Cambiano i suonatori ma la musica è sempre la stessa, chi ha il potere tenta in tutti i modi di porre limiti ed ostacoli alla libertà di stampa e di espressione. Per fortuna il nostro paese ha ancora i giusti anticorpi per frenare questa deriva. Come dimostra il caso Piunti-Primavera
E’ innegabile che non sia un momento facile, per usare un eufemismo, per la libertà di espressione, in Italia e nel resto del mondo. Nei giorni scorsi la drammatica storia di Viktoria Marinova, la giornalista bulgara violentata e uccisa, si sospetta per i suoi pungenti e accurati articoli investigativi. Solo qualche giorno prima era stata la volta del giornalista saudita dissidente Jamal Khashoggi, sparito il 2 ottobre nel consolato di Istanbul e, secondo quando si apprende da fonti statunitensi, assassinato “per ordine dei più alti livelli della corte reale”.
Nel corso del 2018 decine di giornalisti sono stati uccisi nel mondo e più in generale anche in Europa si respira una bruttissima aria. Senza parlare della Russia di Putin, nella quale negli anni è stata messa in atto una sorta di pulizia etnica nei confronti dei giornalisti “dissidenti”, non è certo molto migliore la situazione nella Turchia di Erdogan. Segnali preoccupanti arrivano anche dall’Ungheria di Orban (così amato da Salvini, chissà perché…) e dalla Polonia.
Purtroppo l’aria non è delle migliori neppure nel nostro paese, naturalmente con le dovute proporzioni (nulla a che vedere, neppure lontanamente, con gli esempi citati). Non che sia una novità, la “libertà di stampa” e la “libertà di espressione” sono principi considerati sacri fino a che si è all’opposizione. Poi, una volta conquistato il potere, nei confronti dei giornalisti “non allineati” ci si comporta esattamente (in qualche caso anche peggio) allo stesso modo di chi prima si criticava e si accusava di “attentare” alla libertà di stampa. Che non era in grave pericolo prima nel nostro paese e non lo è neppure adesso.
Semplicemente chi ha il potere (che sia a livello locale o a livello centrale) non riesce a sopportare l’idea che ci sia chi non si “allinea”, chi non sposa a prescindere il racconto del “va tutto bene”, chi sostanzialmente continua a fare il proprio mestiere, che è quello di informare, approfondire e raccontare i fatti. E’ fuor di dubbio che chi c’è ora, così come chi li ha preceduti, se potesse metterebbe volentieri a tacere le voci discordi, chi si permette di approfondire e smascherare le eventuali bugie (emblematica, a tal proposito, la dichiarazione di Di Maio che, nelle polemiche scatenate nei giorni scorsi per le sue affermazioni sull’Espresso e Repubblica, con rammarico afferma “io non ho neppure il potere di negare il diritto di critica”…).
E’ la tipica “spocchia” di chi raggiunge il potere, di chi sa di avere il seguito e il consenso di una buona parte dell’opinione pubblica e non riesce a sopportare che ci sia chi invece non si lascia incantare e non si lascia sedurre dalle sirene e dal fascino del “più forte”. Con tutti i difetti e i limiti strutturali che ha questo paese, di certo ancora ha i giusti anticorpi per far si che l’irresistibile voglia di censura che puntualmente assale chi si trova a governare il paese (o le altre istituzioni locali) non sfoci poi concretamente in una vera e propria limitazione della libertà di stampa e di espressione.
Anche se poi si tenta in ogni modo di porre limiti o quanto meno ostacoli per rendere questo esercizio fondamentale per la vita democratica il più difficoltoso possibile.
In tal senso un’ottima notizia è arrivata nella giornata di ieri (martedì 9 ottobre) dal Tribunale di Ascoli. Che ha assolto l’ex consigliere comunale di Rifondazione Comunista Daniele Primavera denunciato dal sindaco di San Benedetto Pasqualino Piunti e accusato di diffamazione e sostituzione di persona. La vicenda risale all’estate 2017, esattamente a giugno, quando Primavera nella pagina satirica “Piunti sindaco” aveva pubblicato un simpatico fontomontaggio in cui ironicamente si celebrava l’unione civile del sindaco di Ascoli Guido Castelli con quello di San Benedetto Pasqualino Piunti.
“In quel giorno – raccontava Primavera – c’erano due notizie, una sulle unioni civili a San Benedetto, l’altra relativa ad una frase del sindaco Piunti che affermava che occorreva unirsi ad Ascoli per una serie di iniziative”. Sulla sua pagina facebook satirica “Pasqualino Piunti, sindaco e cantante” l’esponente di Rifondazione sintetizzava ironicamente le due notizie con un fotomontaggio che vedeva il primo cittadino sambenedettese e il sindaco di Ascoli Castelli vestiti a festa che celebrano la loro singolare unione come, appunto, due novelli sposi.
Un post evidentemente satirico che è davvero difficile considerare diffamatorio. Anche perché si potrebbe poi approfondire ulteriormente e discutere sul perché possa essere considerato così offensivo simulare ironicamente qualcosa che comunque è assolutamente legittimo perché previsto dalla legge, visto che dal 2016 le unioni civili sono previste dal nostro ordinamento. Eppure il sindaco di San Benedetto Piunti aveva istintivamente reagito querelando per diffamazione l’esponente di Rifondazione Comunista, non ritenendo opportuno neppure a mente fredda fare marcia indietro.
Quel che è peggio, però, è che il pm e il tribunale, invece di archiviare la denuncia, hanno deciso di portare a giudizio l’autore di quel post. Una decisione preoccupante che poteva rappresentare un pericolosissimo precedente e che rischiava seriamente di spostare, e non di poco, il limite della libertà di espressione, della libertà di pensiero.
Non siamo tra quelli che pensano che un giornalista o anche un libero cittadino possano sempre scrivere (negli articoli ma anche sui social) qualsiasi cosa, che una querela per diffamazione sia a prescindere un attentato alla libertà di espressione. Che, soprattutto per chi fa questo mestiere, è ovvio che sia considerata “sacra”. Perché la libertà di espressione e di pensiero non possono certo significare libertà di offendere e di diffamare.
Per questo riteniamo più che legittimo che chi si sente in qualche modo ingiustamente e immotivatamente accusato di qualcosa che non ritiene di aver commesso o, ancora più, chi si sente oggetto non di critiche ma di offese personali abbia tutto il diritto di tutelarsi. Semmai il problema è che si dovrebbero comunque prevedere delle norme più stringenti, che prevedano delle tutele per chi è querelato senza ragione, solo per una sorta di intimidazione psicologica, per evitare appunto che la querela diventi non un giusto tentativo di tutelare la propria reputazione ma una sorta di mezzo di pressione.
Ma il discorso sarebbe lungo e complesso e non è questa la sede per portarlo avanti. Ci preme invece in questo ambito sottolineare che, fatto salvo il concetto precedentemente espresso, non possiamo non essere perplessi di fronte al fatto che in questo caso c’era il rischio di compiere un passo ulteriore e di colpire un campo, quello della satira, che fino ad ora non era quasi mai stato toccato. Il passaggio non è assolutamente da sottovalutare perché se si applicasse ovunque questo metro di giudizio davvero si rischierebbe di porre dei limiti, dei paletti insopportabili e inaccettabili alla satira stessa.
Pensiamo alla maggior parte di vignette di un certo tipo che ormai si trovano sulle prime pagine di tutti i principali giornali ma anche ad alcune trasmissioni tv che, secondo questo metro di giudizio, rischierebbero allora di dover chiudere. Per questo non possiamo che salutare con favore la sentenza del Tribunale di Ascoli, firmata dal giudice Barbara Bondi Ciutti, che ha assolto Daniele Primavera e condannato il Comune di San Benedetto ad accollarsi le spese processuali che ammontano a circa 5 mila euro (e si aggiungono ai quasi 800 euro già spesi per la denuncia). Tutto è bene quel che finisce bene, quindi.
Con un’unica nota dolente che testimonia anche la visione distorta che per certi versi si continua ad avere riguardo le cariche pubbliche. Nel senso che la querela è stata presentata dal sindaco di San Benedetto non a titolo personale ma a nome dell’ente che rappresenta, cioè il Comune. In altre parole per Piunti quel fotomontaggio avrebbe offeso e diffamato non la sua persona ma l’amministrazione comunale.
Un’interpretazione imbarazzante ma, allo stesso tempo, decisamente furbesca. Perché, così come è accaduto, in tal modo le spese in caso di esito negativo le pagano i cittadini sambenedettesi, non il sindaco stesso. Inaccettabile.