Lo studio della Cleveland Clinic demolisce l’ipotesi che la vaccinazione antinfluenzale possa aumentare il rischio. E quello italiano del Centro Cardiologico Monzino indica addirittura una relazione inversa tra vaccinazione antinfluenzale e contagio da Covid 19
Il nostro paese era nel pieno della pandemia, nel momento più critico con centinaia di morti al giorno e le terapie intensive al collasso, quando sui social i vari movimenti no vax sganciavano quella che a prima vista sembrava una vera e propria “bomba”: la vaccinazione antinfluenzale non solo aumenta il rischio di contrarre il covid ma anche le possibilità di un decorso tragico. Inizialmente, a supporto di questa clamorosa novità, si citavano la surreale tesi dell’interferenza virale e quanto sarebbe accaduto a Bergamo e Brescia.
“Leggiamo che a Brescia e Bergamo hanno vaccinato a tappeto la popolazione per la meningite a fine gennaio, devastando il sistema immunitario come accade ai bimbi che hanno la febbre per giorni dopo la vaccinazione” si leggeva sui siti e sui post dei no vax. Pochi giorni dopo, per provare a dare credibilità a questa tesi, ecco spuntare un presunto studio Usa, elaborato da una non meglio precisata equipe di ricercatori del Pentagono, secondo cui l’assunzione di vaccino anti influenzale aumenterebbe di ben il 36% il rischio di coronavirus.
“Chi fa il rituale vaccino contro l’influenza stagionale ha più di una probabilità su tre di poter beccare il ceppo più pericoloso di covid-19. Ecco cosa scrive un sito di informazione sulla salute dei bambini” rilanciavano sui propri siti e sui social i gruppi no vax. Come accade sempre in queste circostanze, c’è chi, magari in perfetta buona fede, ci ha davvero creduto e tuttora crede che sia davvero così. In realtà sarebbe bastato approfondire ed informarsi un po’ più seriamente per scoprire l’assoluta infondatezza di una “follia”, basata sul nulla. Perché, è bene sottolinearlo con forza, per quanto riguarda i casi di Bergamo e Brescia non c’è mai stato alcuno studio, alcuna analisi che in qualche modo non tanto avvalorasse ma anche solo ipotizzasse la suggestiva tesi dell’interferenza virale.
Quanto al presunto studio Usa risale addirittura al periodo pre covid (quando ancora neppure si conosceva il rischio coronavirus), mentre il “sito di informazione sulla salute dei bambini” che l’avrebbe diffuso altri non era che “Children’s Health Defence”, cioè un’organizzazione americana da sempre nota per il suo attivismo contro il vaccino. Ma se già allora era chiaro che non c’era alcun fondamento e che, in pratica, quella teoria era l’ennesima “bufala” no vax, nei giorni è arrivata addirittura la conferma che in realtà avviene esattamente il contrario, cioè che il vaccino antinfluenzale ridurrebbe il rischio di contagio da coronavirus.
Lo evidenziano due studi, uno americano e l’altro italiano, resi noti e pubblicati nei giorni scorsi in prestigiose riviste medico-scientifiche. Il primo studio, della Cleveland Clinic pubblicato sul Journal of Clinacal and Translational Science, stabilisce che non c’è nessun aumento del rischio di prendere il covid-19 o di avere una mortalità più alta per chi si è sottoposto a vaccinazione antinfluenzale. Il team di ricercatori guidati da Joe Zein, pneumologo della Cleveland Clinic, tra l’inizio di marzo e la metà di aprile ha analizzato più di 13 mila pazienti, mettendo a confronto quelli che avevano ricevuto vaccini antinfluenzali nell’autunno o nell’inverno 2019 con quelli che non avevano ricevuto alcun vaccino.
“Il confronto – certifica lo studio – ha rivelato che la vaccinazione antinfluenzale non era associata ad una maggiore incidenza o gravità della malattia covid-19, incluso rischio per il ricovero, ricovero in terapia intensiva o mortalità”. Va addirittura oltre lo studio italiano, condotto dai ricercatori del Centro Cardiologico Monzino di Milano in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari e il Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale dell’Università degli Studi di Milano, che indica una relazione inversa tra la vaccinazione antinfluenzale e il contagio da Covid 19. I risultati, pubblicati sulla rivista medico-scientifica “Vaccines”, indicano un potenziale ruolo protettivo della vaccinazione antinfluenzale sulla mortalità da covid 19.
Lo studio evidenzia come nelle regioni italiane in cui si è registrata la situazione migliore (cioè minor contagi, ricoverati, pazienti in terapia intensiva e minor numero di decessi) la popolazione over 65 avesse aderito in misura maggiore alla campagna di vaccinazione antinfluenzale dell’autunno e dell’inverno scorso. “Meno vaccini, più covid” sintetizza il primo autore dello studio, Mauro Amato (ricercatore del Centro Cardiologico Monzino) che sottolinea poi come le analisi, basate sul confronto in tutte le regioni dei tassi di copertura vaccinale con il numero di contagi e altri 3 indici di severità clinica (numero ospedalizzazioni, numero di soggetti ricoverati in terapia intensiva e numero di soggetti deceduti per coronavirus), hanno dimostrato che i tassi di diffusione e di gravità sono inversamente proporzionali al tasso di vaccinazione antinfluenzale.
Sulla base dei dati analisi i ricercatori non hanno dubbi sul fatto che ci sia una relazione tra vaccino antinfluenzale e virus e avanzano l’ipotesi della cosiddetta “immunità addestrata”. “I vaccini – scrivono – possono indurre meccanismi immunoterapici positivi non specifici che migliorano la risposta dell’ospite ed altri patogeni, attraverso un processo chiamato immunità addestrata”. In quest’ottica gli studiosi sostengono che la possibile spiegazione della bassa suscettibilità dei più giovani all’infezione da Sars-Cov 2 è la presenza di un sistema immunitario più efficace e reattivo, potenziato dall’esposizione agli agenti virali pediatrici o agli agenti virali contenuti in molti vaccini pediatrici (contro il morbillo, parotite, rosolia, varicella, epatite B, epatite A, rotavirus, papilloma virus) che, in generale, possono migliorare la risposta immunitaria.
Sempre sulla base dei dati raccolti e analizzati, l’equipe di ricercatori ha stimato che un semplice aumento della copertura vaccinale negli over 65% dell’1% (poco meno di 150 mila dosi a livello nazionale) avrebbe potuto evitare quasi 80 mila contagi, 2.500 ospedalizzazioni, 353 ricoveri in terapie intensive e poco meno di 2 mila (1989, per la precisione) per il covid-19. “Sarebbe quindi opportuno – conclude Amato – incentivare il più possibile qualsiasi attività che possa portare ad un aumento della copertura vaccinale soprattutto tra gli ultra 65enni”.