Dalla vicenda della presunta donazione di camici da parte dell’azienda del cognato di Fontana alla sentenza del Tar sui test seriologici, con le mail che inchiodano l’assessore Gallera, è bufera sulla sanità lombarda. E Milano 2030 chiede la nomina di un commissario ad acta
Cosa deve ancora succedere perché la sanità in Lombardia venga commissariata? E’ impossibile non condividere l’interrogativo provocatoriamente lanciato sulla propria pagina facebook da Milano 2030 dopo gli ultimi eventi che hanno coinvolto la Regione lombarda (e l’ineffabile coppia Fontana-Gallera in particolare) in merito alla presunta donazione di camici, copricapi e calzari e lo “scandalo” dei test seriologici.
“Le scelte della giunta lombarda – accusa la rete di associazioni e partiti “Milano 2030” – sono causa del gravissimo impatto del Covid 19 in Lombardia, per questo chiediamo la nomina di un commissario ad acta per la sanità regionale. La frammentazione dell’assistenza territoriale, la decisione di trasferire i malati di Covid 19 nelle Rsa, lo scarso coinvolgimento della sanità privata lasciata libera di scegliere se e come collaborare, le cifre, esigue ai limiti del ridicolo, del bilancio regionale destinate alla gestione dell’emergenza fanno della Lombardia l’area del mondo con il più alto tasso di casi e decessi, con prezzo gravissimo per il personale sanitario, i medici di base e gli ospiti delle residenze assistite.
Il modello lombardo di sanità, con il progressivo smantellamento della sanità pubblica, padre degli errori commessi, è stato consentito tra le altre cose dalla regionalizzazione della sanità, causa principale delle difficoltà di coordinamento che hanno ostacolato la tempestiva gestione dell’emergenza. Sono necessari provvedimenti immediati, la protratta insipienza e inattività della giunta regionale configura quel pericolo grave che giustifica la nomina senza indugio in Regione Lombardia di un commissario ad acta”.
Ad un quadro già decisamente grigio ora si è aggiunta la vicenda che coinvolge l’azienda diretta dal cognato del presidente Fontana (e partecipata dalla moglie) ma anche quella relativi ai test seriologici, con la mail che inchioda l’assessore Gallera. E, proprio nelle ultime ore, anche le accuse del sindaco di Bergamo Gori relative alla scarsa trasparenza in merito ai dati sul coronavirus. Il quadro è decisamente desolante, ed ovviamente aggravato dagli effetti della pandemia in Lombardia, e in un paese civile ognuna di queste vicende sarebbe comunque sufficiente per pretendere un passo indietro dei vertici della Regione. Ed è bene sottolineare che stiamo parlando esclusivamente da un punto di vista politico, in altre parole a prescindere da eventuali sviluppi legali di queste vicende.
Sulla commessa da 513 mila euro per camici, copricapi e calzari medicali affidata senza gara, in piena emergenza Covid (16 aprile), dalla Regione alla Dama Spa ora è stata aperta un’inchiesta. Ma, al netto di eventuali conseguenze penali, siamo comunque di fronte ad una vicenda oltremodo imbarazzante che getta ulteriore discredito su Fontana e sulla Regione stessa. La stessa reazione scomposta del governatore lombardo, che prima (a Report) dichiara di non essere a conoscenza della vicenda e, poi, ha cercato in ogni modo di bloccare la messa in onda del servizio (con tanto di diffida alla Rai e a Report stesso) è oltremodo emblematica.
“Non è un appalto, è una donazione” è ora la linea adottata da Fontana e da suo cognato Andrea Dini. Che poi sostiene che “non ero in azienda durante il Covid, chi se ne è occupato ha male interpretato. Ma poi me ne sono accorto e ho subito rettificato tutto perché avevo detto ai miei che doveva essere una donazione”. Sicuramente sarà così, certo è che sia Aria Spa (la centrale acquisti della Lombardia) che la stessa Dama Spa hanno fatto di tutto per far credere il contrario.
“In considerazione della vostra offerta, con la presente si conferma l’ordine da mezzo milione. Fatture il 30 aprile, pagamento in 60 giorni” scrive Aria spa il 16 aprile nell’atto di affidamento. Ed è superfluo sottolineare che “fatture” e “pagamento” non c’entrano niente con una donazione… Per altro la stessa rettifica da parte della Dama Spa è arrivata solamente il 22 maggio (oltre un mese dopo), guarda il caso alcuni giorni dopo che l’inviato di Report aveva scoperto l’intrigo.
Come se non bastasse uno specialista del settore, l’avvocato Mezzetti, sottolinea come in realtà le donazioni prevedano ben altra e differente procedura (è necessaria la decisione del consiglio d’amministrazione, deve essere informato il collegio sindacale, ci vuole un atto notarile sottoscritto da due testimoni e la redazione di una nota firmata da chi dona, l’atto di donazione va registrato entro 20 giorni pena sanzioni…).
Come se non bastasse, nelle stesse ore in cui emergeva la vicenda che coinvolge il cognato e la moglie di Fontana, una sentenza del Tar della Lombardia ha aperto un altro imbarazzante fronte. Il tribunale amministrativo lombardo ha, infatti, annullato l’appalto per i test seriologici sul coronaviru che l’ospedale San Matteo di Pavia aveva affidato senza gara all’azienda Diasorin.
Al di là delle durissime parole usate dal Tar (che ha sottolineato la gravità del fatto che l’ospedale di Pavia, che si trova in una delle zone più colpite dalla pandemia, ha messo a disposizione di un’azienda privata la propria struttura e la ricerca pagata dallo Stato), ci sono un paio di mail ricevute dall’assessore Gallera che dimostrano inequivocabilmente come, quando ha deciso di non fare alcuna gara (per un valore di 2 milini di euro…), la Regione sapeva che sul mercato c’era un concorrente che aveva presentato un’altra offerta. Si trattava della Technogenetics, il cui ad Ceccotti nella mail inviata a Gallera dichiarava la volontà di regalare i primi 20 mila test alla Regione, nel caso fosse stata la sua azienda a produrre il test.
“Abbiamo pensato di donare 20 mila test che potreste dare al personale medico e agli ausiliari del sistema sanitario” si legge nella mail di Ceccotti. A cui Gallera non ha mai risposto, limitandosi in seguito ad una telefonata per dichiarare di non essere interessato (mentre affidava alla Diarosin l’incarico per 500 mila test). Secondo il Tar la stessa Diasorin ha di fatto goduto di una posizione favorevole dal punto di vista competitivo, una constatazione di per se grave ma che lo diventa maggiormente alla luce dell’offerta (sicuramente più vantaggiosa per la Regione) della Technogenetics che Gallera non ha voluto neppure prendere in considerazione.
A completare un quadro sempre più fosco proprio in queste ore è arrivata la denuncia di scarsa trasparenza nei dati del sindaco di Bergamo Gori. “Da quando abbiamo segnalato che i decessi reali erano molto di più di quelli ufficiali hanno secretato i dati per provincia” accusa il primo cittadino orobico. In questo sconcertante bailamme, gli organi di informazioni cercano di far passare l’improbabile messaggio di una presunta guerra del sud contro la Lombardia.
La realtà è ben differente e incredibilmente chiara, non c’è nessuna guerra contro la Lombardia ma semplicemente sotto accusa sono le scelte e le decisioni a dir poco discutibili della Regione. Che, per altro, vengono messa sotto accusa principalmente dagli stessi lombardi: l’ordine dei medici lombardo, i sindacati, l’Uneba lombardo, i sindaci dei principali comuni lombardi, le associazioni del territorio. E che qualcosa (per usare un eufemismo) non sia andata per il verso giusto, al di là degli sconcertanti proclami di Fontana e Gallera, è dimostrato dal fatto che presidente e assessore hanno deciso di silurare il direttore generale del Welfare della Lombardia.
Un tentativo di lavarsi la coscienza che, però, è l’ulteriore conferma che è arrivato il momento di commissariare la sanità lombarda.