Natale in lockdown tra tristezza e speranza


La tristezza si sentirà in maniera più forte in quelle case, in quelle famiglie che in questi mesi hanno perso un proprio caro. In Italia sono più di 70 mila e per loro questi giorni saranno difficilissimi. Per tutti gli altri la speranza che si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel…

Sarà un Natale differente, sicuramente molto triste, quello che ci accingiamo a trascorrere. Qualcosa di simile il nostro territorio l’ha vissuto 4 anni fa, nel 2016, quando, dopo le violente scosse del 24 agosto e del 31 ottobre, l’ansia per una sequenza sismica che sembrava non finire mai e il timore su un futuro che sembrava a dir poco problematico (e in effetti lo è stato e lo è tuttora) scandirono quei giorni di festa. Le persone più anziane probabilmente negli anni della seconda guerra mondiale hanno vissuto un Natale del genere, probabilmente in una situazione più pesante e più drammatica.

Ma nessuno di noi, della nostra generazione e delle generazioni successive, ha anche solo mai pensato di poter trascorrere un Natale del genere. Siamo in guerra con un virus che ha stravolto il nostro stile di vita, siamo stanchi, intimoriti e disillusi perché molti di noi questa estate hanno creduto che il peggio fosse alle spalle. Invece quanto sta accadendo ci ha costretto a renderci conto che non sarà una cosa breve, che la strada sarà inevitabilmente lunga, anche se forse si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel. Il 27 dicembre partirà simbolicamente la campagna di vaccinazione che poi entrerà nel vivo ad anno nuovo e dovrebbe proseguire per tutta la primavera e per l’estate, per concludersi (almeno si spera) all’inizio del prossimo autunno.

Sarà, quindi, anche un Natale di speranza, con il pensiero che, anche se ci vorrà ancora del tempo, prima o poi ritorneremo alla nostra vista “normale”, anche se le ferite (di ogni tipo) di questa lunga pandemia lasceranno inevitabilmente il segno. Però proprio questa speranza forse può aiutarci a squarciare un po’ quel velo di profonda tristezza che ci accompagnerà in questi giorni. Una tristezza che si sentirà in maniera ancora più forte in quelle case, in quelle famiglie che in questi mesi hanno perso un proprio caro per colpa del covid. Sono tantissime, troppe, per i numeri ufficiali mercoledì 23 dicembre in Italia abbiamo superato quota 70 mila decessi ma sappiamo bene che, purtroppo, in realtà sono molti di più, come ha sottolineato lo stesso Istituto superiore della sanità (e d’altra parte è noto che in quel tragico conteggio vengono considerati solo i decessi che avvengono nelle strutture sanitarie).

Per quelle famiglie, per chi per la prima volta trascorrerà il Natale sapendo che il proprio genitore, il proprio compagno di una vita ma anche il proprio amico più caro non c’è più, questi giorni saranno durissimi. E allora il nostro primo pensiero non può che andare a loro, solo che sta vivendo o ha vissuto una simile tragedia può capire cosa stanno passando, come questi giorni di festa saranno un macigno, uno scoglio difficile da superare. Ma anche come possono vivere le assurde polemiche e le rimostranze di chi non potrà fare il cenone con decine e decine di persone, di chi non potrà andare a ristorante o magari di chi non potrà trascorrere il Natale sulle piste da sci.

Qualcuno ad inizio pandemia aveva ipotizzato che ne saremmo usciti migliori, la realtà ci sta dimostrando che, invece, purtroppo stiamo notevolmente peggiorando, più insensibili e più egoisti, pronti a sacrificare le persone più deboli (come gli anziani ma anche tutti coloro che sono già alle prese con altre gravi patologie) in nome dei nostri divertimenti, dei nostri svaghi, dei nostri frivoli passatempi. Quante volte nel corso della prima e della seconda fase della pandemia abbiamo sentito ripetere “tanto muoiono solo le persone anziane”, come se in fondo fosse una sorta di male minore.

Impossibile, a tal proposito, non ripensare alle agghiaccianti parole pronunciate dal presidente di Confindustria Macerata, Domenico Guzzini (“bisogna riaprire, anche se qualcuno morirà pazienza”) che sono ancora più atroci perché di fatto rappresentano una scuola di pensiero che ha prodotto quello che è sotto gli occhi di tutti (basta ricordare che Confindustria Lombardia, di fronte a quanto accaduto nel Bergamasco, ha rivendicato con orgoglio il fatto di aver fatto pressioni per evitare la “zona rossa”). Guzzini, poi, ha chiesto scusa e ha presentato le proprie dimissioni, un gesto comunque apprezzabile in un paese dove la “poltrona” non l’abbandona mai nessuno.

Basterebbe a tal proposito pensare che resta invece tranquillamente al proprio posto il presidente della Liguria Giovanni Toti che ha definito gli anziani morti per covid “persone non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese”. Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo con convinzione, al di là del fatto che per dignità avrebbe comunque dovuto farsi da parte, visto che non ha avuto questa sensibilità andava immediatamente cacciato a “pedate nel sedere”. Il fatto che è ancora tranquillamente al suo posto è la conferma che, in fondo, una parte del paese (e della politica) non ritiene così sconvolgenti quelle affermazioni.

A maggior ragione per questo il nostro pensiero va a tutti gli anziani e alle persone più fragili che vivono questo difficile periodo con il timore di chi è consapevole dei rischi che sta correndo. Per quello che può contare, per noi restano il pilastro e il fondamento della nostra società e proteggerli, ovviamente nei limiti di quanto possibile, deve essere senza discussioni la priorità. Naturalmente il nostro pensiero, in questo triste Natale, non può non andare a tutti quelli che in questi durissimi mesi sono in prima linea a combattere il virus, a cercare di salvare vite e di dare conforto a chi affronta questa dura esperienza, spesso senza avere le necessarie protezioni e mettendo a rischio la propria incolumità.

Purtroppo centinaia e centinaia di loro (tra medici ed infermieri) hanno pagato con la vita il loro impareggiabile senso del dovere. Ma non sono certo da meno tutti quelli che continuano incessantemente a prestare la loro opera, con turni massacranti non solo fisicamente e senza poter “staccare la spina” per un tempo adeguato. Dovremo ricordarci di loro quando questa pandemia sarà alle spalle e saremo nuovamente pronti ad aggredirli e scagliarci contro di loro magare per un’attesa un po’ più lunga al Pronto Soccorso o in qualche altro ambulatorio o reparto ospedaliero.

Naturalmente, come ogni anno, non potevano mancare un pensiero e i più sinceri auguri per le festività natalizie e per il nuovo anno  nei confronti di tutti gli “amici” che in questi mesi hanno continuato a leggerci e a seguirci. Siete incredibilmente tantissimi, addirittura in numero maggiore rispetto allo scorso anno, oltre 10 mila utenti unici, tantissime “cliccate” per ogni articolo. I miei più sinceri ringraziamenti vanno a tutti voi, a tutti coloro che in questi mesi mi hanno incoraggiato, mi hanno sostenuto, mi hanno scritto per segnalare situazioni meritevoli di attenzione, per fornirmi interessanti spunti. Ma i miei ringraziamenti vanno anche a coloro che hanno sollevato critiche, che non hanno condiviso alcuni giudizi. Le critiche, anche quelle più dure, se concrete e motivate aiutano a crescere, a migliorarsi, spesso sono molto più utili degli elogi. Come sempre ora ci prenderemo qualche giorno di pausa. L’appuntamento è per il 28 dicembre, per continuare a raccontare tante storie interessanti.

Augurando nuovamente a tutti voi un Natale il più possibile sereno, per quanto possibile, vogliamo congedarci con alcune strofe di una splendida canzone, “Everybody Hurts” dei Rem, che calzano alla perfezioni con il momento che stiamo vivendo: “When you think you’ve had too muche of this life, well hang on. Everybody hurts, take comfort in your friends” (“quando pensi di averne avuto abbastanza di questa vita, tieni duro. Tutti soffrono, trova conforto nei tuoi amici”)

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