Nella giornata mondiale della libertà di stampa in pochi ricordano i giornalisti uccisi per aver raccontato gli orrori della guerra, con l’attenzione che si concentra sulla classifica di Rsf, nella quale l’Italia scivola al 58° posto, strumentalizzata in maniera indecorosa
Nella giornata mondiale della libertà di stampa (3 maggio), nel nostro paese si è molto parlato dell’annuale graduatoria stilata da Reporters Sans Frontieres (Rsf) che nel 2022 vede l’Italia perdere 17 posizioni e posizionarsi al 58° posto. Magari sarebbe stato doveroso, ancor più con la guerra che purtroppo è diventata tragica attualità in queste settimane, parlare e ricordare i tanti giornalisti uccisi per aver raccontato gli orrori della guerra.
Come invece ha fatto la giornalista palestinese Rula Jebreal che, nell’occasione, ha ricordato tra giornalisti uccisi solo per aver raccontato gli orrori della guerra e delle dittature (Marie Catherine Colvin, uccisa nel 2012 in Siria insieme al fotoreporter francese Remi Ochlik dal governo siriano in collaborazione con i russi, Jamal Kashoggi, ucciso nel 2018 nel consolato dell’Arabia Saudita ad Istanbul su mandato del principe ereditario bin Salman, Anna Politkovskaja, la giornalista russa uccisa il 7 ottobre 2006 a Mosca per aver raccontato gli orrori e il genocidio commessi dai russi in Cecenia ma anche la corruzione dilagante di esponenti di primo piano del governo Putin).
Magari, però, in nome di quel rispetto “sacro” dei fatti e di quella verità che dovrebbe sempre guidare l’opera dei giornalisti, quanto meno sarebbe stato opportuno anche spiegare le ragioni di quella posizione nella classifica sulla libertà di stampa, parlando di quella che secondo Rsf è la situazione dell’informazione nel nostro Paese. Invece quella classifica è stata ed è utilizzata in maniera assolutamente strumentale, soprattutto per mettere sotto accusa la cosiddetta “informazione mainstream” per quanto concerne il racconto della guerra in corso in Ucraina.
Come è accaduto lunedì 2 maggio nel corso dell’evento organizzato da Michele Santoro al teatro Ghione di Roma, “Pace proibita”, che teoricamente aveva l’obiettivo di promuovere la pace ma in realtà si è presto trasformato in un atto di accusa (a tratti surreale e ai limiti del farsesco) nei confronti di quello che è stato definito, per altro con un termine ampiamente inflazionato, il “pensiero unico” dell’informazione italiana, proponendo più o meno consapevolmente una narrazione terribilmente simile a quella improponibile e inequivocabilmente “farlocca” proposta dall’incessante propaganda russa.
Ci sarebbero tante, troppe cose da dire sull’indecoroso spettacolo messo in scena da quello (Michele Santoro) che è sempre più difficile definire un giornalista (perché per lui, già in pandemia, ora ancor più in questa guerra, i fatti sono diventati un fastidioso optional…).
Sorvolando per decenza sulla vergognosa mancanza di rispetto di confronto di un popolo, quello ucraino, che sta subendo orrori e atrocità (ampiamente documentate) di ogni genere e che sta combattendo per un principio sacrosanto, non si può non sottolineare la vergognosa e sconcertante presunzione di chi, dalla comoda poltrona di casa, ha la “faccia tosta” di mettere in discussione, contestare e irridire, senza alcun criterio e solo sulla base di convinzioni preconcette, la tragica narrazione di chi ogni giorno mette a rischio la propria vita per raccontare i drammatici eventi che avvengono in Ucraina (per qualche “genio” che ci vuole davvero coraggio per definire giornalista, ad esempio, non bisognerebbe parlare di bambini morti, non bisognerebbe mostrare immagini cruente, evitando collegamenti di fronte e o dietro edifici in macerie, come se non stessimo raccontando una guerra…).
Ci saranno altre opportunità per parlarne, in questa sede volevamo soffermarci e approfondire proprio la classifica di Rsf e il 58° posto dell’Italia, utilizzato come una clava lunedì sera per dimostrare che non ci si può in alcun modo fidare dell’informazione italiana (naturalmente quella cosiddetta “mainstream”), con qualcuno che si è addirittura spinto oltre, arrivando a sostenere che in fondo l’Italia, quanto a libertà di stampa, non è certo messa meglio della Russia, anzi.
Sono anni che sottolineiamo i limiti della nostra informazione ma bisogna avere ben più dei paraocchi per poter anche solo provare a paragonare ciò che accade in Italia con quanto avviene in Russia, e non certo solo ora che è in corso una guerra. Senza aggiungere ulteriori considerazioni, però, è comunque fondamentale come sempre stare ai fatti. Che, a proposito della classifica sulla libertà di stampa di Rsf, delinea un quadro completamente differente, praticamente opposto, da quello “millantato” nel corso della manifestazione al teatro Ghione.
Detto che, secondo quella classifica, i paesi dove è maggiormente garantita la libertà di stampa sono nell’ordine Norvegia, Danimarca e Svezia, è vero che l’Italia perde 17 posizioni, passando dal 41° al 58° posto, ma è altrettanto innegabile che sta decisamente peggio la Russia che perde 5 posizioni e si colloca al 155° posto, praticamente in coda, mentre l’Ucraina scende dal 96° al 107° posto.
Andando nel dettaglio (in fondo all’articolo la relazione completa, tradotta in italiano) quel 58° posto è determinato da ben altri fattori rispetto a quelli raccontati da chi continua a sbandierare ideologicamente quella classifica. In particolare Rsf sottolinea le minacce subite dai giornalisti dalla malavita organizzata ma anche dai gruppi estremisti “che hanno visto un aumento significativo durante la pandemia”, la polarizzazione della società italiana durante la pandemia che “ha colpito i giornalisti che sono stati oggetto di aggressioni sia verbali che fisiche durante le proteste” ma anche la precarietà crescente e la paralisi legislativa che frena i progetti di legge che potrebbero migliorare la libertà giornalistica.
Nessun cenno ad eventuale informazione di regime o “pensiero unico” dell’informazione stessa, anzi, secondo Rsf “il panorama mediatico italiano è ben sviluppato e dispone di un’ampia gamma di mezzi di comunicazione che garantiscono una reale diversità di opinioni” e “per la maggior parte i giornalisti italiani godono di un clima di libertà”.
Ben altra situazione, ovviamente, in Russia e non solo dopo l’invasione dell’Ucraina che ha fatto si che “quasi tutti i media indipendenti sono stati banditi, bloccati e/o dichiarati agenti stranieri. Tutti gli altri sono soggetti a censura militare”. Secondo la relazione di Rsf (leggi qui) in Russia “nessun giornalista è al sicuro dalla minaccia di gravi accuse in base a leggi draconiane vagamente formulate che sono state spesso adottate in fretta” e negli ultimi anni “oltre alle pesanti condanne e alle torture subite da alcuni giornalisti, all’arsenale delle sistematiche intimidazioni contro i giornalisti si è aggiunto il frequente ricorso a multe e detenzioni di breve durata. I media sono anche minacciati di inclusione arbitraria nell’elenco degli agenti stranieri, uno status che comporta pesanti ostacoli burocratici e rischi legali”.
La relazione di Rsf, poi, evidenzia la sempre più diffusa censura, la chiusura e praticamente la scomparsa anche delle ultime testate indipendenti. Dando infine uno sguardo all’Ucraina (leggi qui), Rsf sottolinea come la guerra minaccia la sopravvivenza dei media indipendenti e ed evidenzia come, nonostante l’impegno del presidente Zelensky, “il panorama dei media ucraino rimane in gran parte nella morsa degli oligarchi che influenzano le loro politiche editoriali”. Scondo Rsf, però, dopo la rivoluzione di Maidan si sono registrati importanti passi avanti verso la libertà di stampa, “sono state approvate diverse leggi sui media che regolano la trasparenza, l’accesso alle informazioni e la protezione dei giornalisti” e “si possono liberamente affrontare questioni sociali finora trascurate, comprese quelle riguardanti i gruppi vulnerabili, e i media svolgono un ruolo chiave nell’esporre la corruzione dell’elite del Paese”.
Da sottolineare, infine, che secondo Rsf “nei territori sotto il controllo russo (Crimea, Donbass e aree occupate dall’esercito nel 2022) i media ucraini vengono messi a tacere e sostituiti dalla propaganda del Cremlino”. E pensare che nel corso della serata organizzata da Santoro era stato detto esattamente il contrario…
Italia 58° posto (https://rsf.org/en/country/italy)
La libertà di stampa in Italia continua ad essere minacciata dalla criminalità organizzata, in particolare nel sud del Paese, nonché da vari gruppi estremisti o di protesta che usano la violenza, che hanno visto un aumento significativo durante la pandemia.
Panorama dei media
Il panorama mediatico italiano è ben sviluppato e dispone di un’ampia gamma di mezzi di comunicazione che garantiscono una reale diversità di opinioni. Il settore radiotelevisivo comprende diverse emittenti televisive pubbliche (come Rai 1) e radio pubbliche, oltre a molte emittenti televisive e radiofoniche private. La stessa diversità caratterizza la carta stampata, che comprende quasi 20 quotidiani con una tiratura di oltre 20.000 (come Corriere della Sera e La Repubblica), circa 50 settimanali di grande tiratura (come L’Espresso e Famiglia Cristiana), così come molte riviste e una serie di siti web di notizie.
Contesto politico
Per la maggior parte, i giornalisti italiani godono di un clima di libertà. Ma a volte cedono alla tentazione di autocensurarsi, o per conformarsi alla linea editoriale della propria testata giornalistica, o per evitare una denuncia per diffamazione o altre forme di azione legale, o per paura di rappresaglie da parte di gruppi estremisti o criminalità organizzata.
Quadro giuridico
Un certo grado di paralisi legislativa sta frenando l’adozione di vari progetti di legge che sono stati proposti per preservare e persino migliorare la libertà giornalistica. Questo spiega in parte i limiti che alcuni giornalisti incontrano nel loro lavoro. La diffamazione deve ancora essere depenalizzata e la pandemia ha reso più complesso e laborioso per i media nazionali accedere ai dati detenuti dallo stato.
Contesto economico
A causa della crisi economica, i media nel loro insieme sono sempre più dipendenti dagli introiti pubblicitari e da eventuali sussidi statali, mentre anche la carta stampata sta affrontando un graduale calo delle vendite. Il risultato è una precarietà crescente che mina pericolosamente il giornalismo, la sua energia e autonomia.
Contesto socioculturale
La polarizzazione della società italiana durante la pandemia di Covid-19 ha colpito i giornalisti, che sono stati oggetto di aggressioni sia verbali che fisiche durante le proteste contro le misure adottate dalle autorità per combattere la pandemia.
Sicurezza
I giornalisti che indagano sulla criminalità organizzata e sulla corruzione sono sistematicamente minacciati e talvolta soggetti a violenze fisiche, compresi incendi dolosi alle loro auto o alle loro case. Campagne intimidatorie online vengono orchestrate per “punire” i giornalisti che hanno il coraggio di esplorare temi così delicati come la collusione tra famiglie mafiose e politici locali. Venti giornalisti stanno attualmente ricevendo protezione 24 ore su 24 dalla polizia perché vittime di intimidazioni, minacce di morte o attacchi