Stelle cadenti


La debacle in Sardegna, dopo i risultati negativi in Abruzzo, Trentino e nelle suppletive di Cagliari, conferma le difficoltà del M5S. Che paga l’abbraccio “mortale” con la Lega e, soprattutto, il fatto di aver snaturato e derogato ai propri principi originari

Nonostante i commoventi sforzi di del tg di Raiuno, che da domenica sera (quando sono stati resi noti gli exit poll) fino a lunedì all’ora di pranzo ha parlato di sostanziale successo in Sardegna, addirittura come primo partito della regione, alla fine per il Movimento 5 Stelle è arrivata una “batosta” storica, di proporzioni imprevedibili (anche se un risultato negativo era ampiamente previsto).

Non è certo una novità che le reti Rai, iper lottizzate, da sempre favoriscono spudoratamente quello che Bruno Vespa chiamava “il mio editore di riferimento” (cioè il governo). Ma stavolta si è davvero passato il limite, neppure l’Emilio Fede dei tempi d’oro di Berlusconi, quello delle bandierine piazzate sulle regioni conquistate, secondo gli exit poll, dal centrodestra, sarebbe stato capace di tanto. Al di là dell’indegna sceneggiata Rai, però, alla fine il risultato elettorale in Sardegna è stato sin troppo chiaro e decisamente oltre i peggiori scenari previsti nei giorni precedenti. Al punto che persino chi temeva un dimezzamento dei voti alla fine è risultato sin troppo ottimista.

Perché il responso delle urne sancisce la perdita di tre quarti (oltre 300 mila) dei voti ottenuti meno di un anno prima, con la lista del M5S che non raggiunge neppure la doppia cifra (9,6%), dopo che 11 mesi fa aveva sfondato il 40%. E non che al candidato presidente Desogus sia andata molto meglio (11,1%). Invece del vaneggiato (da Raiuno) primo partito della regione il M5S è dietro non solo al Pd e alla Lega ma, addirittura, anche al Partito sardo di azione.

Certo è indiscutibile che a marzo 2018 si votava per le politiche e ora per le regionali. E è altrettanto innegabile che, dando uno sguardo generale, non può certo rallegrarsi il Pd che scende ulteriormente rispetto ad 11 mesi fa e, tutto sommato, non sfonda come si auspicava neppure la Lega. Ma le proporzioni della disfatta sono tali che nascondersi dietro quelle considerazioni, pur se non del tutto infondate, è sinceramente puerile. E, tra l’altro, certi sofismi politici e certe trucchi ricordano terribilmente la vecchia politica, il tempo della “gloriosa” prima repubblica quando, dopo ogni elezione, non c’era mai un partito che ammetteva di aver perso.

Al di là di tutto stavolta il quadro è sin troppo chiaro ed evidenzia la crisi di consensi del M5S. Anzi, conferma e amplificandone una crisi preannunciata negli ultimi mesi dai risultati di tutti gli appuntamenti elettorali, dal Trentino all’Abruzzo, fino alle politiche suppletive proprio in Sardegna. Gli stessi sondaggi, per quanto da prendere con le dovute cautele, parlano a livello nazionale di una perdita del 10-12% rispetto al marzo 2018. In tal senso il continuo rimarcare la distinzione tra elezioni politiche e regionali, se serve semplicemente a sostenere che, nel caso si votasse per eleggere il Parlamento, il “tracollo” sarebbe più contenuto, può anche avere un senso.

Ma la sostanza non cambia e negare l’evidenza, fingere che non esiste un problema reale sarebbe deleterio e preoccupante. Preoccupazione che dovrebbe essere unanime, a prescindere dall’appartenenza e dalle simpatie politiche. Perché con il Pd e il centrosinistra che, dopo quasi un anno, continuano ad essere agonizzanti, con gli altri partiti del centrodestra ridotti a semplici comparse, sarebbe deleterio per la democrazia italiana un ulteriore crollo del M5S che, di fatto, renderebbe la Lega unico e incontrastato partito egemone nel panorama politico italiano (più di quanto lo è già).

Per questo si sperava (e si spera ancora, anche se i presupposti non lasciano presagire nulla di buono) in un’analisi seria da parte dei vertici del Movimento, di un approfondimento concreto sulle ragioni che hanno portato, in così poco tempo, a questa situazione. Che, per altro, era stata ampiamente prevista ed è sin troppo facilmente spiegabile.

D’altra parte non bisognava certo essere dei fini analisti politici per capire quanto “mortale” sarebbe stato per il M5S l’abbraccio con la Lega. Innanzitutto perché, dopo aver ribadito più volte il no a qualsiasi alleanza, non è stato per nulla semplice far digerire un così repentino cambio di marcia. Che, per altro, ha riguardato quello che era stato uno dei principali bersagli della campagna elettorale, con violenti (in termini verbali) attacchi e tentativi di delegittimazione (come dimenticare i video di Di Maio e Di Battista per sottolineare tutte le presunte “malefatte” del Carroccio, in primis proprio la storia dei 49 milioni di euro…).

Era impensabile che una simile incoerente retromarcia non poteva essere digerita e accettata senza contraccolpi. Allo stesso modo era stato sin troppo facile prevedere che quell’alleanza avrebbe giovato esclusivamente alla Lega che avrebbe avuto gioco facile nel “cannibalizzare” il M5S, cosa che puntualmente si sta verificando. Molto si è detto sul fatto che la Lega, decisamente più scaltra ed esperta, sia riuscita in questi mesi ad apparire, agli occhi dell’opinione pubblica, assolutamente dominante e in grado di far diventare prioritari nell’azione di governo i propri capisaldi (l’immigrazione, il must ripetuto per tutto, fino alla noia, del “prima gli italiani”).

Superfluo discutere se sia realmente così o se si tratti di un’esagerazione, questa è comunque la percezione comune. E da anni ormai, nell’era dei social, gli umori degli italiani in politica si basano più sulla percezione delle cose che sulla realtà concreta. Se ne è giovato a lungo il M5S, è singolare ma non così strano che ora ne subisca le conseguenze.

Ma, al di là dell’abbraccio “mortale” con la Lega, le vere e più profonde ragioni della crisi sono altre. Che, poi, si possono racchiudere in un semplice ma chiarissimo concetto: sono bastati pochissimi mesi al “potere” (governo) per snaturarsi quasi completamente, per diventare qualcosa di molto simile ai vecchi e tradizionali partiti a lungo così vituperati. Per la verità questo percorso era già iniziato da qualche tempo ma dall’arrivo al governo ha subito una brusca accelerata. Uno alla volta sono caduti tutti i totem politici che avevano reso il M5S qualcosa di assolutamente diverso da qualsiasi altro partito.

Quello che agli occhi di tanti era un movimento di cittadini che avrebbe dovuto scardinare il vecchio sistema, che aveva come primo e più nobile obiettivo “distruggere” la casta, intesa come tutta quella serie di privilegi che da sempre hanno scavato un solco profondissimo tra loro e i cittadini comuni, una volta arrivato al potere ci ha messo pochissimo per integrarsi proprio nel vecchio sistema che avrebbe dovuto scardinare.

Così pian piano ha derogato a tutte le regole che si era autoimposto, anche quelle più rigide e indiscutibili che lo avevano reso così diverso e così altro rispetto a quanto visto da sempre nella storia della politica italiana. Dalla diretta streaming al divieto di alleanza, dalla restituzione di una parte dello stipendio dei parlamentari alla Rai senza partiti, dall’esame di diritto costituzionale per tutte le cariche elettive al no agli F35.

In tal senso il lungo e discusso post del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, a lungo emblema del primo M5S, quello più verace e di cui, in tutta franchezza, se ne sente la mancanza, è quanto mai esemplificativo ed esaustivo. Come si può, ad esempi, parlare di lotta agli sprechi, di guerra ai privilegi della politica quando poi si fa parte di un governo che, solo per la “carovana” di addetti che fanno parte dello staff dell’esecutivo, spende molto più di quelli precedenti, addirittura quasi 3 milioni in più di quello dell’odiatissimo Renzi?

E come si concilia il principio che politici e cittadini devono essere uguali davanti alla legge con il fatto che poi si salva dal processo il proprio alleato, solo per un mero calcolo di convenienza politica? Quello che era un totem praticamente sacro per il M5S, il principio irrinunciabile che i politici devono “difendersi nei processi, non dai processi”, è stato spazzato via in un attimo, senza troppi indugi con la penosa decisione di evitare il processo a Salvini.

Resa ancora più inaccettabile dai patetici tentativi di giustificare l’ingiustificabile, da quella serie di “sotterfugi” e “azzeccagarbugli” che nulla cambiano alla sostanza delle cose (la distinzione tra “immunità” ed “esimente” è un artificio tecnico che nulla cambia al nocciolo della vicenda, cioè che viene confermato per il politico uno di quei privilegi che ovviamente i cittadini non possono neppure sognare).

Giustificazioni che sicuramente convincono e vengono sposate “per fede” dai “fedelissimi”, dal noccio duro degli elettori del Movimento disposti ad accettare e a credere plausibile qualsiasi tipo di spiegazione ma che lasciano senza parole la folta schiera di coloro che non hanno scelto il M5S “a scatola chiusa”. E che non possono non constatare come quegli stessi o artifici similari in passato erano già stati utilizzati da altri partiti per giustificare comportamenti identici (il salvataggio di questo o quel politico).

In un quadro complessivamente non certo roseo, c’è di positivo per il M5S che, secondo tutti gli istituti che analizzano i flussi dei voti, solo una minima parte di coloro che non ha rivotato il Movimento stesso ha scelto altri partiti (un 10-15% la Lega, un 15-20% il centrosinistra). Quasi il 50% degli elettori “grillini” delusi ha scelto l’astensione, ha preferito non votare e, quindi, non si è “ricollocata”. Questo significa che in qualche modo quella fettà di elettori potrebbe essere recuperata.

A patto che si abbia la forza di cambiare, di fare alcuni passi per tornare ad essere più simili alle origini. Cioè esattamente l’opposto di quel che sembra stia accadendo, con addirittura la concreta possibilità che cada anche l’ultimo “sacro” totem, quello del limite dei due mandati.

La regola dei due mandati non è mai stata in discussione e non si tocca, né adesso né mai. Questo è certo come l’alternarsi delle stagioni e come il fatto che certi giornalisti, come oggi, continueranno a mentire scrivendo il contrario” dichiarava Di Maio non anni fa ma il 31 dicembre scorso. Se così non fosse il M5S si accingerebbe a compiere l’ennesimo passo, probabilmente l’ultimo che manca, per diventare a tutti gli effetti come tutti gli altri partiti che popolano il sistema politico italiano. E non è certo una buona notizia.

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