Quasi 2 milioni e mezzo di euro per uffici stampa e portavoce del presidente del Consiglio, dei due vicepremier e dei ministri. Ben 6 milioni di euro per l’esercito di consulenti, collaboratori e consiglieri Mai prima d’ora alcun governo aveva speso così tanto…
Non c’è solo Rocco Casalino, con il suo mega stipendio da 169 mila euro. Un vero e proprio esercito di giornalisti, addetti stampa, portavoce, esperti in comunicazione e in social media ha invaso Palazzo Chigi e i vari ministeri dal giugno scorso, dall’insediamento del nuovo governo giallo-verde. Sarebbe sin troppo facile e per certi versi scontato sottolineare che per il nuovo esecutivo il racconto, più meno aderente alla realtà, di ciò che avviene o di ciò che dovrebbe avvenire è uno degli aspetti più importanti, forse quello fondamentale dell’azione di governo.Quel che è certo, però, è che mai prima d’ora era accaduto qualcosa del genere.
Nessun governo della Repubblica, neppure quelli presieduti da Silvio Berlusconi (che pure ha sempre considerato fondamentale la comunicazione), ha mai speso così tanto per quella che, almeno fino a qualche mese fa, polemicamente proprio il M5S definiva “l’informazione di regime”. Anzi, il confronto con i governi precedenti non è neppure proponibile, tanto è marcata la differenza e tanto evidente è l’aumento della spesa. Che, non sarebbe neppure il caso di ribadirlo, ovviamente grava sui cittadini italiani.
Lo stipendio del portavoce da “eccesso” a “giusta ricompensa”
Nonostante manchino all’appello i dati di tre ministeri (perché non resi noto e non pubblicati), l’esercito di portavoce e addetti stampa del nuovo governo ci costa circa 2 milioni e mezzo di euro, quasi un milione di euro in più rispetto al governo Gentiloni, poco meno di un milione in più rispetto al governo Renzi. E, ovviamente, l’aumento sarebbe sicuramente più consistente con i dati di quei tre ministeri che mancano. “Uno scandalo” gridava qualche anno fa proprio il M5S di fronte allo stipendio di 169 mila di Filippo Sensi, portavoce del governo Renzi.
“Non conoscono vergogna” scriveva uno dei blog dei “grillini” quando l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, dopo gli iniziali tagli, decideva di portare da 4 a 7 lo staff dell’ufficio stampa del governo, facendo lievitare il costo da 335 mila a 605 mila euro.
“E’ uno schiaffo agli italiani, costretti a pagare la propaganda del presidente del Consiglio e del suo governo – scriveva ancora quel sito del M5S – che non si esaurisce con quei 600 mila euro perché, considerando anche i portavoce dei vari ministri, arriviamo quasi ad un milione e mezzo di euro. Uno scandalo”.
Peccato che ora lo “schiaffo” è diventato un vero e proprio “cazzotto” e che lo scandalo abbia raggiunto livelli a dir poco clamorosi. Con i ruoli che si sono capovolti nel sempre più insulso teatrino politico italiano, con chi allora gridava allo scandalo che addirittura riesce nella difficile impresa di far peggio di chi li ha preceduti (che, a loro volta, fingono di scandalizzarsi per comportamenti comunque simili a quelli da loro stessi tenuti).
“Una commedia a due battute – commenta Enrico Mentana – che va in scena ogni giorno con lo stesso canovaccio. Cambia solo, di volta in volta, l’oggetto del dialogo. Dal Pd si protesta per un decreto/una nomina/uno stipendio. Dal governo si ribatte che è lo stesso tipo di decreto/nomina/stipendio dei tempi in cui governava chi oggi contesta. Sipario. Tifosi delle due parti in contrapposto visibilio. Il resto degli spettatori si chiede: ma che modo è di fare opposizione, contestando quel che tua hai fatto fino a ieri? E che governo del cambiamento è, se ti vanti di fare come quelli che governavano fino a ieri?”.
Quel che è singolare è che, almeno da questo punto di vista, non solo non c’è il cambiamento promesso ma, addirittura, c’è un evidente peggioramento della situazione. Come detto il portavoce del presidente del Consiglio, l’ex gieffino Rocco Casalino, ha lo stesso criticatissimo mega stipendio (169 mila euro) del portavoce di Renzi, Filippo Sensi. Solo che quello che allora era considerato un eccesso ora è considerato “un giusto riconoscimento” (parola di Di Maio).
La moltiplicazione degli uffici stampa
Ma se lo stipendio del portavoce è identico ad allora, complessivamente l’ufficio stampa del premier Conte con i suoi 662 mila euro costa più di quelli di Renzi (605 mila euro), Gentiloni (525 mila euro) e Letta (629 mila euro). La differenza rispetto a tutti i governi precedenti, però, è che anche i due vicepremier, Salvini e Di Maio, hanno un proprio ufficio stampa.
Conseguenza dell’accordo “innaturale” tra due forze che, al di là delle apparenze e delle convenienze momentanee, si sono sempre combattute ed evidentemente si fidano poco o nulla l’una dell’altra. Una diffidenza che ha determinato l’insolita situazione che vede anche i due vicepresidenti avere un proprio ufficio stampa, con costi e stipendi non di molto inferiori rispetto a quello del presidente del Consiglio. Il responsabile della comunicazione per Di Maio, Pietro Dettori, ha infatti uno stipendio annuo di 130 mila euro.
Sotto i 100 mila euro (90 mila euro), invece, Matteo Pandini, capo ufficio stampa di Matteo Salvini. Che, però, tra le sue fila ha anche un consigliere per la comunicazione, Luca Morisi, che costa agli italiani ulteriori 65 mila euro, oltre ad una serie di collaboratori, tra cui anche il figlio Leonardo dell’ormai prossimo presidente della Rai Marcello Foa. Non sono da meno neppure i ministri dell’attuale governo, ognuno dotato di un proprio personale portavoce o di un nutrito ufficio stampa. Quello del ministro degli esteri Moavero, con 4 addetti, costa 140 mila euro all’anno. Stessa cifra costa il portavoce del ministro Toninelli, poco meno (120 mila euro) quello del ministero della giustizia Alfonso Bonafede.
Addirittura il ministro dell’ambiente Sergio Costa ha un portavoce ed un capo ufficio stampa, per una spesa complessiva di 163 mila euro. Il ministro della salute Giulia Grillo, invece, ha voluto per se un esperto in comunicazione e social media e un esperto in materia di comunicazione sanitaria e rapporti con i media.
Va, per altro, sottolineato che in realtà ogni ministero ha da sempre un proprio ufficio stampa “istituzionale” con giornalisti e addetti che ovviamente non sono legati al ministro di turno. La comunicazione istituzionale sarebbe, quindi, ugualmente garantita, mentre il portavoce del presidente del Consiglio e l’ufficio stampa del governo dovrebbero essere più che sufficienti per informare correttamente (anche se, ovviamente, con una visione di parte) sull’attività dell’esecutivo.
La realtà è che, più che informare, la necessità è quella di curare una sorta di “culto della persona”, c’è l’esigenza di promuovere più che l’attività di governo l’immagine di questo o quel politico chiamato a rivestire il ruolo di ministro. E’ così da tempo, non è certo una “moda” che è iniziata con questo governo. Però forse qualcuno si era illuso e aveva creduto, visti gli “anatemi” del passato, che il cambiamento sarebbe iniziato proprio da qui.
Un esercito di collaboratori e consulenti
In realtà, alla faccia della sbandierata campagna contro i costi della politica, fino ad ora il governo giallo-verde li sta facendo lievitare e non di poco. Già con la semplice composizione dell’esecutivo. Che, per altro, deve ancora essere completata ma che già ora tra presidente, vicepresidenti, ministri, viceministri e sottosegretari è composto da 68 persone, rispetto alle 63 del precedente governo Gentiloni. Ma ad accrescere a dismisura quello che è a tutti gli effetti un vero e proprio esercito (e, di conseguenza, i costi per i cittadini italiani) è l’imponente e costosissima schiera di collaboratori, consulenti e “incaricati” che dalla nascita del nuovo governo stanno affollando Palazzo Chigi e i vari ministeri.
Non solo portavoce e addetti stampa ma collaboratori di ogni genere (quelli che tecnicamente rientrano nella voce “di diretta collaborazione del ministro”). Anche in questo caso in passato i due partiti che attualmente compongono l’esecutivo avevano lanciato strali pesantissimi (e in parte condivisibili) contro quelli che venivano definiti “inaccettabili sprechi”. Ora, però, si stanno comportando decisamente peggio di chi li ha preceduti. Premesso che mancano (perché non pubblicati) i dati di ben 4 ministeri (economia, lavoro, sviluppo economico e istruzione), il confronto con i precedenti governi è clamorosamente impietoso.
Parliamo complessivamente di circa 150 tra consulenti e collaboratori, per un costo complessivo annuale di circa 6 milioni di euro, superiore di mezzo milione di euro rispetto al governo precedente. In realtà il divario, l’aumento di spesa è molto più consistente perché per una ventina di collaboratori e consulenti non sono state rese note le rispettive indennità annue (in qualche caso intorno ai 100 mila euro annui), mentre per un’altra decina di collaboratori è stata indicata solo l’indennità per i prossimi 6 mesi (ma con già la certezza che poi, per il nuovo anno, si provvederà al rinnovo). Al ministro della giustizia Bonafede il primato per il maggior numero di collaboratori (15).
Uno in meno, ma con una spesa record di 880 mila euro, per il ministro dell’ambiente Sergio Costa. Che, però, è l’unico insieme al ministro per la salute Grillo ad aver diminuito, rispetto al precedente ministro, il numero di collaboratori (e la conseguente spesa). Come al solito non mancano incarichi per così dire “originali”. In tal senso spicca per originalità il ministro dei beni culturali (Alberto Bonisoli) che si è dotato di un collaboratore per “la realizzazione di una cultura diffusa tra centro e periferie, tra città, comunità e territori”, un altro per “i progetti inerenti la gestione complessa del patrimonio culturale” ed uno per “la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale della regione Siciliana” (e le altre regioni?). In altre parole nulla di nuovo, tutto già ampiamente visto.
Perché ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che, almeno da questo punto di vista, in questo paese possono anche cambiare i suonatori. Ma, purtroppo, la musica resta sempre la stessa…