Marianna Manduca aveva denunciato ai magistrati per 12 volte il marito. Non l’hanno ascoltata e alla fine è stata uccisa con 12 coltellate da quell’uomo. I suoi tre figli, rimasti orfani, hanno ottenuto un risarcimento di 259 mila euro che, però, ora la Stato vuole indietro…
Marianna Manduca aveva 33 anni quando, a Palagonia (provincia di Catania), venne uccisa a coltellate dal marito Saverio che lei aveva denunciato alla magistratura per ben 12 volte, senza ottenere mai ascolto. Marianna, che faceva la ragioniera, manteneva da sola i suoi tre figlioletti, all’epoca dell’omicidio di 5, 4 e 2 anni. Quei bimbi, che allora furono presi e adottati da un cugino della donna (insieme alla moglie) che vive a Senigallia, furono poi risarciti per le inefficienze dalla magistratura con 260 mila euro.
Ora, però, quello Stato che non ha saputo e non ha voluto proteggere Marianna addirittura non si vergogna di accanirsi nei confronti dei suoi figli, chiedendo indietro quel risarcimento. La Corte di Appello di Messina ha, infatti, annullato il risarcimento concesso ai tre orfani, accogliendo il ricorso della presidenza del Consiglio nel processo per le responsabilità civili dei magistrati. L’ultima parola spetta ora alla Cassazione.
Ma se la sentenza dovesse essere confermata, per i figli della povera Marianna ci sarà anche l’atroce beffa di dover restituire quella somma che, come vedremo, è stata da loro (o meglio da chi li ha accolti e cresciuti) utilizzata per andare avanti. La sconcertante storia dello Stato che rivuole indietro dagli orfani di Marianna Manduca i soldi del risarcimento per quell’atroce femminicidio, oltre che vergognosa e imbarazzante per uno Stato civile, purtroppo è anche inequivocabilmente emblematica di come funzionino le cose (anzi, non funzionino) nel disastrato mondo della giustizia italiana, di come la casta di giudici e magistrati continua a difendere la propria posizione privilegiata, rifuggendo ogni assunzione di responsabilità.
Ma anche di come, al di là delle tante parole, dei bei proclami, delle più o meno sincere promesse di impegno, nei fatti ancora oggi in concreto non c’è un’azione seria e incisiva per contrastare l’emergenza femminicidio e ancora meno per sostenere e supportare le vittime (ed è indiscutibile che come tali vanni considerati anche i figli della donne uccise che di fatto restano orfani).
Il problema è che da troppi anni, dal post “Mani pulite” e dalla discesa in campo di Berlusconi, le discussioni sulla giustizia in Italia sono purtroppo irrimediabilmente intossicate dalla politica, come se tutta la giustizia ruotasse esclusivamente intorno ai casi che riguardano i politici stessi. Così, stritolati dalle polemiche politiche, ci si dimentica che poi materialmente sono migliaia e migliaia di cittadini che devono quotidianamente fare i conti con le disfunzioni e il mal funzionamento della giustizia, che non hanno dalla loro la possibilità di farsi difendere da pool di avvocati dalle parcelle esorbitanti o, tanto meno, di incidere approvando norme e leggi ad hoc per i casi in cui sono coinvolti.
Tornando alla vicenda in questione, Marianna Manduca tra il 2006 e il 2007 presenta alla magistratura ben 12 querele alla magistratura nei confronti del marito Saverio Nolfo, invocando disperatamente un intervento, un aiuto. La donna è pienamente consapevole che l’uomo le ha annunciato che l’ucciderà.
“La Procura della Repubblica di Caltagirone – afferma l’avvocat Licia D’Amico che segue il cugino di Marianna in questa battaglia – nonostante le denunce e le richieste di aiuto della donna non fa nulla per impedire il suo assassinio. Marianna denuncia che Nolfo gira con un coltello con il quale ha più volte minacciato di ucciderla. Non solo, l’uomo ha costruito una balestra e, davanti ai figli, scocca una freccia contro la moglie che solo per un soffio non viene colpita”.
Nonostante tutto, però, la Procura non si muove e alla fine il 3 ottobre del 2007 si compie il destino, ampiamente scritto, di Marianna, uccisa con 12 coltellate da Saverio Nolfo. Che, poi, si costituisce immediatamente e verrà condannato a 21 anni di carcere con rito abbreviato. I tre figli di Marianna, tutti piccoli, restano soli e nessun parente si offre di accogliere. Poi un assistente sociale contatto il cugino di Marianna, Carmelo, che vive a Senigallia.
“Ci chiese di tenerli fino a che non si fosse trovata una soluzione. Abbiamo accettato, anche se io non vedevo mia cugina da quando avevamo 5 anni e anche se avevamo già due figli. Siamo andati a prenderli e siamo tornati a Senigallia con quei tre piccoli che sono subito diventati anche loro nostri figli, come avremmo mai potuto riportarli indietro?”.
Contemporaneamente Carmelo e Paola ripercorrono con i propri avvocati tutta la vicenda del femminicidio di Marianna e ritengono che le responsabilità della giustizia siano spaventosamente evidenti, così decidono di agire contro quei magistrati che avevano ignorato le denunce di Marianna.
“Quando in famiglia da 4 siamo diventati 7 – racconta Carmelo – con mia moglie abbiamo pensato che in qualche modo ce l’avremmo fatta, nonostante le difficoltà, stringendo i denti. Ma abbiamo anche pensato che fosse doveroso lottare perché i bambini di Marianna avessero giustizia. Abbiamo fatto un processo e abbiamo vinto. Ma non avevamo fatto i conti con uno Stato che abbandona i figli del femminicidio”. In primo grado viene riconosciuta la responsabilità civile dei magistrati, colpevoli di non aver protetto Marianna, e viene accordato un risarcimento di 259 mila euro. Soldi che, in accordo con il giudice tutelare, Carmelo e Paola utilizzano per comprare un appartamento con il quale creano un Bed & Breakfast che serve per garantire il sostentamento dei ragazzi.
Lo Stato che dovrebbe chiudere scusa a quei bambini e che dovrebbe provare solamente vergogna decide, invece, di dichiarare guerra a quella famiglie e la Presidenza del Consiglio presenta ricorso contro quella sentenza. Che, nel marzo del 2019, viene ribaltata dalla Corte di Appello di Messina che, al contempo, chiede ai figli di Marianna di restituire l’intera somma. Una vergogna, resa ancora più indecente e inaccettabile dalle motivazioni.
“La tesi dei giudici di appello – afferma l’avvocato D’Amico – è che la volontà omicida di quell’uomo era talmente forte che se anche i magistrati avessero preso in considerazione le 12 denunce e avessero protetto Marianna, lui l’avrebbe uccisa lo stesso”. C’è da rabbrividire e da vergognarsi di essere cittadini di uno Stato che commette e sostiene simili bestialità, che di fatto ammette di non essere in grado neppure di difendere una donna minacciata di morte al punto che in pratica si rassegna al peggio senza neppure provare ad evitarlo.
Davvero non ci sono termini a sufficienza per descrivere il senso di vergogna e di schifo che si prova di fronte ad una simile sentenza. Nella quale, per altro, non manca neanche un elemento paradossale. Dato dal fatto che i giudici, per scagionare l’operato della magistratura, scrivono addirittura che il coltello con cui la povera Marianna è stata uccisa non è quello con il quale il marito era solito minacciarla.
Sembra impossibile, si attende disperatamente che da un momento all’altro qualcuno dica che era tutto uno scherzo, certamente di pessimo gusto, ma pur sempre uno scherzo. Invece è la realtà di una giustizia che, per tutelare e proteggere i propri rappresentanti, per esentarli da qualsiasi responsabilità, non si vergogna di sconfinare nel ridicolo, di sprofondare così in basso. Carmelo e Paola ovviamente non si sono arresi e hanno presentato ricorso in Cassazione, in discussione proprio in questi giorni. Con il procuratore generale della Cassazione che, però, ha chiesto che il ricorso venga respinto.
“All’epoca non c’era la legge sullo stalking – ha dichiarato in aula la D’Amico – ma il codice penale si. E se c’è una sentenza come quella della Corte d’Appello che ha negato il risarcimento ai tre figli di Marianna e che dice che questo femminicidio non poteva essere evitato va allora spiegato che senso ha dire alle donne di denunciare”.
“ Se in Cassazione andrà male – dichiara con amarezza il primogenito di Marianna, ora 18enne – perderemo la possibilità di costruirci un futuro. Nessuno ha ascoltato mia madre, nessuno ha impedito che venisse assassinata. Adesso ci tolgono tutto. E’ una vergogna”.
Non è possibile, non riusciamo a credere che in uno Stato civile si possa perpetrare una simile bestialità. Non è ammissibile, non sarebbe accettabile. Senza troppa speranza e con profondo senso di disgusto e indignazione confidiamo nella Cassazione…