La vergognosa condanna di Davide e l’abolizione dell’articolo 21 della Costituzione


“Sono incriminato per aver fatto il giornalista. Accetto la sentenza, ma non accetterò la censura e continuerò a fare il mio lavoro” ha commentato il giornalista di Fanpage condannato dalla Corte di Appello. Nonostante  la pubblica accusa aveva chiesto l’assoluzione

Probabilmente saremo ripetitivi. Ma in questo periodo sempre più spesso ci torna in mente il famoso film di Totò e l’altrettanto famosissima divisione che lo straordinario comico napoletano faceva del genere umano tra “uomini” e “caporali”. E chiediamo scusa in anticipo a Davide Falcioni, che di sicuro Totò collocherebbe nella categoria degli “uomini”, se lo mettiamo a confronto con colui che in questo periodo in Italia è l’emblema dei “caporali”, Matteo Salvini.

Sono incriminato per aver fatto il giornalista. Accetterò la sentenza, qualunque essa sia, ma non accetterò la censura e continuerò a fare il mio lavoro” ha scritto su facebook Falcioni giovedì 7 febbraio, poche ore prima che la Corte d’Appello di Torino pronunciasse la sentenza nei suoi confronti. “Niente immunità, voglio essere processato. Se il Tribunale dei Ministri deciderà che devo essere processato andrò davanti ai giudici. Io non ho bisogno di farmi proteggere da nessuno perché se uno ha la coscienza pulita va avanti come treno” ha proclamato con la solita enfasi Salvini fino a 15 giorni fa.

Peccato, però, che da quel momento in poi ha trascorso i giorni successivi a “raccomandarsi” al suo alleato di governo, ad implorare i senatori di salvarlo dal processo, ad elemosinare un intervento, una dichiarazione di comune assunzione di responsabilità da parte degli altri componenti del governo (tanto figuriamoci se qualcuno in questo paese si ricorda più lo scontro e le differenti posizioni di Salvini e Toninelli sul caso della Diciotti…), in una sorta tutti colpevoli, nessun colpevole.

E’ ridotto così questo sempre più sconfortante paese, anche se in fondo quella che raccontiamo oggi è una storia che si ripete e si ripropone da sempre. Ci sono cittadini di serie A, che godono di tutti i privilegi possibili, compresa l’immunità (o, come una volta la chiamavano provocatoriamente gli esponenti del M5S, l’impunità). Poi ci sono cittadini di serie B o addirittura di serie C su cui è lecito accanirsi, anche oltre ogni limite, e a cui ogni tanto viene impartita una severa lezione che serva da esempio anche per altri.

Non poteva che finire in questo modo, purtroppo, questa storia in quello che una volta era chiamato il Belpaese. Con un bravo giornalista condannato solo per aver svolto nel migliore dei modi il proprio mestiere (che è quello di raccontare i fatti, che è cosa completamente differente dal riproporli dopo esserseli fatti raccontare da qualcun altro…). E con il solito politico che non verrà neppure sottoposto a giudizio, che verrà salvato da quella vergogna che si chiama immunità, grazie al soccorso di quelli che fino a pochi mesi fa avevano fatto proprio della lotta a questo inaccettabile privilegio il più importante fondamento del proprio credo.

Siamo “maggiorenni e vaccinati” e certe “schifezze” purtroppo non ci stupiscono più. Però, il nostro è un appello accorato, per favore non parlateci più di “cambiamento”, non prendeteci più in giro con la storiella della “terza repubblica”, quella dei cittadini. Non che servisse la vergognosa sentenza su Davide Falcioni o l’imbarazzante vicenda di Salvini, ma ora più che mai è del tutto evidente che siamo pienamente nella seconda (o anche la prima, fa poca differenza) repubblica, quella in cui da una parte ci sono i politici e dall’altra, molto più in basso, i cittadini. Viviamo in questo tipo da paese da troppi anni, ormai ci abbiamo fatto il callo.

Però ci sono certi giorni in cui si fa fatica ad accettarlo, ci sono certe storie, certe vicende di fronte alle quali è davvero difficile mantenere la collera sotto il livello di guardia. E quello di giovedì è uno dei quei giorni, con la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Torino ha confermato la condanna a 4 mesi di reclusioni per il giornalista di Fanpage che ferisce, profondamente.

Come abbiamo già avuto modo di sottolineare diversi mesi fa, in occasione della sentenza di primo grado, la vicenda per cui Davide Falcioni è stato processato e poi condannato è indegna per un paese civile. I fat­ti con­te­sta­ti ri­sal­go­no al 2012 quan­do il giornalista di Fanpage se­gui­va per “Ago­ra­Vox” le vi­cen­de le­ga­te al mo­vi­men­to No Tav. Il 24 ago­sto di quel­l’an­no al­cu­ni di que­gli at­ti­vi­sti en­tra­ro­no nel­la sede to­ri­ne­se di un’a­zien­da le­ga­ta ai co­strut­to­ri del­la trat­ta fer­ro­via­ria To­ri­no-Lio­ne.

Da­vi­de è ar­ri­va­to sul po­sto, è en­tra­to an­che lui e ha poi rac­con­ta­to cosa era ac­ca­du­to. Quei fat­ti ave­va­no, poi, dato ori­gi­ne ad un pro­ce­di­men­to giu­di­zia­rio nei con­fron­ti di 19 ma­ni­fe­stan­ti. Il gior­na­li­sta di Fan­pa­ge era sta­to chia­ma­to come te­sti­mo­ne, per rac­con­ta­re ciò che ave­va vi­sto e che ave­va an­che scrit­to, cioè per di­fen­de­re gli im­pu­ta­ti  dal­le ac­cu­se di dan­neg­gia­men­ti e di vio­len­za.

Nel cor­so del­la sua te­sti­mo­nian­za, però, era sta­to in­ter­rot­to dal pm che gli ave­va co­mu­ni­ca­to che sa­reb­be sta­to in­da­ga­to per lo stes­so rea­to con­te­sta­to ai 19 im­pu­ta­ti, vio­la­zio­ne di do­mi­ci­lio.

L’ac­cu­sa so­stie­ne che, pur es­sen­do pre­sen­te sul po­sto, non avrei mai do­vu­to scri­ve­re quel­lo che ave­vo vi­sto e che avrei do­vu­to chie­de­re alla po­li­zia (che, tra l’al­tro, non c’e­ra) – scri­ve­va Da­vi­de il 19 mar­zo scor­so su Fa­ce­book dopo l’udien­za in tri­bu­na­le – se­con­do la Pro­cu­ra di To­ri­no un gior­na­li­sta che as­si­ste a una no­ti­zia in pri­ma per­so­na deve chie­de­re alle for­ze del­l’or­di­ne, an­che se as­sen­ti, cosa può scri­ve­re e cosa no. Si trat­ta evi­den­te­men­te di un’i­dio­zia, co­mun­que la si pen­si, per­ché il gior­na­li­smo non è o do­vreb­be es­se­re guar­dia­no del po­te­re, né cu­rar­ne gli in­te­res­si”.

Sembrava impossibile, invece era arrivata la condanna. Poi il processo di appello che sembrava destinato a cancellare quella che è una macchia inaccettabile per un paese che ha ancora l’ardire di definirsi democratico. La pubblica accusa aveva, infatti, chiesto l’assoluzione per Davide Falcioni. Richiesta incredibilmente respinta, la Corte d’Appello ha condannato di nuovo il giornalista di Fanpage, colpevole di “aver fatto il suo lavoro”.

E’ davvero difficile anche solo commentare senza oltrepassare i limiti. Non possiamo che ripetere e ribadire ciò che avevamo scritto in occasione della prima sentenza (“C’era una volta la libertà di stampa”).

“Magari ci siamo distratti e non ci siamo accorti che è stato abolito. Ma, in caso contrario, è opportuno ricordare a coloro che hanno firmato la vergognosa condanna nei confronti di Davide Falcioni che l’art. 21 della Costituzione recita testualmenteTut­ti han­no di­rit­to di ma­ni­fe­sta­re li­be­ra­men­te il pro­prio pen­sie­ro con la pa­ro­la, lo scrit­to e ogni al­tro mez­zo di dif­fu­sio­ne. La stam­pa non può es­se­re sog­get­ta ad au­to­riz­za­zio­ni o cen­su­re. Non è sta­to fa­ci­le ac­cet­ta­re che in un pae­se ci­vi­le un gior­na­li­sta pos­sa fi­ni­re sot­to pro­ces­so per que­sto, è im­pos­si­bi­le an­che solo im­ma­gi­na­re che ad­di­rit­tu­ra ci pos­sa es­se­re un tri­bu­na­le in un pae­se che si de­fi­ni­sce de­mo­cra­ti­co che pos­sa ad­di­rit­tu­ra con­dan­nar­lo.

In­ve­ce oggi ci tro­via­mo di fron­te ad una sen­ten­za scan­da­lo­sa che è l’en­ne­si­mo se­gna­le e l’en­ne­si­ma pa­le­se di­mo­stra­zio­ne che in que­sto pae­se non c’è spa­zio per chi vuo­le fare se­ria­men­te il me­stie­re del gior­na­li­sta, per chi ha solo il de­si­de­rio di rac­con­ta­re i fat­ti. Il gior­na­li­smo li­be­ro e in­di­pen­den­te, non as­ser­vi­to al po­te­re e non suc­cu­be di que­sto o quel grup­po di po­te­re, se non è mor­to è quan­to meno ago­niz­zan­te in Ita­lia.

Pur­trop­po non ci stu­pi­sce e non ci sor­pren­de, sap­pia­mo da tem­po, an­che per­ché l’ab­bia­mo am­pia­men­te spe­ri­men­ta­to sul­la no­stra pel­le, che non c’è spa­zio per la li­be­ra in­for­ma­zio­ne, non c’è spa­zio e nes­su­no vuo­le per dav­ve­ro, e non so­la­men­te a pa­ro­le, gior­na­li­sti li­be­ri, che fac­cia­no in­for­ma­zio­ne se­ria e cor­ret­ta ma non con­trol­la­bi­le e non as­sog­get­ta­bi­le.

Ci sa­reb­be da ag­giun­ge­re mol­to al­tro, ma è già suf­fi­cien­te così. In que­sta sede ci pre­me solo sot­to­li­nea­re che non ci sono mai pia­ciu­te le di­fe­se di ca­te­go­ria, che sia­mo pie­na­men­te e fer­ma­men­te con­vin­ti che un gior­na­li­sta che sba­glia, che scri­ve cose fal­se me­ri­ti di pa­ga­re le con­se­guen­ze del pro­prio ope­ra­to sba­glia­to.

Ma qui stia­mo par­lan­do di tut­t’al­tro, in que­sto caso sia­mo di fron­te a qual­co­sa che va ben ol­tre, che va a mi­na­re alla base, alla ra­di­ce quel­lo che do­vreb­be es­se­re il mo­dus ope­ran­di di chi fa que­sta pro­fes­sio­ne, sen­za con­si­de­ra­re (par­ti­co­la­re di cer­to non ir­ri­le­van­te) che sia­mo di fron­te ad una sen­ten­za che a no­stro av­vi­so con­tra­sta con gli stes­si prin­ci­pi co­sti­tu­zio­na­li”.

Per questo, ora come allora, non possiamo che ribadire che siamo con Davide, senza se e senza ma. E, per quanto può contare, assicurare che, fino a che ce ne sarà data la possibilità, continueremo a batterci perché chi svolge questo mestiere seriamente non debba poi pagarne le conseguenze.

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