A settembre, dopo l’approvazione delle linee guida della finanziaria 2019, Di Maio e i ministri del M5S festeggiavano sul balcone di Palazzo Chigi. Ora, dopo l’approvazione del Def che certifica che le previsioni di allora erano sballate, nessun ministro si presenta in conferenza stampa
Dopo la “pacchia”, è finita anche la festa. Però questa volta non c’era né Salvini (a cui si deve la genesi di quel “la pacchia è finita” che tanto piace ai suoi fans) né l’altro vicepremier Di Maio ad annunciarlo al mondo intero. Non è la prima volta che accade, ma mai come questa volta due immagini, a distanza di 7 mesi di distanza, fotografano meglio di tante parole il drastico e per certi versi drammatico ritorno alla realtà.
Quella del 28 settembre scorso, al termine del Consiglio dei ministri che aveva appena approvato le linee guida della manovra finanziaria per il 2019, con Di Maio insieme a ministri e parlamentari del M5S festanti sul balcone di Palazzo Chigi. Quella del 9 aprile scorso, dopo l’approvazione sempre da parte del Consiglio dei ministri, del Documento di economia e finanza (Def), con la sala stampa di Palazzo Chigi tristemente vuota, con nessun ministro del governo (e tanto meno il presidente del Consiglio) che ha avuto il coraggio di “metterci la faccia”, di spiegare i numeri reali che smentiscono così clamorosamente (ma non certo sorprendentemente) l’ottimismo diffuso allora e nei mesi successivi dal governo stesso.
Al di là dei freddi numeri, che poi certificano una situazione di crisi fino a 3 giorni fa negata dagli esponenti dell’esecutivo, questo fuggire quando bisogna affrontare la dura realtà dimostra in maniera inequivocabile la statura di questi “polituncoli” che sono alla guida del nostro paese. A partire proprio dal presidente del Consiglio Conte che, come (molto presunto) capo del governo, per dignità avrebbe dovuto presentarsi in conferenza stampa. Invece non solo non l’ha fatto, ma ha goffamente e pateticamente cercato di salvarsi dall’evidente e imbarazzante “figuraccia” per le previsioni esageratamente ottimistiche evidentemente e clamorosamente “toppate” (il famoso “sarà un anno bellissimo”).
Probabilmente il presidente del Consiglio è convinto che la maggior parte degli italiani sia un branco di “boccaloni” (chissà, magari avrà ragione lui), con la memoria praticamente inesistente, a cui si può propinare qualsiasi genere di storiella. Anche che quel “sarà un anno bellissimo” era uno scherzo. “L’ho ripetuto più volte che scherzavo – ha dichiarato infastidito il premier Conte rispondendo giovedì 11 aprile alle domande di un giornalista – ma capisco che quando le notizie galleggiano è difficile vedere su quali fondamenta sono ancorate. Ho detto “anno bellissimo” solo in risposta ad un suo collega andando via, un collega che faceva previsioni molto pessimistiche”.
Purtroppo per il presidente del Consiglio (e un po’ anche per gli italiani…) ci sono le prove e i documenti inconfutabili che smentiscono questa triste e patetica giustificazione. C’è, ad esempio, il video dell’intervista di Conte a Rai2 nella quale il premier, in risposta alle previsioni pessimistiche (o forse sarebbe meglio dire realistiche) di Confindustria, sosteneva che “ci sono tutte le premesse per un bellissimo 2019 e per gli anni a venire”. Senza dimenticare l’intervento del premier stesso il 1 febbraio scorso all’assemblea dell’Alleanza delle Cooperative.
“Ci sono tutte le premesse per un anno positivo – dichiarava Conte (e anche in questo caso c’è il video di Rai2 che non lascia dubbi) – l’Italia ha un programma di ripresa incredibile e c’è tanto entusiasmo. Non c’è motivo di essere pessimisti, l’Italia tornerà a crescere grazie alla manovra espansiva di questo governo”. C’è poco da aggiungere, i cosiddetti “attributi” o si hanno o non si hanno e il presidente del Consiglio ha ampiamente dimostrato di non averli, preferendo scappare invece di spiegare cosa è andato storto e aggrappandosi a questa penosa giustificazione.
Tornando al Documento di economia e finanza approvato nei giorni scorsi, occorre innanzitutto ricordare che il Def è il testo con in quale il governo fa le previsioni sullo stato di salute dell’economia italiana e indica le misure per migliorare la situazione. Deve essere predisposto entro il 10 aprile, approvato dal Parlamento entro il 30 aprile in modo da poterlo poi mandare a Bruxelles.
Di fatto il Def è il primo passo del processo che culmina poi nella manovra e serve soprattutto a misurare lo stato di salute del Paese. Che, a giudicare da quanto dice il governo stesso, non è per nulla buono. Nulla di sorprendente, da mesi se ne parla. Ma è a dir poco singolare che ora siano quegli stessi esponenti che hanno sempre dispensato ottimismo a pieni mani a dover ammettere che la situazione è completamente opposta a quella che per mesi ci hanno raccontato.
Ancor più singolare il fatto che, dopo che per mesi abbiamo sentito dagli esponenti di governo ogni genere di attacco (anche ai limiti dell’insulto) nei confronti dell’Europa (in particolare dei vari Juncker, Moscovici, ecc.) che lanciava l’allarme sulla situazione economica dell’Italia, lo stesso governo di fatto ha messo nero su bianco che quelli contro cui inveivano avevano perfettamente ragione.
Senza dilungarci troppo e scendere troppo sul tecnico, un paio di considerazioni e qualche numero per aiutare a rendersi conto di cosa in concreto stiamo parlando. Dagli “spifferi” che giungono dal governo (ufficialmente quasi ci si vergogna a dover dare spiegazioni) si sostiene che con il Def è stata fatta un’operazione verità. E se indiscutibilmente è sempre positivo quando si dice (o, come in questo caso, si scrive) la verità, quell’operazione dovrebbe necessariamente essere accompagnata anche da un’operazione umiltà. Il minimo che si possa chiedere a governanti responsabili è di ammettere con chiarezza e onestà di aver clamorosamente “toppato”, di aver fallito e di tanto nelle loro previsioni (proclami).
Il paese è “imballato”, la situazione è grigia e non ci sono spiragli che lasciano pensare che le cose possano migliorare a breve. Basterebbe analizzare la tabella pubblicata a pagina 23 del Def che mette a confronto il cosiddetto scenario economico tendenziale e programmatico dell’Italia, cioè in altre parole viene messo a confronto cosa accadrebbe se fossimo in esercizio provvisorio (cioè senza un governo nel pieno delle sue funzioni) e cosa invece accade dopo le misure adottate dall’esecutivo.
Non era mai accaduto prima, quella tabella ci dice che sarebbe stato meglio in esercizio provvisorio (senza governo). Perché dal confronto emerge con chiarezza che, dopo l’intervento del governo, peggiorano tutti i dati: quelli del Pil, quello del tasso di occupazione, quelli del tasso di disoccupazione e anche quelli sulla pressione fiscale. Dopo una manovra finanziaria costata 40 miliardi e un mare di interessi sul debito pubblico di fatto è come ammettere il fallimento. E a scriverlo non sono i rappresentanti dell’opposizione, i giornali che remano contro il governo o i burocrati europei.
Sono gli stessi rappresentanti del governo. Senza dilungarci troppo ulteriormente, nel Def il governo ammette anche che a dicembre (al momento dell’approvazione della finanziaria) ha sbagliato tutte le principali previsioni. Per quanto riguarda il Pil per il 2019 ora prevede che crescerà dello 0,2 mentre a dicembre prevedeva il +1% (sperando che almeno non sbagli anche ora). Stesso discorso per il deficit (da 2,04 a 2,4) e per il debito pubblico (da 130,0 a 132,6).
Ma per certi versi l’aspetto più imbarazzante è che ora nel Def i rappresentanti del governo ammettono che le due misure bandiere (reddito di cittadinanza e quota 100) non solo non producono effetti particolari sulla crescita ma, addirittura, per certi versi sono deleteri perché provocano un aumento della disoccupazione e una riduzione dei salari. Secondo le previsioni contenute nel Def, anche a causa di queste due misure il tasso di disoccupazione salirà dello 0,3% nel 2019 e dello 0,7% nel 2020, con un minimo di crescita previsto solo per il 2021.
Previsioni negative anche per quanto riguarda il tasso di occupazione che è dato in diminuzione per i prossimi 3 anni (2019 compreso). “Se paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non essere sorpreso se produci disoccupazione” diceva il premio nobel per l’economia Milton Friedman. Fino a qualche mese fa chi oggi ha messo nero su bianco certe previsioni l’avrebbe definito un rappresentante dell’elite contro il popolo.
Oggi è del tutto evidente che chi in questi mesi ha sollevato determinate obiezioni non sbagliava certo. Purtroppo, però, non è certo una notizia positiva.