Dopo le sconfortanti nomine dei sottosegretari, continuano le scelte discutibili del governo dei migliori. Mentre la Borgonzoni arricchisce lo staff della cultura con il “menestrello della Lega”, sconcerta la nomina di Giannini come capo della Polizia. E ora arriva anche la Vezzali
Probabilmente sarà per una sorta di contrappasso, per bilanciare in qualche modo il governo dei migliori e renderlo “più umano”. Certo, però, che tra alcuni ministri, molti sottosegretari, qualche nuova nomina e un paio di collaboratori sembra proprio che l’esecutivo guidato da Draghi si stia sforzando in ogni modo per scegliere i più impresentabili. Ed effettivamente bisogna anche ammettere che ci riesce alla perfezione. Già con i sottosegretari lo si era visto ampiamente. Basterebbe pensare al sottosegretario all’istruzione Sasso, quello che attribuisce a Dante una citazione che è di Topolino, ma anche Stefania Pucciarelli, la nuova sottosegretaria alla difesa famosa per aver invitato un cittadino veneto che aveva sparato a ladri di etnia rom a prendere “la mira per bene”.
Per non parlare, poi, dell’avvocato di Berlusconi al processo escort (Francesco Paolo Sisto) alla giustizia o di un altro esponente di Forza Italia, Giuseppe Moles, all’editoria (perché a qualcuno in Italia interessa ancora il conflitto di interessi?). “Hanno scelto i partiti” hanno spiegato i più fedeli sostenitori di Super Mario e buona parte della stampa, pronta ad adulare il nuovo presidente del Consiglio e il suo esecutivo a prescindere da ciò che fa, da ciò che accade.
Peccato che chi giustifica così certe scelte semplicemente indigeribili sono gli stessi che, all’atto della formazione del governo, esultavano sostenendo che finalmente nella scelta dei ministri e dei componenti che dovevano far parte dell’esecutivo si segue fedelmente la Costituzione, in particolare l’art. 92 nella parte in cui recita che “il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”, proprio a voler intendere che questa volta le scelte le avrebbe fatte realmente Draghi (il presidente del Consiglio), ovviamente insieme al presidente della Repubblica. Ovviamente, però, questo vorrebbe dire che Super Mario è pienamente responsabile di certe “schifezze” e allora, come se niente fosse, la virata a 360 gradi, con la consapevolezza che tanto in questo paese la memoria collettiva al massimo (a voler essere ottimisti) si ferma alle 24 ore precedenti.
Il problema, però, è che non ci si è fermati ai sottosegretari perché le nuove inquietanti scelte si susseguono a ritmo sostenuto, come dimostrano i fatti degli ultimi giorni. Che, innanzitutto, vedono protagonista proprio una delle sottosegretarie più contestate e che più ha suscitato sdegno, quella Lucia Borgonzoni che in passato si era vantata di non leggere un libro da 3 anni e che, ovviamente, non poteva che essere destinata alla cultura. Inevitabilmente per una simile sottosegretaria, era necessario per il suo staff gente alla sua altezza. Così ecco che nei giorni scorsi la Borgonzoni ha pensato bene di chiamare a collaborare tale Ivan Candia, meglio noto come il “menestrello della Lega”, sempre presente sul palco delle principali manifestazioni del Carroccio per rallegrare la piazza con le sue “imperdibili” canzoni.
Come quello che è considerato il suo brano principale e più significativo, “Trentino”, nel quale Candia ci racconta che “in Trentino si beve dalla damigiana”, senza ovviamente dimenticare gli immortali versi nei quali parla della grappa fragolina, con “i bicchieri che fanno bom bom e che volano su Rovereto”. Per altro da marchigiani dovremmo in qualche modo essere orgogliosi di una simile scelta, visto che il menestrello leghista ha dedicato una canzone anche alla nostra regione, pur se in coabitazione con l’Umbria (“Il cielo delle Marche e dell’Umbria”) nella quale racconta, ad esempio, che “Tolentino si scioglie in un bicchiere di vino”.
Non abbiamo dubbi che quando il presidente della Repubblica Mattarella parlava di “un governo di alto profilo istituzionale” aveva esattamente in mente personaggi come Candia. Per quanto imbarazzante possa essere, l’ingresso del menestrello della Lega nello staff del sottosegretario alla cultura non è comunque la nomina più controversa di questo periodo. Infatti nei giorni scorsi è stato nominato anche il nuovo capo della Polizia, al posto di Franco Gabrielli promosso sottosegretario agli interni con delega ai servizi segreti. E la scelta, questa indiscutibilmente frutto del governo e del presidente del Consiglio, è caduta su Lamberto Giannini.
Una lunga carriera nell’antiterrorismo, sia interno che internazionale, è stato a lungo capo della Digos della Questura di Roma, prima di approdare al Servizio Centrale Antiterrorismo e alla Direzione Centrale della Polizia di prevenzione. Un curriculum sicuramente illustre su cui, però, pesa una grandissima ombra che rende la sua scelta assolutamente inopportuna. Il suo nome è infatti legato ad uno dei più drammatici e inaccettabili misteri italiani, il caso dell’omicidio della giornalista Rai Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin, avvenuto in Somalia (Mogadiscio) il 20 marzo 1994. Ed in particolare la figura di Giannini è centrale in quello che nelle motivazioni della sentenza del tribunale di Perugia i giudici definiscono “un depistaggio di ampia portata”.
Il riferimento è all’ingiusta detenzione del cittadino somalo Hashi Omar Hassan, 17 anni in carcere perchè considerato uno degli autori del duplice omicidio (ma la famiglia Alpi da subito ha sostenuto la sua innocenza, parlando appunto di una manovra di depistaggio), poi scagionato e indennizzato nell’ottobre 2016. Hassan, convinto a venire in Italia per testimoniare alla commissione parlamentare sui crimini dei soldati italiani in Somalia, subito dopo la sua audizione su preso dalla Digos, diretta proprio da Giannini, e portato in un ufficio con quello che era stato l’autista della Alpi in Somali, Sid Abdi, con proprio il nuovo capo della polizia a condurre le operazioni e l’interrogatorio.
Lo stesso Giannini aveva raccolto la testimonianza di Abdi che, come viene fedelmente riportato nella sentenza di Perugia, inizialmente disse di non riconoscere in Hassan uno dei membri del commando che aveva ucciso la Alpi e Hrovatin. Poi dopo una lunghissima e inusuale pausa di 2 ore e mezza (secondo quanto è riportato nel verbale di interrogatorio per cena del testimone, evidentemente una sorta di banchetto nunziale…), l’autista cambiò versione, riconoscendo e accusando Hassan. Tornato in Somalia, a processo istruito, Abdi ai giornalisti locali confessò di essere stato pagato per accusare Hassan ma, subito dopo, è misteriosamente deceduto.
Anche la testimonianza dell’altro accusatore di Hassan, Ali Ahmed Rage detto Gelle, fu raccolta da Giannini. Gelle, dopo la deposizione alla Digos diretta dal nuovo capo della polizia, fuggì in Inghilterra dove è rimasto indisturbato fino al 2016 quando, mentre Hassan veniva scagionato a Perugia, venne trovato dai giornalisti di “Chi l’ha visto” a cui ammise che anche lui era stato pagato per accusare Hassan. I giudici di Perugia non hanno ovviamente formulato tesi accusatorie direttamente nei confronti di qualcuno ma hanno invocato serie indagine per stabilire chi ha condotto il depistaggio, chi ha suggerito ai falsi testimoni di accusare Hassan, chi li ha pagati.
Soprattutto hanno espresso “vivo sconcerto” per il comportamento complessivo della Polizia italiana per come sono state condotte le operazioni, per il modo in cui sono stati effettuati gli interrogatori, per il fatto che neppure dopo le dichiarazioni rilasciate da Gelle a “Chi l’ha visto” si è ritenuto opportuno di recarsi in Inghilterra quanto meno per chiedergli chi l’aveva pagato per la falsa testimonianza. Naturalmente il fatto che la figura di Giannini sia centrale in tutte queste vicende non vuol certo dire che il nuovo capo della polizia sia automaticamente colpevole ed implicato nell’opera di depistaggio. Però davvero era impossibile fare una scelta più inopportuna, non si può mettere ai vertici della Polizia italiana chi ha una simile ombra mai chiarita.
A completare il quadro, almeno per il momento, nelle ore scorse è arrivata l’indicazione per il nuovo sottosegretario che si occuperà dello sport. La scelta, che sarà ratificata nel prossimo Consiglio dei ministri, è caduta su Valentina Vezzali, grandissima campionessa della scherma italiana ma decisamente più che discutibile nella sua avventura politica. Al di là della sua infelice battuta rivolta a Berlusconi (“Presidente io da lei mi farei veramente toccare”) passata alla storia, politicamente di lei si ricorda il record di assenteismo nella prima esperienza da parlamentare e le sue posizioni poco amate dall’universo femminile in generale (e da quello dello sport in particolare), al punto che alcune campionesse dello sport si mobilitarono con tanto di petizione per chiedere che non le venisse affidato alcun incarico governativo in ambito sportivo.
Il profilo giusto per entrare a far parte della grande squadra del governo dei migliori, non c’è che dire…