Ascoli in questi 20 mesi (l’affidamento risale a fine novembre 2020). E dire che ci sono dei dubbi in proposito è un eufemismo, non solo per alcune clamorose “cantonate” (basterebbe pensare che ancora fine maggio a centro pagina del portale si parlava del capoluogo piceno con “novella candidata”, con tanto di articolo che annunciava “Ascoli Piceno si candida a Capitale della Cultura 2024” e intervista ad Ossini che spiegava le ragioni per cui Ascoli aveva ottime possibilità per ottenere il riconoscimento). Ma anche e soprattutto per i contenuti che propone che non danno del capoluogo piceno un’immagine particolarmente edificante.
Come ad esempio il fatto che tra i grandi eventi viene dato spazio alla Quintana, alla festa per il santo patrono e al Carnevale (in effetti non che ce ne siano molti più in realtà…). O come la presentazione dei luoghi più suggestivi della città, presentati con un titolo di una tale banalità che anche un ragazzino alle prime armi sarebbe capace di fare meglio (“Tra i luoghi principali da non perdere ad Ascoli Piceno, il principale è di certo Ascoli Piceno”). Per non parlare, poi, dei video “Scopriamo Ascoli” presenti nel portale, opera dell’influecer (o, come qualcuno l’ha ribattezzata, regina di Tik Tok) Melissa Massetti su cui per decenza è meglio stendere un velo pietoso.
C’è, poi, la determina n. 2354 del 22 luglio (ma pubblicata solo ad inizio settimana sull’albo pretorio on line del Comune) relativa al pagamento della quinta ed ultima rata alla società che si è occupata del “marketing strategico e comunicazione” relativi alla candidatura a Capitale Italiana della Cultura 2024. Un compito che l’amministrazione comunale ha affidato, in forma diretta, alla Fachiro Strategic Design di Amedeo Palazzi per la modica cifra di 55 mila euro oltre iva più ulteriori fondi per alcune specifiche attività. In questo caso, in realtà, più che chiedersi se quei soldi hanno prodotto qualcosa di concreto (la bocciatura e la “figuraccia” rimediata dal capoluogo piceno a tal proposito parlano chiaro), piuttosto c’è da chiedersi chi ha avuto la brillante idea di scegliere la Fachiro Strategic Design che è talmente nota e attiva in questo campo che, seguendo l’esempio del sindaco Fioravanti (che ha una sorta di fissazione per la ricerca delle notizie su google), digitando il suo nome su google, al di là delle informazioni del proprio sito, sul motore di ricerca l’unico articolo che si trova in proposito è il nostro di fine 2021, quando appunto sollevavamo grossi dubbi sulla scelta di quella agenzia.
Non fosse altro per il suo surreale manifesto con i 10 punti a cui si ispirerebbe la propria attività, con alcune “chicche” che sconfinano quasi nel demenziale: “il segreto per andare avanti è iniziare”, “non tutto quel che conta può essere contato”, “prima di parlare bisogna pensare” (secondo Fabrizio Moro anche prima di sparare bisogna pensare…), “dove c’è molta luce, l’ombra è più nera”. Ci mancano solo “non esistono più le mezze stagioni” e “meglio un uovo oggi che una gallina domani” e poi eravamo al completo.
Però, alla fine, sull’ultimo dei 10 punto non possiamo non essere d’accordo: “è tutto sbagliato”…