La crisi di governo ha messo a nudo i limiti e l’inadeguatezza dei principali leaders politici italiani. Salvini, in preda ad un’irrefrenabile schizofrenia, dice tutto e il contrario di tutto, Di Maio sembra l’avvocato di Johnny Stecchino e Zingaretti veste i panni di Tafazzi
Come spesso accade, la tagliente e irresistibile ironia di “Lercio” spiega meglio di tante lunghe dissertazioni l’imbarazzante ambiguità e il senso di smarrimento di cui è preda da giorni il segretario della Lega e (ancora) ministro dell’interno Matteo Salvini. “Troppi passi indietro, Salvini torna spermatozoo” titolava venerdì 23 agosto il sito satirico, fotografando alla perfezione (naturalmente con la tradizionale ironia) l’instabilità quasi patologica di cui è preda dall’8 agosto (giorno in cui ha ufficialmente aperto la crisi) il leader del Carroccio.
Che urla ai quattro venti che l’unica strada da seguire è quella delle urne, salvo 2 minuti dopo dichiararsi pronto a ripartire con il governo gialloverde come se nulla fosse (e quindi chi se ne frega di dare voce al popolo sovrano…). Che dichiara fiero di non aver alcun rimpianto in merito alle decisioni prese in questi 15 giorni, al punto da affermare con orgoglio che “rifarei tutto allo stesso modo”, salvo poi contraddirsi clamorosamente un paio d’ore dopo, ritirando la mozione di sfiducia nei confronti del premier Conte.
Che ha deciso di aprire la crisi dopo la presentazione e la votazione al Senato della mozione sulla Tav da parte del M5S (su iniziativa di Luigi Di Maio) ma, poi, dopo l’incontro con Mattarella ha dichiarato che non ha mai avuto attriti con il leader del M5S. Che l’8 agosto scorso, per cercare di giustificare l’apertura della crisi, ha sparato a zero contro il Movimento 5 Stelle, raccontando la fatica fatta e i “bocconi amari” ingoiati pur di non rompere l’alleanza in questi 14 mesi di governo insieme, per poi dichiarare, sempre dopo l’incontro con il capo dello Stato, di aver lavorato bene e in serenità con i “grillini” stessi.
Che, di fronte all’ipotesi di un’intesa tra Pd e M5S, ha urlato con forza che non è politicamente corretto fare le cose (e tanto più un governo) contro qualcuno, salvo poi dichiarare di essere pronto a fare qualsiasi cosa, anche ritornare al governo con il M5S, pur di andare contro il Pd. Che da quel fatidico 8 agosto per giorni non ha fatto altro che inveire nei confronti di chi è troppo attaccato alla poltrona, dichiarando la diversità in proposito della Lega, ma poi guarda il caso ancora non si è degnato di dimettersi da ministro dell’interno, lasciando che anche tutti gli altri ministri leghisti rimanessero strenuamente “abbarbicati” alla poltrona.
A molti, soprattutto a chi in questi mesi ha chiuso gli occhi e ha cancellato la memoria, il comportamento tenuto da Salvini nel periodo della crisi sarà apparso sorprendente. Chissà, magari qualcuno avrà persino pensato che effettivamente al Papeete ha esagerato con qualche mojito di troppo. In realtà chi conosce la storia politica del leader del Carroccio in questi lunghissimi 26 anni (e ancora più nell’ultimo periodo) non è certo rimasto particolarmente sorpreso.
Perché l’incoerenza, l’incapacità di mantenere fermo un qualche principio, il cambiare idea con incredibile frequenza, il dire e fare tutto e il contrario di tutto sono da sempre tratti distintivi del segretario della Lega. E per sintetizzarlo basterebbe pensare alla parabola della sua carriera politica, nata grazie al successo ottenuto dal suo programma radiofonico (su Radio Padania) “Mai dire Italia” (non serve neppure spiegarne il contenuto…) e ora “esplosa” con quel “prima gli italiani” che è esattamente agli antipodi del credo politico del leader della Lega fino ad un paio di anni fa…
L’elenco dei “giri di valzer” salviniani, anche solo limitandoci agli ultimi mesi, sarebbe interminabile. Senza dilungarci troppo, basterebbe ricordare la famosa promessa di tagliare le accise sulla benzina al primo Consiglio dei ministri (non solo non mantenuta, la Lega ha sempre votato contro tutti gli emendamenti che hanno proposto il taglio…). O, negli ultimissimi giorni, quel perentorio “si tengano fuori i bambini dalla politica” rivolto ad un giornalista di “Repubblica” (che, per altro, chiedeva legittimamente altro, senza mettere in mezzo alcun bambino…), salvo poi nei giorni successivi fare continuo riferimento (in qualche caso con tanto di foto) ai propri figli per rafforzare proclami e slogan prettamente politici.
C’è ben poco da stupirsi, quindi, conoscendo il personaggio, anche se in effetti in questi ultimi giorni, in una sorta di irrefrenabile schizofrenia, i “giri di valzer” si sono incredibilmente moltiplicati. Probabilmente il leader della Lega ha reagito nel peggior modo possibile, senza un briciolo di lucidità, nel momento in cui si è reso conto che rischiava (e rischia seriamente) non solo di non ottenere ciò che voleva (elezioni subito per sfruttare il “vento favorevole”) ma, addirittura, di aver compiuto il più clamoroso degli autogol (se dovesse andare in porto l’alleanza Pd-M5S si ritroverebbe confinato per 3 anni e mezzo all’opposizione, senza alcuna possibilità di incidere e di dettare temi e tempi, esposto anche ai possibili sviluppi di inchieste giudiziarie, senza il comodo paravento del ministero).
Ovviamente il finale di questa paradossale e imbarazzante pagina politica ancora è tutt’altro che scritto. Tutto è ancora possibile, dal nuovo governo giallorosso alla clamorosa ripartenza, come se nulla fosse, del governo gialloverde, fino allo scioglimento delle Camere e le conseguenti elezioni. Quello che però è certo è che questa crisi ha messo definitivamente a nudo di fronte all’opinione pubblica (almeno quella senza i paraocchi) le debolezze, i limiti, la “pochezza” di quello che in tanti negli ultimi mesi avevano identificato in un leader forte e carismatico, con una statura politica di livello (a prescindere poi dal condividere o meno il suo operato).
Altro che leader di statura, Salvini in questi giorni si è mostrato per quello che è realmente, un “polituncolo” di bassa lega, di terzo o quart’ordine, che ha avuto la bravura di sfruttare il momento e l’indiscussa abilità del suo staff per la comunicazione e che, soprattutto, ha la fortuna di trovarsi a competere con avversari politici ancora più imbarazzanti e impresentabili. Su Di Maio è meglio stendere un velo pietoso, se non fosse che ha avuto in mano (insieme allo sgangherato governo gialloverde) le sorti del paese, le sue performances in questi 14 mesi sarebbero da annoverare tra i momenti più esilaranti della storia della nostra repubblica.
“Non umiliate troppo Luigi” si narra che abbia detto Casaleggio a Zingaretti nel corso del colloquio telefonico tra i due per cercare di dare il via alla trattativa per il nuovo governo. Il problema è che non c’è bisogno che lo facciano gli altri, Di Maio sa perfettamente come umiliarsi da solo. La dimostrazione più emblematica è l’ultima irresistibile “genialata”, il taglio dei parlamentari come assoluta e inderogabile priorità per far partire le trattative per il nuovo governo, che fa tornare in mente la famosissima “terribile piaga di Palermo” (il traffico…) raccontata dall’avvocato di Johnny Stecchino (nell’omonimo film di Roberto Benigni).
Per carità, chi (almeno tra i cittadini) potrebbe mai non essere d’accordo con il taglio dei parlamentari. Ma in un momento in cui, anche a causa della crisi, incombono sulla testa degli italiani pericoli “letali” come l’aumento dell’iva e l’esercizio provvisorio e il paese ha bisogno di misure immediate e forti per provare a ripartire (senza dimenticare la necessità di dare finalmente impulso alla ricostruzione nei territori colpiti dal terremoto), pensare che la cosa più urgente sia il taglio dei parlamentari è semplicemente una straordinaria idiozia.
Che, però, sarebbe sin troppo facile trattare come tale e togliere immediatamente dalla discussione se solo a trattare con il leader del M5S ci fosse non un politico di chissà quale caratura ma, molto più semplicemente, con un briciolo di scaltrezza. Invece di fronte a Di Maio si trova il più triste e il meno avveduto dei leaders della storia del Pd, quel Zingaretti a cui si farebbe fatica ad affidare la gestione di un condominio, figuriamoci del secondo partito del paese.
Che, per altro, grazie al “colpo di testa” di Salvini si è trovato servito su un piatto d’argento l’inattesa possibilità di tornare al centro della scena politica, di tornare ad essere protagonista delle vicende politiche del paese e di poter incidere in maniera determinante su tutte le scelte presenti e future più importanti (dalla finanziaria, al ruolo dell’Italia in Europa, dalle nomine negli enti fino all’elezione del presidente della Repubblica nel 2022).
Di fronte ad un simile regalo chiunque, con un briciolo di raziocinio, non starebbe certo a perdere tempo o impuntarsi su aspetti sinceramente secondari, compreso il nome del premier (è semplicemente ridicolo porre veti su qualcuno in nome della discontinuità con il precedente governo che, ovviamente, è già nei fatti…), anche in considerazione che in realtà gli aspetti più rilevanti, per i quali invece sarebbe più comprensibile puntare di più i piedi, sono ben altri.
Visto il livello dei protagonisti di questa crisi, sinceramente non vorremmo essere nei panni di Mattarella, comprendiamo a pieno la sua irritazione, deve essere deprimente anche solo doverli incontrare e confrontarsi con loro. Che sembrano delle “macchiette” perfette per animare i racconti popolari di Giulio Cesare Croce (quello che ha scritto i racconti di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno) o anche il conseguente film di Mario Monicelli. Il problema è che nelle mani di queste tre “macchiette” sono affidati i destini del nostro paese. Verrebbe quasi voglia di piangere…