Nelle zone del terremoto del 2016 il coronavirus è un nuovo incubo che rischia di avere un impatto devastante sia per la ricostruzione che sotto l’aspetto economico-sociale. La storia dell’ospedale di Camerino e la vergogna dei prigionieri del container di Tolentino
L’hanno definito un terremoto nel terremoto. Nel panico generale che attanaglia il paese per l’emergenza coronavirus quasi nessuno si è reso conto che c’è una parte dell’Italia dove quello che sta accadendo ha un impatto devastante, sotto ogni punto di vista. Parliamo naturalmente delle zone del centro Italia colpite nel 2016 dal terremoto e da allora alle prese con una ricostruzione praticamente inesistente. Per loro le inevitabili e necessarie restrizioni per il coronavirus rappresentano una mannaia che si abbatte sulle già flebili speranze di ripresa.
Una sorta di incubo nell’incubo che già vivono da 3 anni e mezzo, un duro colpo che rischia davvero di gettarli nella più cupa e più profonda disperazione dalla quale, per altro, a fatica stavano cercando di riemergere. Non dovrebbe essere necessario approfondire più di tanto per comprenderlo, basterebbe già semplicemente pensare che tipo di impatto può avere la necessità/obbligo di rimanere in casa, di non uscire per chi vive nelle Sae, nelle casette che, per quanto possano essere fatte bene (ammesso e non concesso che lo siano…), non son certo il massimo, non possono certo neppure avvicinare la comodità e il comfort che può assicurare una vera casa.
Andando, invece, più sul concreto è inevitabile che questo periodo di semi-quarantena si ripercuote pesantemente sulla già lentissima ricostruzione, con nella migliore delle ipotesi il rallentamento ulteriore di ogni iter burocratico e anche dei pochi cantieri aperti. Ma, naturalmente, ancor più devastante sarà l’impatto economico (e di conseguenza anche sociale) su un territorio che già a fatica stava provando a rialzarsi, a ripartire.
I sindaci di Norcia e Castelsantangelo hanno chiesto misure straordinarie a sostegno di famiglie ed imprese del cratere , spiegando che “se finita l’emergenza sanitaria l’Italia avrà bisogno di misure di sostegno alla semplificazione e all’economia pari a 10, le aree terremotate avranno necessità dello stesso sostegno ma un coefficiente pari a 100”. “Stavamo iniziando a riprenderci, ora siamo di nuovo a terra, serve un aiuto straordinario” spiega il sindaco di Cascia, mentre il primo cittadino di Visso afferma sconsolato che “questo è un altro autentico terremoto che ci mette ancora più in ginocchio rispetto al sisma, è difficile capire come ne usciremo”.
In un contesto oggettivamente molto delicato e complicato, emergono, poi, situazioni che creano ulteriori gravi problemi a popolazioni già allo stremo. E’ giusto preliminarmente evidenziare come in una simile grave emergenza ci può stare che vengano prese, praticamente senza concertarle, decisioni che hanno un determinato impatto e possono influire sulle condizioni di vita di alcuni territori. Comprendiamo la necessità reale in queste situazioni di non perdere tempo e non abbiamo certo gli strumenti necessari per poter giudicare se e in che termini si potevano trovare soluzioni alternative.
Ma è altrettanto certo che certe drastiche decisioni “calate dall’alto” costringono chi li subisce a dover sopportare dei disagi, delle privazioni. Ed è del tutto evidente che, quando ciò accade in zone dove da 3 anni e mezzo la situazione è quella che è e si vivono già pesanti e gravi disagi, si fa un’enorme fatica ad accettarle e a non lamentarsi. Parliamo, ad esempio, del caso dell’ospedale di Camerino, scelto dalla Regione come punto di riferimento per i malati di coronavirus.
“Ho saputo di quanto stava accadendo domenica mattina quando mi hanno detto di andare ad una riunione dell’Asur – afferma il sindaco Borgia – mi hanno comunicato una decisione già presa, impossibile opporsi perché i trasferimenti erano già in corso e sono stati completati senza che i parenti sapessero nulla. Da domenica Camerino e tutto il territorio non hanno più un ospedale, sono migliaia di persone che abitano tra tante difficoltà in paesi come Visso, Castelsantangelo sul Nera, Ussita. Sono quelli che stanno già lottando contro la burocrazia, le muffe nelle casette di emergenza, la ricostruzione che ancora non si vede. E ora anche contro chi li obbliga a percorrere un’ora in più di auto per andare a curarsi”.
Non siamo in condizione di discutere sul fatto se ci fosse una possibile scelta alternativa, probabilmente non si poteva fare diversamente e certamente è comprensibile che in un momento come questo non ci può essere il tempo per discutere e concordare una simile scelta, bisogna muoversi con la massima rapidità. Però è impossibile non comprendere lo sgomento e la disperazione di quel territorio.
“La scelta di toglierci l’ospedale è stata una mazzata che non ci aspettavamo, un terremoto nel terremoto” commenta amaramente sempre il primo cittadino di Camerino che ha scritto al presidente del Consiglio per chiedere “l’installazione immediata di un ospedale da campo con presidio di pronto soccorso per le esigenze della popolazione dell’intero territorio montano non contagiato”.
Situazione ancora più sconcertante e paradossale è quella che stanno vivendo circa 200 cittadini di Tolentino che, dopo 3 anni e mezzo, vivono ancora in un container collettivo, costretti a condividere bagni e cucina, che ovviamente non hanno la possibilità di rispettare le prescrizioni previste dalle autorità sanitarie, dal distanziamento sociale all’isolamento. Problema non di poco conto la cui risoluzione, però, è semplicemente vergognosa e inaccettabile per un paese civile, anche in una situazione di emergenza come quella attuale: recinzioni metalliche per impedire ogni possibile spostamento
“In questi giorni tormentati dal coronavirus cerchiamo comunque di essere vicini a chi con le zone rosse ormai convive da quasi quattro anni: i terremotati del centro Italia – denunciano le Brigate di Solidarietà Attiva – persone che sanno cosa è la solidarietà, per averla ricevuta. Persone che sanno bene cosa è la solitudine, per averla provata. Persone che affrontano l’ennesima emergenza dalle casette provvisorie nelle quali vivono in attesa della ricostruzione ancora ferma. Disagio che si aggiunge al disagio, alla fragilità ed alla vulnerabilità di una popolazione che nonostante tutto resiste.
E allora vi raccontiamo un luogo in cui l’invito a non uscire di casa fatto dal Governo per ostacolare l’espansione del Coronavirus viene imposto con particolare violenza ed è il container collettivo di Tolentino, abitato da tre anni e mezzo da duecento terremotati costretti a condividere bagni e cucina, con una promiscuità che in questo periodo è molto pericolosa. Qui l’amministrazione comunale, anziché offrire alloggi alternativi che permettano il rispetto delle distanze di sicurezza e delle norme di igiene, ha avuto la “brillante idea” di installare una recinzione metallica per impedire forzatamente agli inquilini di uscire. Immaginate se la vostra casa o il vostro condominio da un giorno all’altro venissero recintati con un solo accesso controllato costantemente dalle autorità.
Pensereste ovviamente che si tratta di una norma eccessiva, eppure è quello che sta accadendo a 200 terremotati di Tolentino. Speriamo che queste parole li facciano sentire meno soli e reclusi in una condizione che definire vergognosa è poco. Non basterebbero, invece, mille parole per descrivere le responsabilità di coloro che hanno generato questa follia”.
Non c’è altro termine per definire una situazione indegna di un paese civile, che per giunta si abbatte su chi già è stato così pesantemente penalizzato. Non ci sono parole, è un’inaccettabile vergogna alla quale è necessario porre rimedio subito, senza esitazioni.