La Cassazione smonta la propaganda di Salvini sulla Sea Watch


I giudici della Cassazione confermano che Carola Rackete, entrando nel porto di Lampedusa, ha adempiuto al dovere di soccorrere i naufraghi in mare. E smontano tutte le “bufale” di Salvini sul presunto speronamento nei confronti dell’imbarcazione della guarda di finanza

Dopo quello di Agrigento, anche i giudici della Cassazione lo hanno confermato: il comandante tedesca della Sea Watch, non doveva essere arrestata perché, entrando nel porto di Lampedusa, ha semplicemente adempiuto al dovere di soccorrere i naufraghi in mare. C’è poco da stupirsi, le norme del diritto internazionale e le varie convenzioni che il nostro paese ha sottoscritto 70 anni fa non lasciano spazio a dubbi.

I giudici della Cassazione (e prima di loro quello di Agrigento) non hanno fatto altro che ribadire un concetto semplicissimo e che dovrebbe essere scontato. Invece in un paese in cui dominano la propaganda politica più bieca e la più assoluta ignoranza (nel senso di mancanza di conoscenza) può tranquillamente accadere che per i tifosi più accecati (ma anche per una parte dell’informazione chiaramente schierata dalla parte di Salvini) di fronte alle parole del proprio leader non esistono leggi, non esistono norme, bisogna semplicemente “credere, obbedire, combattere”, anche di fronte alla più clamorosa e incontestabile evidenza contraria.

Così, per evitare anche solo di mettere in dubbio il “verbo” del proprio leader, si preferisce evitare di informarsi correttamente, anche se ci sono tutte le possibilità, di evita, ad esempio, di leggere le motivazioni dei giudici o anche di vedere i video sin troppo esplicativi su quanto accaduto a Lampedusa. Addirittura, pur di non mettere in discussione i proclami e le “bufale” raccontate dall’ex ministro dell’interno, si arriva al punto di fingere di non conoscere neppure il significato delle parole (magari qualcuno non lo conosce per davvero…).

Così, di fronte al primo ed immediato commento del leader della Lega alle motivazioni della Cassazione (“Libertà di speronamento?”), ecco la solita schiera di fedelissimi “boccaloni” (ma anche qualche organo di informazione) rilanciare l’accusa senza neppure riflettere su quanto possa essere fondata. Eppure sarebbe sufficiente sfogliare un qualsiasi vocabolario della lingua italiana e leggere il significato del termine “speronamento” (“collisione violenta fra due navi, accidentale o come tecnica di combattimento navale, provocata dallo sperone o dalla prua di una sullo scafo dell’altra”) per capire che è semplicemente ridicolo usarlo nel caso della Sea Watch.

Tra l’altro sarebbe interessante sapere quanti di quelli che, dopo il commento di Salvini, strepitano sui social contro la presunta “libertà di speronamento” hanno poi visto i video che mostrano in maniera chiarissima cosa è accaduto a Lampedusa. “Far credere a migliaia di analfabeti funzionali che Carola Rackete ha speronato una motovedetta della guardia di finanza non è solo approfittare della loro ignoranza per diffondere una menzogna, è anche fare un torto alla lingua italiana” commenta il giornalista Fabio Salamida.

In realtà siamo ben oltre il paradosso perché, ad un’attenta lettura delle motivazioni della Cassazione, emerge con chiarezza che chi ha messo in pericolo la guardia di finanza è stato proprio colui che ha ordinato quella ignobile sceneggiata (cioè l’allora ministro dell’interno Salvini.

L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale Sar di Amburgo – scrive la Suprema Corte – non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro. Tale non può essere considerata una nave in mare che, oltre ad essere degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone. Inoltre non può considerarsi compiuto il dovere di salvataggio della nave e con la loro permanenza su di essa perché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave”.

A tal proposito i giudici della Cassazione ricordano, poi, come anche il Consiglio d’Europa ha stabilito che “che la nozione di luogo sicuro non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali”. In altre parole, per chi ancora non avesse capito, Carola Rackete, per adempiere pienamente al dovere di soccorrere i naufraghi in mare, doveva sbarcarli in un luogo sicuro, in quel caso a Lampedusa.

Quindi la giovane comandante tedesca ha semplicemente svolto correttamente il proprio dovere e, di conseguenza, un ministro dell’interno minimamente competente non avrebbe mai dovuto mettere in scena quell’indecente teatrino, fino a coinvolgere anche la guardia di finanza e la sua imbarcazione. A proposito della quale i giudici della Cassazione sottolineano che in quella vicenda non può in alcun modo essere considerata, come invece aveva sostenuto Salvini, una nave da guerra.

Sono certamente navi militari, ma non possono essere automaticamente ritenute anche navi da guerra – si legge nelle motivazioni – per poter essere qualificata come nave da guerra l’unità della guardia di finanza deve altresì essere comandata da un ufficiale di Marina al servizio dello Stato e iscritto nell’apposito ruolo degli ufficiali o in documento equipollente, il che nel caso in esame non è accaduto. Non è infatti sufficiente che al comando vi sia un militare, nella fattispecie un maresciallo, dal momento che il maresciallo non è un ufficiale. Né peraltro il ricorso documenta che tale maresciallo avesse la qualifica di cui sopra. Dunque non è stata dimostrata la sussistenza di tutti i requisiti necessari ai fini della qualificazione quale nave da guerra della motovedetta della guardia di finanza nei cui confronti sarebbe stata compiuta la condotta di resistenza”.

Il quadro che emerge, per altro già ampiamente chiaro, è semplicemente imbarazzante. E racconta di un paese che ancora una volta si è esposto ad una clamorosa figuraccia, mettendo in grande difficoltà anche il corpo della guardia di finanza, solo per i “capricci” e per la smisurata necessità di alimentare sempre e comunque, anche con gesti eclatanti, la propaganda di uno dei suoi principali esponenti politici.

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