Il paese dei controsensi: scuole e attività chiuse, lo sport verso il “liberi tutti”
Completamente dimenticato dal governo Draghi, che non ha previsto né il ministro né il sottosegretario, il mondo dello sport si preparare a rimandare in campo dilettanti e giovani, con scarsissime misure di prevenzione, anche nelle zone dove la situazione è peggiore
C’è un’evidente incomprensibile incoerenza in quanto sta accadendo nel nostro paese in queste ore e potrebbe accadere nei prossimi giorni. Mentre, per l’avanzata della pandemia e per gli effetti del nuovo Dpcm, si chiudono scuole di ogni ordine e grado in tutto il paese, lo sport riparte in maniera sempre più diffusa, con l’avvio di campionati minori che vedono scendere in campo anche quegli stessi ragazzi e ragazze che non vengono mandati a scuola per evitare il diffondersi (o meglio l’ulteriore diffondersi) del virus. E’ l’ennesimo controsenso di un paese che, fiaccato da un anno di difficile convivenza con la pandemia, in queste settimane sembra aver smarrito ogni briciolo di logica e di buon senso.
Di sicuro l’hanno smarrito i principali attori protagonisti di questa nuova surreale vicenda: il governo, il Coni e le federazioni sportive che sembrano aver perso di vista il quadro reale della situazione (o, forse, considerano prioritari altri aspetti rispetto alla tutela della salute). In realtà per quanto riguarda il governo più che aver smarrito il buon senso sta dimostrando di fregarsene completamente di un settore comunque di vitale importanza, da un punto di vista sociale oltre che economico, come lo sport. Che già negli ultimi anni ha vissuto un difficilissimo rapporto con l’esecutivo, prima con la “sciagurata” gestione del leghista Giorgetti (il promotore di quella nuova legge sullo sport che ha rischiato di far escludere l’Italia dalle Olimpiadi), poi con quella criticatissima del ministro Spadafora. Il nuovo governo Draghi, invece, sembra aver deciso di ignorarlo completamente, tanto che ha deciso di privarsi del ministro dello sport. Assicurando, però, che sarebbe stato nominato un apposito sottosegretario.
Invece nulla, anche nella nomina dei sottosegretari il presidente del Consiglio Draghi si è completamente dimenticato dello sport. Una dimenticanza grave a prescindere, ma che in questa fase determina delle ulteriori pesanti conseguenze. Perché di fatto il mondo dello sport, abbandonato sotto ogni punto di vista dal nuovo governo, ha deciso di andare per la propria strada, come se quello che accade intorno, come se la situazione di grave difficoltà che sta vivendo il paese, con i dati che mettono ogni giorno più paura e spingono verso ulteriori maggiori restrizioni, fossero dei particolari irrilevanti. Così mentre tutti gli altri settori, con l’evolversi in senso sempre più negativo della pandemia, sono costretti a nuove chiusure e a maggiori restrizioni, il mondo dello sport, come se nulla fosse, va esattamente nel senso opposto.
Guidato dal comportamento a dir poco spregiudicato (ai limiti dell’incoscienza) delle rispettive federazioni (a livello centrale e locale) ma anche con la complicità del Coni che osserva senza ritenere minimamente opportuno dover intervenire per indicare una strada che deve necessariamente essere quella della massima precauzione, della massima prudenza. Da un punto di vista normativo il nuovo Dpcm che entrerà in vigore il prossimo 6 marzo (fino al 6 aprile) ha di fatto confermato, in tema di sport, le disposizioni previste dai precedenti Dpcm. Che, però, erano state adottate in previsione di uno sperato miglioramento della situazione che, purtroppo, ora non è certo all’orizzonte. In generale le disposizioni in vigore (e confermate fino al prossimo 6 aprile) prevedono che in area gialla e arancione l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere, svolte all’aperto presso centro e circoli sportivi, sono consentite nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento.
Continuano, invece, ad essere sospese le attività di palestre, piscine, centri natatori, così come è sospeso lo svolgimento degli sport di contatto. Allo stesso modo sono sospese l’attività sportiva dilettantistica di base, le scuole e l’attività formativa di avviamento relative agli sport di contatto nonché tutte le gare, le competizioni e le attività connesse agli sport di contatto, anche se aventi carattere ludico amatoriale. Sono invece consentiti gli eventi e le competizioni, di sport individuali o di squadra, riconosciuti di preminente interesse nazionale con provvedimento del Coni e del Cip. E proprio quest’ultimo cavillo, nel paese degli azzeccagarbugli, ha finito per determinare una situazione surreale.
Perché di fatto il Coni si è limitato a prendere atto degli elenchi trasmessi dalla varie federazioni che si sono superate, indicando come di “preminente interesse nazionale” praticamente quasi tutti gli eventi e tutti i campionati, tranne rarissimi casi. Un comportamento a dir poco superficiale che, di fatto, nei mesi e nelle settimane scorse ha consentito ad atleti dilettanti e, soprattutto, ai più giovani di continuare ad allenarsi. Da qualche settimana, però, le federazioni non si accontentano più degli allenamenti ma hanno deciso pian piano di far ripartire la maggior parte dei campionati minori. Che, è bene sottolinearlo, vengono disputati da non professionisti e da ragazzi e ragazze giovani, che durante la settimana vanno a lavoro o a scuola, che vivono in famiglia.
Che sono, quindi, quotidianamente a contatto con molte altre persone all’infuori del proprio ambito sportivo, a differenza di quanto avviene con i giocatori professionisti (o simil professionisti) che disputano i campionati principali di calcio, basket e volley. L’altra differenza sostanziale e determinante è che, mentre quest’ultimi sono costantemente sottoposti a tampone (almeno un paio di volte alla settimana), a spese delle rispettive società, per quegli atleti non professionisti al massimo c’è un test sierologico iniziale, poi nessun tampone prima delle gare ma solo autocertificazioni e mascherine. E protocolli sanitari che in molti campi di calcio di periferia e in tante palestre di fatto sono impossibili da seguire.
E’ del tutto evidente, quindi, che mettere in circolazione migliaia e migliaia di atleti in queste condizioni, per campi di calcio e palestre di tutto il paese (per altro ben conoscendo la situazione precaria a livello di impiantistica sportiva nel nostro paese), è un rischio incalcolabile e che chiunque ha ancora un briciolo di coscienza non dovrebbe voler correre. Invece è quello che incredibilmente sta accadendo e continuerà ad accadere, se non interviene tempestivamente qualcuno, in Italia.
Dove il calcio sta discutendo, con le forti pressioni di tantissime società, per far ripartire presto campionati minori come l’Eccellenza ma anche quelli giovanili, il basket si accinge a dare il via ai campionati di serie C, D e regionali e provinciali, mentre la pallavolo ha già da alcune settimane ripreso i campionati di B1 e B2 e in questo fine settimana farà ripartire i campionati regionali di serie C. Un autentica follia che nessuno, almeno fino ad ora, ritiene opportuno di fermare nonostante l’evidenza dei fatti.
Che dice che, per quanto riguarda la pallavolo, il campionato di serie B che è ripartito a fine gennaio, con le squadre divise in mini gironi su base territoriale, in 7 turni dei 56 gironi maschili e femminili ha già visto rinviate per covid 175 partite (70 della B maschile, 31 della B1 femminile, 74 della B2 femminile). Una situazione sin troppo chiara ed emblematica che dovrebbe far riflettere e ragionare. E, invece, in questo fine settimana è previsto l’avvio dei campionati regionali di serie C, anche nelle Marche che sono ai limiti del baratro.
Solo per rendersi conto della follia di questa situazione, mentre il governatore marchigiano ha dichiarato le province di Ancona e Macerata zona rossa, quindi in una situazione di massimo pericolo (d’altra parte i numeri parlano chiaro), nel fine settimana 17 formazioni anconetane e 7 maceratesi (tra maschile e femminile) saranno in giro per le Marche e scenderanno regolarmente in campo per disputare la prima giornata dei rispettivi campionati. Se poi allarghiamo il discorso anche alla serie B, siamo ben oltre le 30 squadre delle due province.
Non solo, nelle province di Ancona e Macerata rosse, e quindi chiuse per l’ordinanza regionale, sabato 6 marzo sono comunque in programma ben 8 partite (5 ad Ancona, 3 a Macerata). Come è possibile che in province dove, per l’emergenza, si sono chiuse anche scuole elementari ed asili, dove in alcuni comuni addirittura sono stati chiusi anche parchi e giardini, si possano disputare regolarmente queste partite? Visto che le rispettive federazioni non si rendono conto o fingono di non rendersi conto della situazione, sarebbe quanto mai opportuno un intervento da parte del governo o anche della Regione.
In realtà qualcuno che sembra non aver perso la ragione fortunatamente ancora esiste. Sono, infatti, diverse le società (di calcio, basket e pallavolo) che saggiamente hanno annunciato di non voler partecipare ad alcun campionato fino a che la situazione resterà quella attuale. Alcune prendendo anche posizione in maniera decisa. Come, ad esempio, la formazione di volley di Montecchio (Vicenza) che non ha partecipato al campionato femminile di serie B.
“Ho una responsabilità morale verso le persone collegate ai gruppi squadra della serie B – ha spiegato la presidente Burato – in questa categoria la maggior parte giocano per passione e durante il giorno svolgono un lavoro o vanno a scuola. Questo comporta che siano costantemente a contatto con persone. Il problema si ripercuote anche tra le pareti domestiche, le giocatrici di serie B nella maggior parte dei casi tornano in famiglia esponendo al rischio contagi i propri cari. E credo che queste scarse misure di prevenzione possano mettere in pericolo la salute pubblica”. Identica presa di posizione, nel basket, è arrivata dalla storica società del Novellara (Reggio Emilia) che non prenderà parte ai campionati di serie C e serie D.
“L’attuale situazione sanitaria – scrive la società in una nota – non garantisce la necessaria sicurezza agli atleti, allo staff tecnico ed organizzativo e, di conseguenza, alle loro famiglie, alle loro attività lavorative e di studio, alla loro vita. E’ una decisione sofferta ma è anche una decisione responsabile: in questo momento per noi l’aspetto sportivo/agonistico passa in secondo piano, davanti a tutto la sicurezza e la salute”. Dovrebbe essere scontato che sia così, quelli di Montecchio e Novellara dovrebbero essere la norma. Invece, purtroppo, sono solamente delle eccezioni…