Rivoluzione nelle Marche: vincono Acquaroli e il centrodestra, trionfano gli emuli di Tafazzi…


Ad eccezione di Ancona, dove Mangialardi ha un leggero vantaggio, l’esponente di FdI si impone nettamente in tutte le altre province marchigiane. Castelli e Casini fanno il pieno di preferenze nel territorio piceno, ottimo risultato anche per Antonini

Chi vince ha sempre ragione, ancor più quando si parla di una competizione elettorale. Quindi prima di ogni altra considerazione è doveroso rendere omaggio e tributare i giusti meriti ad Acquaroli e al centrodestra che hanno conquistato quella che sembrava un’inespugnabile roccaforte rossa. E’ giusto e sicuramente necessario fare poi un’analisi più approfondita, cercando di carpire quelle che possono essere le ragioni di un simile voto rivoluzionario. Ma il punto di partenza indiscutibile ed inequivocabile è la constatazione che i marchigiani hanno scelto di cambiare, non hanno più dato fiducia al centrosinistra che governava da 25 anni e hanno puntato su Acquaroli e il centrodestra.

In maniera piuttosto decisa, per altro, visto che il vantaggio dell’esponente di Fratelli d’Italia nei confronti di Mangialardi è superiore al 10%. E che, ad eccezione della provincia di Ancona (dove il candidato del centrosinistra supera di pochissimo il suo avversario), l’esponente di Fratelli d’Italia vince nettamente in tutte le altre province marchigiane. Oltretutto, a dar maggior peso al successo, c’è il dato relativo all’affluenza che ha sfiorato il 60%. In assoluto un dato non altissimo ma con un netto incremento (+10%) rispetto alla passata tornata elettorale regionale.

Una vittoria piena e ovviamente più che legittima, senza se e senza ma. Poi, naturalmente, come in ogni competizione, il risultato finale può comunque essere determinato sia dai meriti di chi vince che dai demeriti di chi esce sconfitto. Che in questo caso sono enormi e sin troppo evidenti. Neppure il mitico Tafazzi (il famoso personaggio di “Mai dire gol”, interpretato da Giacomo Poretti, caratterizzato da un innato masochismo che lo portava ad auto flagellarsi con una bottiglia di plastica nelle parti intime) sarebbe riuscito a fare tanto, ad essere così profondamente autolesionista e a sbagliare con incredibile puntualità ogni genere di mossa, come ha fatto il centrosinistra marchigiano, perfettamente coadiuvato dalla sinistra e dal M5S.

Naturalmente prima di ogni altra cosa è fondamentale per gli sconfitti fare un bell’esame di coscienza perché, è del tutto evidente, di fronte ad un simile risultato è doveroso prendere atto della delusione dei marchigiani, evidentemente non soddisfatti dell’operato dell’amministrazione regionale negli ultimi anni. Sicuramente sul giudizio negativo pesa, soprattutto nel sud delle Marche, il post terremoto, i ritardi e i tanti problemi irrisolti. Ma un’ulteriore spinta verso il tracollo è arrivata da una serie di scelte suicide che hanno ulteriormente complicato la situazione.

A partire dalla scelta del candidato che, non ce ne voglia Mangialardi, è sembrata quasi una resa, come se ci fosse nei vertici del centrosinistra la consapevolezza che comunque si trattava di una partita persa in partenza. C’è un dato che emerge con chiarezza da questa tornata elettorale e che dovrebbe far riflettere. Nelle regioni in cui il governatore uscente è stato ricandidato praticamente non c’è stata storia: Zaia e Toti (Veneto e Liguria) per il centrodestra, De Luca e Emiliano (Campania e Puglia) per il centrosinistra).

E’ vero che in nessuna di quelle 4 regioni c’era il macigno del post terremoto, che sicuramente pesava su Ceriscioli. Che, per altro, poteva invece contare sulla percezione positiva in buona parte della regione della gestione dell’emergenza covid (con l’unico neo della vicenda Bertolaso). In realtà la scelta del candidato presidente era stata fatta prima del lockdown e del conseguente rinvio delle elezioni regionali da maggio a settembre. In ogni caso se si riteneva non più spendibile la figura di Ceriscioli, c’erano nomi ed esponenti di differente impatto e che, oltretutto, avrebbero potuto aiutare anche a trovare un’intesa con quelle forze che invece hanno deciso di presentarsi da sole, a partire dallo stesso M5S. Che nelle Marche è ridotto ai minimi termini, guidato da autentici dilettanti privi di una qualsiasi visione politica.

Dell’istinto suicida della sinistra, poi, non vale più la pena neppure parlarne. Da anni la sinistra più radicale, un po’ per insipienza un po’ per quella spocchiosa arroganza tipica dei “duri e puri”, di fatto si trasforma nella migliore alleata della destra e del centrodestra. Certo, poi, per cercare di stringere determinate alleanze e presentarsi uniti contro il centrodestra è necessario innanzitutto una predisposizione iniziale completamente differente. Perché se si pretende che gli eventuali alleati debbano limitarsi ad appoggiare il proprio candidato, senza neppure aprire una seria discussione sulla possibilità di scegliere un altro candidato, che metta d’accordo tutti, poi non ci si può lamentare e prendersela con gli altri per la sconfitta.

Detto che è fuorviante fare la semplice somma dei voti presi dalle tre forze, i numeri dicono comunque che anche se si fosse trovata un’intesa per presentarsi uniti non è affatto detto che il risultato sarebbe cambiato, non sarebbe stato facile sconfiggere il centrodestra. Che, per altro, ha fatto esattamente l’opposto, nel senso che per raccattare voti e blindare una vittoria che, di giorno in giorno, sembrava sempre più probabile ha imbarcato di tutto e di più, ha messo insieme “capre e cavoli”, “le mele e le pere”, senza preoccuparsi se gli uni con gli altri fossero in qualche modo compatibili.

Scorrendo le liste e i rispettivi candidati consiglieri della coalizione che ha sostenuto Acquaroli si possono, infatti, trovare esponenti di tutte le estrazioni politiche. Da chi da sempre “ammicca” alla destra estrema a vecchi “democristiani”, ma anche ex grillini, esponenti dichiaratamente di sinistra, addirittura anche personaggi da sempre organicamente del Pd (e delle varie declamazioni precedenti) e che per anni hanno organicamente fatto parte di quella “dittatura” regionale rossa da abbattere.

Addirittura ci sono anche un ex assessore regionale del centrosinistra (Paola Giorgi, con Spacca presidente aveva ben undici deleghe) e quella Monica Acciarri, storica esponente del Pds prima e del Pd, per anni dentro il centro di potere regionale in ambito sanitario, improvvisamente “folgarata” sulla via… di Pontida. Altro aspetto di una certa rilevanza la presenza nelle liste di centrodestra di personaggi da decenni nella politica, compresi molti ex sindaci e ex assessori che, grazie anche alle cariche rivestite, hanno avuto l’opportunità di costruirsi un discreto “pacchetto” di voti.

L’esempio più lampante è Carlo Ciccioli (FdI) che già nel lontano 1979 diventava consigliere comunale ad Ancona, con alle spalle ben 4 mandati come consigliere regionali ed un paio in Parlamento. Non è un caso che, nella provincia di Ancona, è risultato il più votato del suo partito (Fratelli d’Italia). Ma parliamo anche degli ex sindaci di Ascoli Castelli e Celani, di Macerata Anna Menghi, di Fermo Saturnino Di Ruscio, di Falconara Marattima Goffredo Brandoni ma anche di ex assessori (o assessori tuttora in carica) come Acciarri, Antonini, Assenti, Borroni, Putzu, Vitturini, Marinangeli, De Vecchis, Silvestri.

Tutti hanno dato il loro importante contributo in termini di voto, a prescindere da chi poi entrerà a far parte del nuovo Consiglio regionale Dove, di fatto, ci sarà una sorta di duopolio Lega-FdI, con Forza Italia che è ai margini, mentre del tutto irrilevanti sono le altre liste, in particolare quella degli ex grillini (“Movimento per le Marche”) che non raggiunge neppure l’1%. Per quanto riguarda la provincia di Ascoli il Pd torna ad essere il primo partito, di poco avanti a FdI e Lega.

Magra consolazione, così come le tantissime preferenze ottenute dalla vicepresidente regionale Anna Casini, seconda (come numero di preferenze) sola all’ex sindaco Guido Castelli che ha fatto il pieno su tutto il territorio provinciale. Molto bene è andato anche Andrea Antonini che ha vinto, anche se di poco, la sfida interna con Monica Acciarri. Che non ha ancora la certezza di poter entrare in Consiglio regionale. C’è da augurarselo perché in quel caso non potrebbe certo continuare a svolgere il ruolo di assessore e, allora, forse il Comune di Ascoli avrebbe finalmente un assessore alla pubblica istruzione…

bookmark icon