Da “Il Giornale”, che l’aveva definita “l’esperta in zoccolaggine”, parte la crociata contro Selvaggia Lucarelli che ha duramente condannato le offese sessiste del professore di Siena, senza però esprimere solidarietà alla Meloni. Con motivazioni più che condivisibili…
Tutti contro “l’esperta in zoccolaggine”. A guidare la “crociata” contro Selvaggia Lucarelli, “colpevole” di aver assunto una posizione un po’ differente rispetto alla maggioranza sulla vicenda degli insulti sessisti a Giorgia Meloni, è proprio “Il Giornale” che, a fine 2019, l’aveva etichettata in quel modo ignobile in un editoriale a firma del direttore Alessandro Sallusti. Sarebbe sufficiente questo esempio, assolutamente non l’unico, per rendersi conto della profonda ipocrisia che permea il mondo politico e dell’informazione italiano, quell’indignarsi a giorni alterni, con la solita storia della doppia morale. Anzi, in questo caso siamo oltre perché siamo all’incredibile paradosso che ad indignarsi e a pretendere da tutti massima solidarietà è proprio chi sostanzialmente si è comportato allo stesso modo nei confronti degli avversari (o forse sarebbe meglio dire dei nemici).
Siamo un paese con la memoria ridotta ai minimi termini, quindi ogni genere di “giravolta” è permessa, passa quasi inosservata. Così non stupisce che a fare “la morale” sia chi ha usato nei confronti della Lucarelli (o di altre donne come Virginia Raggi, Laura Boldrini, Lucia Azzolina, Maria Elena Boschi) parole e toni non differenti da quelli utilizzati da Giovanni Gozzini contro Giorgia Meloni. Parole orribili, semplicemente vergognose quelle utilizzate dal docente dell’Università di Siena, da condannare senza esitazioni come, d’altra parte, fa la stessa Lucarelli (“mi fa orrore il linguaggio del professore Giovanni Gozzini, che sconterà il suo errore come è giusto che sia”). Che, però, non si unisce all’unanime coro di solidarietà nei confronti della leader di Fratelli d’Italia (che ha ricevuto anche la telefonata da parte del presidente della Repubblica Mattarella).
“Perché la solidarietà è un concetto profondo – spiega la Lucarelli – un’idea, un abbraccio di fratellanza e complicità che non posso concedere a chi ha fatto dell’intolleranza e della divisione il suo credo politico. Perché l’insulto è odio, ma il linguaggio più subdolamente aggressivo è quello utilizzato per far leva sulle emozioni, sulle paure, sull’ignoranza e sull’identificazione del nemico in chi è fragile e diverso. Quello utilizzato costantemente da Giorgia Meloni per la sua propaganda politica, quello masticato e vomitato da buona parte del suo elettorato sui social e fuori dai social. Quello su cui fanno leva molti rappresentanti del suo partito, spesso autori di post razzisti, sessisti, omofobi”.
Una posizione forte, che la Lucarelli poi argomenta ulteriormente (in fondo all’articolo il suo intervento integrale), ma a nostro avviso, assolutamente condivisibile. La condanna di un certo tipo di linguaggio d’odio è fuori discussione, ma non si possono far finta di dimenticare o di ignorare le responsabilità di chi ora è oggetto di quei stessi vergognosi metodi che in qualche modo ha contribuito ad alimentare. E’ troppo facile indignarsi quando si è vittima, dopo aver sempre tollerato o al massimo archiviato con un rimbrotto lo stesso genere di violenza verbale utilizzato in continuazione dai propri sostenitori e anche dagli esponenti del proprio partito. Ci sono decine e decine di esempi in proposito, ci sono pagine vergognose che sono passate sotto silenzio.
Come ad esempio quanto accaduto a Bologna a fine 2019, quando alcuni post sessisti di un consigliere della Lega la virulenta campagna con manifesti offensivi contro la Boldrini erano stati denunciati da un ordine del giorno presentato in Consiglio comunale nel quale si esprimeva solidarietà nei confronti delle donne vittime di offese sessiste e della stessa ex presidente della Camera. Proprio FdI, insieme alla Lega, in quell’occasione aveva presentato un emendamento nel quale si ribadiva solidarietà a tutte le donne tranne alla Boldrini. Una vergogna contro la quale non si è levata alcuna parola di protesta da parte della Meloni che, tanto meno, aveva ritenuto opportuno prendere un qualche provvedimento nei confronti degli autori di una simile ignominia.
Così come nessun provvedimento è stato adottato dalla Meloni e da FdI nei confronti di quegli esponenti del suo partito che a Napoli, nel luglio 2020, nel corso di un incontro elettorale a cui partecipavano la stessa Meloni e il candidato governatore Caldoro, hanno pesantemente insultato, con affermazioni volgari, la giornalista Taisia Raio che insieme ad altri cronisti cercava di entrare nella sala dove si svolgeva la manifestazione. Stesso discorso per la vignetta con pesanti insulti sessisti contro le donne delle associazioni ecologiste e animaliste da parte del consigliere regionale veneto di FdI Berlato.
Per non parlare, poi, delle parole scritte su facebook dal vicepresidente del Consiglio comunale di Vercelli, Giuseppe Cannata, “ammazzateli tutti ste lesbiche, gay e pedofili”. In quell’occasione la Meloni aveva preso le distanze ma, invece di prendere qualche provvedimento nei suoi confronti, si era poi scagliata violentemente contro chi aveva osato polemizzare. D’altra parte, senza dilungarci ulteriormente in esempi simili, basterebbero ricordare le parole pronunciate dalla stessa leader di FdI il 19 ottobre 2019 a piazza San Giovanni a Roma, nel corso della manifestazione di protesta del centrodestra contro il governo giallo rosso, quel “vogliono che siamo genere lgbt ma noi siamo persone” che per certi versi è più offensivo di quanto scritto da Cannata (come a dire che gay e lesbiche non sono persone…).
Se poi allarghiamo il discorso agli esponenti e ai giornali della sua area politica l’ipocrisia assume proporzioni clamorose. Tra coloro che più di tutti hanno alzato la voce per il trattamento ricevuto dalla Meloni, ci sono Matteo Salvini e quel Vittorio Sgarbi che qualche mese fa fu portato fuori a braccia dal Parlamento dopo aver ripetutamente apostrofato alcune sue colleghe, la deputata Giusi Bartolozzi e la vicepresidente Mara Carfagna che in quel momento stava presiedendo l’assemblea, con l’epiteto “brutte troie”. Quanto a Salvini basterebbe ricordare il suo comportamento nei confronti di Laura Boldrini, quel comizio con una bambola gonfiabile sul palco (“c’è una sosia della Boldrini qui” aveva esclamato), dopo il quale non solo non si era degnato di chiedere scusa ma, addrittura, aveva rilanciando con l’ignobile hastag #sgonfialaboldrini.
L’indignazione, per gli insulti sessisti, da parte di chi si è rivolto a colleghe chiamandole “troie” o, peggio ancora, paragonandola ad una “bambola gonfiabile” è più insopportabile e indecente degli insulti stessi. Con l’aggravante che quel professore di Siena probabilmente (e giustamente) pagherà per quello che ha detto, mentre Salvini e Sgarbi sono tranquillamente rimasti dove erano, senza subire la minima conseguenza.
Discorso assolutamente analogo per i vari Feltri, Belpietro, Sallusti, Senaldi e i loro giornali che prima di proferire parola dovrebbero quanto meno chiedere scusa per il trattamento riservato alla Boldrini stessa ma anche a Virginia Raggi (come dimenticare l’ignobile titolo “Patata bollente” a lei rivolto), alla ministra Lucia Azzolina (“chiappone impiegatizio da lavoro sedentario”) o, addirittura, persino alla compianta Nilde Iotti (“brava a letto come tutte le romagnole, famose per la loro esuberanza”). L’ipocrisia al quadrato è rappresentata dal fatto che alza la voce chi ha sempre sminuito o addirittura negato che esista nel nostro paese un problema (trasversale) di odio, di violenza verbale.
Il fatto è che, finchè riguarda gli avversari, i nemici politici, sono solo esagerazioni. Poi, nel momento in cui il sessismo o l’offesa colpisce qualcuno della propria parte, allora cambia tutto, con penose e patetiche “giravolte”. Per altro di queste problematiche di dialettica d’odio, di sessismo e di discriminazione contro le minoranze e le donne si parla da tempo nelle istituzioni politiche e proprio Fratelli d’Italia ha sempre avuto una posizione di negazione. Basterebbe ricordare la dura opposizione contro il ddl contro l’omotransfobia, che ha proprio l’obiettivo di proteggere contro il linguaggio d’odio, o peggio ancora l’astensione al voto sulla commissione d’odio voluta dalla senatrice a vita Liliana Segre, con addirittura il mancato applauso nei suoi confronti, in aula, come segno di protesta.
Troppo comodo e troppo facile denunciare ora quelli che qualcuno ha definito gli effetti di quel “contesto sociale marcio” che la stessa Meloni e il suo partito non solo non hanno contribuito a cambiare ma, per certi versi, hanno per troppo tempo alimentato. Per questo, ribadendo la più assoluta condanna per le ignobili espressioni usate nei confronti della leader di FdI dal professor Gozzini, riteniamo più che legittimo non esprimere un sentimento più profondo di solidarietà nei confronti di chi neppure in questa circostanza si è sentita in dovere di fare una riflessione più approfondita.
Magari per ammettere di aver sbagliato ad aver, fino ad ora, minimizzato e per annunciare il proprio (e del suo partito) impegno concreto per contribuire a porre un argine a questo malvezzo, ammettendo l’urgenza di legiferare in proposito.
L’articolo pubblicato da Selvaggia Lucarelli:
“Non esprimerò alcuna solidarietà a Giorgia Meloni. E non la esprimerò nonostante- come ovvio- mi faccia orrore il linguaggio del professore Giovanni Gozzini, che sconterà il suo errore come è giusto che sia. Nonostante mi faccia orrore chiunque diffonda l’odio attraverso il linguaggio. Anzi. Nonostante e proprio in virtù di ciò, non esprimerò solidarietà a Giorgia Meloni.
Perché la solidarietà è un concetto profondo, un’idea, un abbraccio di fratellanza e complicità che non posso concedere a chi ha fatto dell’ intolleranza e della divisione il suo credo politico. Perché l’insulto è odio, ma il linguaggio più subdolamente aggressivo è quello utilizzato per far leva sulle emozioni, sulle paure, sull’ignoranza e sull’identificazione del nemico in chi è fragile e diverso.
Quello utilizzato costantemente da Giorgia Meloni per la sua propaganda politica, quello masticato e vomitato da buona parte del suo elettorato sui social e fuori dai social. Quello su cui fanno leva molti rappresentanti del suo partito, spesso autori di post razzisti, sessisti, omofobi. Fratelli d’Italia, il partito di chi vota contro la risoluzione Ue sul razzismo dopo il caso George Floyd, che “i genitori sono padre e madre”, che non ha alcuna pietà per chi attraversa il Mediterraneo, che è “pronto alle barricate” contro lo ius soli, che “ho un rapporto sereno con il fascismo” (cit. Giorgia Meloni).
Se Giorgia Meloni, leader di un partito, donna di potere, spalleggiata da orde di sostenitori incarogniti e feroci che insultano a loro volta chiunque sia “il nemico” ha bisogno di solidarietà, bisognerebbe ricordarsi della solidarietà che lei riserva a migranti e comunità lgbt, tanto per citare due categorie sì fragili, sì discriminate, sì bisognose di SOLIDARIETÀ.
Il linguaggio del professore di fronte al quale ci si sdegna tanto è ben più moderato di quello modellato da anni di sua propaganda che pascola sui terreni fertili dell’odio. Propaganda basata sull’odio la cui potenza persuasiva è ben chiara alla Meloni. Nonostante dichiari “Nessuna emergenza odio in Italia. Tanto meno razzismo”. E mi fa francamente abbastanza pena la solidarietà pelosa della sinistra (specie quella delle donne) che è tutto un fiorire di tweet di solidarietà, perché c’è pure la passerella della superiorità morale, non sia mai che si faccia opposizione con un po’ di coraggio. Magari dicendo chiaro e tondo che nessuno dovrebbe alimentare l’odio, che sia con uno “scrofa” vomitato alla radio o con un “vogliono che siamo genere lgbt ma noi siamo persone!” urlato come un ossesso in una piazza. Pure quella di Mattarella, ci mancava. Chissà se Mattarella telefona anche ai gay pestati o agli stranieri discriminati da chi si abbevera a queste fonti.
Incredibile poi un articolo dell’Huffington Post dal titolo: “Da Segre alla Meloni: l’irresistibile scorciatoia dell’insulto a una donna”, come se l’odio per la Segre avesse una matrice misogina e non fascista. Come se molti degli odiatori della Segre non fossero quelli che vengono su a pane e Fratelli d’Italia. Come se la Meloni non fosse quella che nella giornata della memoria ricorda l’Olocausto aggiungendo però che anche terroristi islamici odiano allo stesso modo. Perché non sia mai che i 6 milioni di ebrei sterminati abbiano il palcoscenico della memoria, bisogna pareggiare la bilancia. Come se non fosse quella che ha difeso i suoi compagni di partito rimasti seduti mentre gli altri applaudivano la Segre in piedi.
Io non la esprimo la solidarietà alla Meloni, che non ne ha certo bisogno. Rimprovero il professore, ma non mi stringo a lei, non provo alcun sentimento di vicinanza nei confronti di chi “Ringrazio per la solidarietà ricevuta da donna, madre e italiana”. Da madre e italiana. Perché se fosse stata figlia e straniera quello “scrofa”, chissà, sarebbe stato un po’ meno grave.
Al massimo, cito proprio Giorgia Meloni, quella che quando un consigliere comunale del suo partito scrisse «Lesbiche e gay ammazzateli tutti», lei “Frasi gravi ma nessuna lezione da Pd!”. Ecco, frasi gravi quelle del professore, ma non prendo lezioni da Fratelli D’Italia. E dalla Meloni”.