Secondo i dati del Centro studi Cna nel Piceno l’80,8% delle imprese artigiane della manifattura e dei servizi hanno chiuso il 2020 in rosso, con un calo medio del fatturato del 27,2%. E in alcuni comparti (trasporto, ristorazione, benessere alla persona) la perdita è maggiore
Mai come in questo caso è valido il detto “mal comune, mezzo gaudio”. Perché non consola certo il fatto che il 2020 si è chiuso su tutto il territorio nazionale con i conti in rosso per 4 imprese artigiane su 5, con picchi vicini alla totalità di imprese in perdita nei comparti che più hanno sofferto il confinamento, il distanziamento sociale, la drastica riduzione del commercio internazionale. Non che ci si potesse aspettare qualcosa di meglio, ma i dati che emergono dall’indagine curata dal Centro studi Cna nazionale, che ha analizzato la contabilità di un campione di circa 12 mila imprese con fatturato fino a 5 milioni di euro, sono comunque impressionanti.
Nel complesso dall’indagine emerge innanzitutto la necessità di una forte discontinuità nelle modalità di determinazione e nei tempi di erogazione degli aiuti rispetto agli interventi dello scorso anno. In particolare, sottolinea la Confederazione, andrebbe evitata la tagliola del calo minimo di fatturato pari al 33%, che potrebbe escludere dagli indennizzi molte imprese che pure hanno subito un forte calo di giro d’affari, sostituendo tale strumento con un meccanismo a scalare che riduca il beneficio da una certa soglia fino ad annullarlo per i valori di perdita inferiori alla media. Per quanto concerne il Piceno, l’80,8% delle imprese artigiane della manifattura e dei servizi ha chiuso i conti 2020 in perdita con un calo medio del fatturato pari al 27,2% rispetto al 2019.
Nella manifattura, in particolare, il 78,1% delle imprese ha chiuso in rosso con una riduzione media del 26,2%. In alcuni comparti, però, le imprese in perdita e la perdita media sono ben più rilevanti. Nella produzione di gioielli si è registrato un tonfo record con l’88,1% delle imprese in perdita e un calo medio del 32,6%. Nell’abbigliamento-tessile-pelletteria le imprese in perdita hanno toccato il livello dell’85,8 con un calo medio del 31,7 per cento del fatturato. Così anche nelle produzioni per il tempo libero e lo sport l’85,7% e meno 32,4% rispettivamente. All’estremo opposto le costruzioni: grazie alle misure di incentivazione ha visto finire l’anno in rosso il 68,8% delle imprese con una perdita media del fatturato pari al 26%. La situazione nel settore dei servizi è ancora peggiore. In termini aggregati, l’86,4% delle imprese ha accusato una perdita media di fatturato del 28,4%.
Le flessioni del giro d’affari hanno assunto però estensioni ben diverse. In alcuni comparti il calo ha interessato la quasi totalità delle imprese: si va dal 98,7% nel trasporto persone al 94% del benessere alla persona (acconciatori ed estetisti), dal 92,5% per cento della ristorazione al 92,4% delle tintolavanderie, dal 91,1% dell’intrattenimento al 90,9% dell’alloggio. Sul fronte delle perdite di fatturato, la riduzione nelle attività legate al turismo è stata tra un terzo e i due terzi del fatturato 2020 nei confronti di quello del 2019. In questo quadro complessivamente difficilissimo quasi una impresa artigiana su cinque, per la precisione il 19,2%, ha registrato un fatturato superiore a quello dell’anno precedente segnando un incremento medio del giro d’affari pari al 19%.
All’interno dello stesso settore, infatti, la variabilità dei risultati è notevole. Il caso dell’edilizia è il più eclatante: a fronte di un terzo delle imprese, che ha accusato una perdita media del 26% del fatturato, un altro terzo lo ha aumentato del 23%.
“Questa evidenza – sottolinea Francesco Balloni, direttore della Cna di Ascoli Piceno – suggerisce di correggere al più presto il meccanismo dei codici Ateco, che ha guidato l’erogazione dei ristori a fondo perduto. Così come sarebbe un errore utilizzare il breve arco temporale di gennaio e febbraio per misurare le perdite, come ha fatto il Decreto Ristori per il mese di aprile 2020. Se si paragonano i risultati dei primi due mesi del 2019 a quelli dell’intero anno, infatti, si nota che non esiste alcun rapporto stabile tra il fatturato dei mesi di gennaio/febbraio e quelli dell’intero anno. Meglio, quindi, utilizzare i dati dell’intero anno, commisurando la percentuale di ristoro compatibile con le risorse disponibili“.