Una brutta storia, tipica dell’Italia dei “furbetti” e degli “azzegarbugli”, che dimostra come troppo spesso anche nello sport dilettantistico per raggiungere determinati risultati più dei sacrifici e del duro lavoro in allenamento conta avere qualche “santo in paradiso”…
Ci sono storie di “ordinaria ingiustizia” che meritano di essere raccontate, senza necessariamente fornire nomi e luoghi (ci sarà tempo e modo per farlo) ma solo per far comprendere (almeno a chi ha la sensibilità e la capacità di farlo) cosa accade e cosa si prova a vedersi cancellare ingiustamente sogni, speranze e obiettivi per cui si è lavorato e ci si è sacrificati per mesi.
Nel caso in questione con la pesante aggravante che questa storia di “ordinaria ingiustizia”, tipica dell’Italia dei “furbetti” e degli “azzeccagarbugli”, è avvenuta in un ambiente, quello dello sport dilettantistico, che almeno a livello ideale dovrebbe promuovere con forza determinati valori: il fair play, il rispetto delle regole, la meritocrazia.
In realtà chi conosce e frequenta assiduamente il mondo dello sport, ancor più quello giovanile, sa come purtroppo certi valori siano troppo spesso una mera utopia, come nel nostro sgangherato paese quel mondo non sia certo immune, anzi, spesso amplifichi certe disfunzioni, certi gravi limiti della nostra società. E, soprattutto, come sin dalle competizioni giovanili c’è chi è disposto a fare di tutto, anche e soprattutto usare ogni genere di mezzo illecito e passare sopra ogni regolamento, pur di ottenere determinati risultati. Trovando purtroppo sempre più spesso la complicità (silenziosa o peggio ancora attiva), per biechi interessi personali o per motivi politici e di potere, di chi dovrebbe essere il garante del corretto svolgimento della competizione agonistica.
La conseguenza di questa inaccettabile deriva è che ai ragazzi e alle ragazze che si avvicinano al mondo dello sport viene trasmesso il messaggio che anche in questo ambiente il sacrificio, il duro lavoro in palestra, l’impegno, la meritocrazia (che in ambito sportivo significa che vince chi si è dimostrato più forte) non contino nulla o quanto meno non siano determinanti. E quelli, ancora più deleteri, che per vincere e ottenere risultati è giusto ed è lecito usare ogni tipo di artificio, che più della fatica in allenamento è importante avere le “amicizie” e gli “agganci” giusti e che solo i “fessi” e chi non ha “santi in paradiso” è tenuto pedissequamente a rispettare le regole.
Quando, come nell’ambiente sportivo in cui si sono svolte queste vicende, di fronte alla sacrosanta richiesta di “giustizia” di chi è stato ingiustamente penalizzato e all’altrettanto legittima richiesta di sanzioni nei confronti di chi ha palesemente violato le regole, ci si sente rispondere “ma quelli hanno votato per la nostra parte alle elezioni, voi no”, è superfluo sottolineare che viene messa una pietra tombale su ogni valore che dovrebbe guidare la pratica sportiva. Non si parla più di sport ma di politica e potere, intesi nel senso più deteriore dei termini.
La nostra storia, il cui teatro è il territorio ascolano e i protagonisti (atleti/e, dirigenti, funzionari) sono tutti dell’ambito provinciale e regionale, ha inizio al tramonto della scorsa estate, nelle calde giornate di agosto. Quando un gruppo di giovani atleti/e con i loro allenatori, invece di trascorrere il tardo pomeriggio tra aperitivi e feste o a “bighellonare” in spiaggia o in qualche piazza, si ritrova tutte le sere in un parco (non avendo ancora a disposizione l’impianto sportivo necessario) a sudare e a sbuffare per una dura e pesante preparazione fisica in vista della nuova stagione agonistica. Un sacrificio facilmente sopportabile quando si ha una profonda e genuina passione per la propria disciplina sportiva.
Nel caso in questione, poi, ci sono delle ulteriori motivazioni a spingere e invogliare quel gruppo a non sottrarsi da quel duro lavoro. C’è la voglia di riscattare le stagioni precedenti non particolarmente fortunate. Un po’ per demeriti propri ma anche per una serie di clamorose ingiustizie e penalizzazioni subite. Che, chi ha ancora una determina concezione dello sport genuinamente ingenua, non ha dubbi che siano stati frutto di disattenzione, superficialità o al massimo incompetenza. Con la conseguente convinzione che il raggiungimento o meno di determinati risultati dipenderà esclusivamente dalle proprie prestazioni, dal proprio impegno.
Uno degli aspetti più affascinanti ed entusiasmanti dello sport è (o almeno dovrebbe essere) il fatto che all’inizio di ogni stagione il passato viene praticamente azzerato, si riparte tutti da zero e (in teoria) tutti alla pari. Per questo quel gruppo che sbuffa, suda e fatica con passione e determinazione ha la consapevolezza e la convinzione che questa potrà essere la stagione del riscatto, l’anno giusto per togliersi quelle soddisfazioni che, per svariati motivi, non sono arrivate negli anni precedenti.
L’atmosfera è quella giusta, anche nelle settimane successive, con l’avvio dell’anno scolastico e universitario e il moltiplicarsi degli impegni, ci si continua ad allenare e a lavorare di buona lena per farsi trovare pronti all’inizio della stagione agonistica. Però, come a volte capita nello sport, nonostante l’impegno e le indiscusse potenzialità, all’inizio le cose non vanno come si sperava. Anzi, i risultati sono molto più deludenti di ogni più pessimistica previsione, il gruppo così solido, preparato e competitivo in allenamento sembra perdersi nella competizione agonistica.
La situazione precipita molto velocemente, nessuno molla o si lascia prendere dallo sconforto, anzi si raddoppia l’impegno in allenamento ma i risultati continuano a non arrivare. Sembra una stagione “maledetta”, il destino sembra scritto e appare inevitabile un risultato finale assolutamente negativo e molto al di sotto delle aspettative. Invece, all’improvviso, scatta la cosiddetta “scintilla” e tutto cambia. Iniziano ad arrivare prestazioni di buon livello e con esse anche i risultati. La stagione che sembrava compromessa improvvisamente si riapre e volge “al bello”, con le possibilità sempre più concrete di raggiungere almeno uno degli obiettivi che si erano inizialmente fissati.
Inevitabilmente crescono entusiasmo e ottimismo che, però, ancora una volta vengono presto smorzati dalla sconfortante constatazione che in quell’ambiente non bastano sudore, fatica, sacrificio e merito per ottenere i risultati. Perché c’è chi, quando è in difficoltà e vede l’obiettivo finale sempre più lontano, riceve all’improvviso un trattamento di favore, in violazione delle norme che regolano lo svolgimento della competizione agonistica di quello sport. E, al tempo stesso, quel gruppo che era in forte ascesa e aveva l’obiettivo finale a portata di mano, viene scientemente penalizzato, anche in questo caso passando sopra norme e regolamenti.
Quel che è peggio è che tutto ciò avviene con la fattiva collaborazione dei vertici locali di quella federazione e di quegli organi che dovrebbero invece garantire il corretto e regolare svolgimento della competizione agonistica. E che invece accettano in silenzio determinate irregolarità e, anzi, in qualche caso addirittura facilitano e si rendono “complici” di queste grave violazioni. Così non è più il campo a decidere il risultato che, di fatto, con questa serie di gravi e inaccettabili violazioni, viene stabilito a tavolino. E quel gruppo che, se la competizione si fosse svolta in maniera regolare e senza violazioni probabilmente avrebbe ottenuto i risultati sperati, ancora una volta viene ingiustamente e gravemente penalizzato.
A differenza delle situazioni degli anni passati, questa volta tutto il gruppo (atleti/e, allenatori e dirigenti), consapevole di essere vittima non “casuale” di una clamorosa ed inaccettabile ingiustizia, prova in ogni modo a far valere i propri sacrosanti diritti. E a questo punto la nostra storia assume i connotati della farsa e va in scena il tipico teatrino all’italiana. E’ incredibile come praticamente quasi tutti coloro che rivestono determinate cariche non negano (e, d’altra parte, come potrebbero) né le irregolarità né la grave e pesante penalizzazione subita da quel gruppo.
Ma, allo stesso tempo, inizia il tradizionale “scaricabarile” con il quale ognuno dei diretti interessati cerca di “scaricare” la responsabilità dell’accaduto su altri. E, soprattutto, incredibilmente non sembra esserci nessuno che abbia il potere e la possibilità di ristabilire un minimo di giustizia. Avviene purtroppo in continuazione nella nostra sgangherata società ma è ancora più sconcertante quando capita nel mondo dello sport, è incredibile come con estrema facilità e rapidità si possano violare norme e regolamenti mentre, di contro, quando bisogna ristabilire la regolarità e bisogna “fare giustizia” i tempi si allungano incredibilmente e ci siano sempre intoppi di ogni genere.
La conclusione è purtroppo inevitabile e scontata, ingiustizia è fatta, chi ha violato le norme e le regole alla fine riesce ad ottenere il risultato sperato, mentre chi le ha sempre rispettate finisce per essere beffato e sconfitto. Certo, è sin troppo facile e scontato sottolineare come in realtà ad essere sconfitto è lo sport, inteso nella sua accezione più ideale (e sempre più così poco reale). Intanto, però, a quel gruppo che si è impegnato al massimo, che si è sacrificato con orgoglio e con passione, resta solo la profonda amarezza, la delusione e la comprensibile voglia di “mollare tutto”, di lasciare quell’ambiente nel quale certi valori e certi ideali non contano nulla e vengono puntualmente calpestati. Che, poi, in concreto è quello che molti di loro si apprestano a fare.
Comprensibile ma molto deprimente. Non servirebbe neppure sottolinearlo, dovrebbe essere chi rende e negli anni ha sempre reso possibile queste nefandezze, chi ormai è talmente abituato a certe “schifezze da non rendersi più nemmeno conto che lo sport tutt’altra cosa, che dovrebbe allontanarsi (e per sempre) da quell’ambiente. Invece, quasi certamente, all’inizio della nuova stagione la maggior parte di quel gruppo non ci sarà più, mentre tutti coloro che hanno calpestato regole e norme saranno ancora al loro posto.
Pronti a ripetersi e a continuare ad umiliare ancora una volta lo sport, quello vero, e quelli che dovrebbero essere i suoi reali e più profondi valori…