“Dopo il terremoto, il cemento”: una grande opera inutile e il futuro delle comunità colpite
Alla Bottega del Terzo Settore un incontro per riaffermare la centralità delle comunità colpite nelle scelte per il proprio futuro. E per ribadire il no al QuakeLab Center Vettore, la “grande opera inutile” che dovrebbe sorgere sulla collina di Capodipiano (Venerotta)
Si parlerà anche e soprattutto del “QuakeLab Center Vettore”, quello che ad agosto definimmo “una grande opera inutile”, questa sera (venerdì 18 gennaio) alla Bottega del Terzo Settore (ex Cinema Olimpia) nell’ambito dell’incontro pubblico “Dopo il terremoto il cemento”, promosso da gruppo di ricerca “Emidio di Treviri” e dall’Ecomuseo del Monte Cerasa. Il titolo dell’incontro già è abbastanza significativo e, per chi non avesse compreso, sta a significare come il territorio, già colpito dalla grave tragedia del terremoto (con tutte le sue devastanti conseguenze), ora rischia di subire un’ulteriore grave danno da un nuovo modello di sviluppo basato su una vera e propria invasione di cemento, laddove di tutto c’è bisogno meno che del cemento stesso (naturalmente a parte quello indispensabile).
A spiegare ulteriormente l’importanza del tema in discussione è il comunicato che presenta l’incontro. “A 2 anni dai drammatici eventi sismici che hanno sconvolto l’Appennino centrale – si legge – quale il modello di sviluppo pensato per le aree interne? Chi decide del futuro delle comunità colpite?”. La risposta dovrebbe essere ovvia e scontata, il minimo che si dovrebbe pretendere è che a decidere del proprio futuro siano parte attiva anche e soprattutto le comunità stesse colpite dal terremoto.
La cruda realtà, invece, dimostra che in questo paese dove tutto va al rovescio funziona esattamente in maniera opposta, le decisioni più importanti e che più rischiano di incidere sul territorio vengono puntualmente imposte dall’alto. “Nonostante sia già recepita in Regione Marche – si legge ancora nel comunicato – l’opera non è stata ancora discussa con le comunità interessate”.
Ci siamo già occupati nell’agosto scorso del “QuakeLab” (“QuakeLab Center, una grande opera inutile”) spiegando nel dettaglio di cosa si tratta e le tantissime (e a nostro avviso condivisibili) perplessità che suscita. In sintesi il progetto prevede la realizzazione, nella zona della collina di Capodipiano (frazione di Venarotta), di un laboratorio tecnologico e scientifico per la ricerca, la didattica e la divulgazione delle tematiche inerenti i fenomeni sismici, con la finalità di offrire una divulgazione innovativa del “fenomeno sisma”.
In concreto significa la realizzazione di una mega struttura di 19 metri di altezza che conterrà laboratori per operare prove sismiche sugli edifici, sale multimediali, tavole vibranti e carriponte. La struttura sarà inoltre munita di un’ampia autostazione, di una pista di atterraggio per elicotteri e di mega parcheggio. Per gli ideatori del progetto (la cordata imprenditoriale ascolana Genera Scarl) il QuakeLab sarà “un potente attrattore scientifico-culturale ma anche turistico” e l’obiettivo è quello di renderlo “uno degli snodi di un virtuoso ecosistema dell’innovazione, a perimetro regionale”.
Inizialmente è previsto un investimento complessivo di circa 21 milioni di euro, fondi pubblici stanziati per lo sviluppo nelle aree colpite dal sisma nell’ambito dell’Asse 8 del Programma operativo regionale del Fondo europeo di sviluppo regionale (Por Fesr) 2014-2020. Piano che, sulla base di quanto riportato nella delibera regionale n. 1513 del 18 dicembre 2017, persegue due fondamentali obiettivi: attuare interventi sul patrimonio per mettere in sicurezza gli edifici pubblici, assicurando al contempo una maggiore efficienza energetica, e porre in atto azioni tese alla ripresa del tessuto produttivo delle aree in oggetto.
E già solo questo dovrebbe far sorgere più di qualche dubbio su un’opera che, più in generale, è un concentrato di assurdità, incongruenze e paradossi. A partire già dal nome stesso (“QuakeLab Center Vettore”), visto che si fa riferimento al Vettore che non c’entra nulla con la struttura che dovrebbe sorgere sulla collina di Capodipiano e che, semmai, è più vicina al monte Ascensione che al Vettore.
Ma quello del nome in realtà è il problema minore, ben altri e ben più concreti e (a nostro avviso) assolutamente condivisibili i dubbi che il progetto solleva. A partire dai promotori del progetto e da chi dovrebbe coordinarlo. Compito quest’ultimo affidato dalla Regione ad una fondazione privata, l’Istituto Adriano Olivetti –Istao, all’interno della quale sono presenti politici (l’ex assessore regionale Marcolini, il sindaco di Ascoli Castelli), imprenditori (Guzzini, Clementoni, Brizioli) e grandi gruppi (Banca d’Italia, Ubi Banca Spa, la Politecnica delle Marche).
Quanto alla società capofila e promotrice del progetto, la Genera Scarl, è la stessa che era a capo del progetto di riurbanizzazione della zona dell’ex Carbon di Ascoli. Solo che allora sosteneva, ovviamente per giustificare e dare forza al proprio progetto, che un polo tecnicologico “è inimmaginabile senza la città intorno”. Evidentemente, però, in questi anni deve aver radicalmente cambiato idea. Altrimenti non si spiegherebbe la scelta di un’area agricola che, guarda il caso, da anni è oggetto degli appetiti di chi vuole cementificare (che si è sempre scontrato con l’avversione della popolazione residente).
Rispetto a quei tentativi, però, ora stiamo parlando di qualcosa di ben altre e maggiori dimensioni, con la concreta ipotesi di un cantiere che durerà anni, con tutti i disagi e le conseguenze che ciò comporterebbe per i residenti di Venarotta, Roccafluvione e delle frazioni. Disagi che finirebbero per accentuare un ulteriore paradosso, cioè la cementificazione di un’area rurale di pregio nella provincia delle fabbriche vuote.
Infatti a pochissimi chilometri da quella zona (meno di 10) c’è la zona industriale di Ascoli, con le infinità di fabbriche abbandonate, a disposizione e facilmente raggiunte (a differenza di Capodipiano) da infrastrutture primarie (superstrada e ferrovia). Particolare non irrilevante, visto che secondo gli stessi promotori il progetto, a pieno regime, accoglierà “flotte di autobus” che dovranno percorrere 16 km di curve su una strada provinciale stretta e scomoda.
Si potrebbe proseguire a lungo sulle tante incongruenze del progetto. E’, però, qui importante ricordare come la programmazione europea, nella quale rientra il Por-Fers dal quale arrivano i fondi per l’iniziativa, si fa portavoce di una politica basata sul coinvolgimento delle comunità locali, sulla collaborazione con tutti gli attori del territorio. Che, però, in questo caso non si sono minimamente visti.
“La proposta di ambientalisti, studiosi e attivisti a sindaci, istituzioni locali e associazioni del territorio sarà ripensare alla modalità di assegnazione dei fondi per la montagna picena: non grandi opere, cementificazione e modelli di sviluppo nati vecchi, ma piccoli interventi di ricucitura per il territorio ferito dal sisma” si legge infine nel comunicato stampa.
Esattamente l’opposto di quello che si vuole fare con la discutibile operazione del QuackLab Center.