Regalo del governo ai ricchi del calcio: meno tasse per chi acquista giocatori fuori dall’Italia
Nel decreto crescita il governo toglie ai poveri per regalare ai ricchi: penalizzati i comuni del cratere, regalo alle società di calcio sotto forma di mega sconto sulle tasse da applicare agli ingaggi di giocatori e allenatori che vengono dall’estero
“De Ligt-Juve, l’annuncio è imminente” scrive nell’edizione on line di domenica 30 giugno “Tuttosport”, sottolineando poi all’interno dell’articolo che se la Juventus potrà mettere a segno il clamoroso colpo di mercato il merito è anche del governo. Ma non perché Salvini (notoriamente tifoso rossonero) e Di Maio (da giovane frequentava il San Paolo di Napoli) hanno improvvisamente cambiato la squadra del cuore (come un Emilio Fede qualsiasi…).
Semplicemente perché in questo sempre più sgangherato paese, guidato da un governo che è una sorta di Robin Hood al contrario (toglie ai poveri per dare ai ricchi…), può tranquillamente capitare che in quell’imbarazzante “pastrocchio” chiamato “decreto crescita”, varato a maggio dal governo e approvato nei giorni scorsi dal Parlamento, da un lato si operano ancora una volta tagli e risparmi sulla pelle dei terremotati, mentre dall’altro si regalano milioni di euro alle più ricche società di calcio italiane (e qualche centinaia di migliaia di euro anche alle altre società di serie A e serie B).
Il tutto con una semplice norma, l’articolo 5, che, modificando alcune agevolazioni previste in passato in altri campi, permetterà alle principali squadre italiane di non versare nelle casse dello Stato parecchi milioni di euro. E’ proprio vero, come ironicamente si ripete in circostanze simili, che il legislatore italiano “una ne fa cento ne pensa”.
La norma in questione come detto modifica leggermente, ma in maniera sostanziale, un provvedimento varato dal governo Renzi per incoraggiare il “rientro dei cervelli” e per attrarre nel nostro paese professionisti e ricercatori stranieri. In pratica un mega sconto sulle tasse, con gli stipendi di soggetti residenti all’estero nei 2 anni precedenti al trasferimento in Italia sottoposti a tassazione solo per il 30%, a patto di restare sul territorio nazionale per almeno due anni. Era, inoltre, previsto un ulteriore sconto per chi si trasferiva al Sud e nelle Isole, con la tassazione solamente sul 10% dello stipendio.
Il governo Conte, nell’articolo 5 del decreto crescita, ha esteso e reso più generali le agevolazioni, eliminando alcuni requisiti stringenti (come ad esempio l’alto titolo di specializzazione). Così i criteri di concessione sono molto più generici e per rientrare nelle agevolazioni basta spostare la residenza in Italia e rimanerci almeno per 2 anni.
Così la platea dei beneficiari si è notevolmente allargata, fino a comprendere anche i calciatori e, di conseguenza, le società di calcio. E’ sufficiente che il giocatore (o anche l’allenatore) venga da un campionato estero e la società può usufruire dello sconto. Solo nella fase di approvazione in Parlamento qualcuno tra la maggioranza si è reso conto dell’enorme (e incomprensibile) favore che si stava facendo alle ricchissime società di calcio, ancor più imbarazzante se si pensa che, al contempo, non sono previste particolari agevolazioni per le famiglie in difficoltà.
Un imbarazzo che, però, non ha determinato il ritiro della norma ma semplicemente una rimodulazione, con la tassazione applicata sul 50% (e non il 30% come per gli altri professionisti) dello stipendio. La protesta di qualche influente società del nord, poi, ha fatto si che venisse cancellata per le società di calcio l’ulteriore sconto previsto per Sud e Isole (tassazione solo sul 10% dello stipendio) che avrebbe dato un ingiusto vantaggio alle squadre meridionali (in serie A Napoli, Lecce e Cagliari).
Resta, però, un regalo e anche particolarmente consistente per le società di calcio, soprattutto per i club più grandi. Perché, considerando che nel calcio gli stipendi di calciatori e allenatori vengono contrattati al netto, per una società significa avere un lordo (quindi tasse a carico) molto meno pesante a bilancio.
Considerando l’aliquota irpef al 43%, un ingaggio annuo (netto) di 5 milioni di euro senza quella norma determinerebbe per la società di calcio il pagamento di oltre 2 milioni di euro (2.250.000 euro per l’esattezza). Con le novità del decreto crescita, e la conseguente applicazione dell’aliquota irpef solo sul 50% dell’imponibile, la tassa si dimezza e la società risparmia oltre un milione di euro (soldi che, ovviamente, non entrano più nelle casse dello Stato).
“E’ un’interpretazione che non va certo nello spirito originario della legge, pensata per riportare a casa ricercatori e professioni qualificati e non certo calciatori stranieri – commenta amaramente Angelo Cremonese, ordinario di economia dei tributi alla Luiss – senza considerare che questa norma crea un’evidente distorsione tra mercato dei calciatori italiani e esteri, con l’evidente conseguenza che per una società sarà molto più conveniente comprare giocatori stranieri”.
Capita anche questo nel paese dove contraddizioni e paradossi sono ormai all’ordine del giorno e nel quale la propaganda fa sempre più breccia, anche se poi in concreto ci si comporta esattamente all’opposto di quello che si promette.
Nell’Italia del “prima gli italiani”, ad esempio, il vicepremier e i membri del governo del partito che ha fatto la campagna elettorale e vinto tutte le ultime elezioni grazie a quello slogan, nella realtà mettono in campo una norma che, almeno per quanto riguarda il calcio, va esattamente nel senso opposto, spinge le società italiane a preferire i giocatori stranieri.
L’aspetto più rilevante, però, resta quello economico, il clamoroso e imbarazzante favore concesso alle società (e, di contro, il danno per le casse dello Stato). Tornando da dove siamo partiti, se (come ormai sembra certo) davvero l’affare De Ligt andrà in porto, la Juventus (che secondo quanto riportano tutti i quotidiani verserà al giocatore olandese un ingaggio netto di 12 milioni di euro all’anno) risparmierà più di 2,5 milioni di euro, dovendo pagare tasse per 2,7 milioni di euro e non di 5,4 milioni di euro come sarebbe stato senza quella norma.
Per restare ancora in casa Juventus, stessa situazione anche per gli altri due grandi acquisti finora effettuati, Rabiot e Ramsey, rispettivamente con un ingaggio di 7 e 8 milioni di euro all’anno e, di conseguenza, un risparmio di 1,8 e 1,57 milioni di euro. In altre parole, grazie a quel semplice articolo contenuto nel decreto crescita, in un attimo la Juventus ha risparmiato oltre 6 milioni di euro (e lo Stato ha perso la stessa cifra).
Naturalmente discorso analogo anche per le altre società di calcio italiane. All’Inter, ad esempio, grazie a quell’articolo 5 costerà molto meno aver riportato in Italia Antonio Conte. Che ha firmato un contratto per 3 anni che prevede un ingaggio netto di 10 milioni di euro il primo anno e di 12 nei due anni successivi. Con il vecchio sistema l’Inter avrebbe pagato di tasse (in 3 anni) 15,3 milioni di euro, ora invece ne verserà la metà, con un risparmio di 7,65 milioni.
Stesso discorso per l’ingaggio del forte difensore Godin a cui è stato fatto firmare un contratto triennale da 7 milioni di euro all’anno. In questo caso il risparmio per la società nerazzurra ammonta a poco meno di 5 milioni di euro. Ovviamente il discorso vale per tutti i giocatori e gli allenatori che verranno d’ora in poi in Italia da campionati esteri.
Per esempio, se davvero l’Ascoli ingaggerà (come sembra certo) il centrocampista Davide Petrucci, che da diverse stagioni gioca all’estero, anche la società bianconera usufruirà di questo sconto sulle tasse (ovviamente a cifre inferiori, visto che sicuramente l’ingaggio di Petrucci neppure si avvicina a quelli citati). Bisognerà attendere la fine del calcio mercato tirare le prime somme, ma sin da ora si prevede che complessivamente i mancati introiti per lo Stato (e i risparmi per le società di calcio) saranno nell’ordine di qualche centinaio di milioni all’anno.
Un gran bel regalo che, però, rischia di essere solamente un antipasto per il calcio italiano. Perché se davvero venisse approvata, come vorrebbe la Lega, la flat tax, le società italiane di calcio farebbero “bingo”. Certo, poi bisognerebbe vedere in concreto le modalità di applicazione. Ma stando all’ipotesi attuale, secondo l’indagine condotta da “Calcio e finanza” (basata sul monte ingaggi della stagione 2018/2019), la Juventus risparmierebbe di tasse 50 milioni di euro, il Milan 32, Inter e Napoli 27, Roma 23.
Complessivamente, considerando solo quelle 5 squadre, 160 milioni di euro di tasse in meno, prendendo a riferimento tutto il campionato di serie A dello scorso anno arriviamo a 260 milioni di euro. In questo caso saremmo ben oltre un governo Robin Hood al contrario…