Giustizia e “casta”, quando la legge non è uguale per tutti…


La vergognosa vicenda dei 49 milioni di euro della Lega ma anche il congelamento del procedimento nei confronti del padre di Alessandro Di Battista confermano ancora una volta che nel nostro paese la legge tutto è tranne che “uguale per tutti”…

Sicuramente, è giusto ammetterlo per onestà, siamo ancora condizionati dalle shoccanti immagini del film “Sulla mia pelle” (sugli ultimi 7 giorni di Stefano Cucchi), da quelle sequenze che mostrano ciò che accaduto nell’aula del tribunale di Roma nell’udienza per la convalida dell’arresto di Cucchi.

Quel giudice e quel pm che si interessano di cavilli giudiziari ma fingono di non vedere le condizioni in cui si trova il ragazzo che non riesce neanche a parlare (e lo dice pure, senza che nessuno neppure si degni di chiedergli come mai), che non si fanno scrupoli di infierire su una persona debole e in difficoltà ma si guardano bene di mostrare lo stesso puntiglio nei confronti dei rappresentanti delle istituzioni.

Se già avevamo una pessima opinione della giustizia italiana (intesa come sistema giudiziario nel suo complesso), quelle immagini inevitabilmente ce l’hanno rafforzata. Soprattutto ci hanno rafforzato la convinzione che quella frase che campeggia su tutti i tribunali italiani (“la legge è uguale per tutti”) è una solenne fregatura.

Nel nostro paese la legge tutto è meno che “uguale per tutti”, ci sono i fortunati membri di una casta esclusiva che hanno un trattamento di favore, poi ci sono i cittadini comuni, quelli di serie B nei confronti dei quali la legge, la giustizia italiana è sempre così inflessibile (ci sarebbero anche i cittadini di serie C contro i quali addirittura la nostra giustizia e gli apparati che la compongono puntualmente si accaniscono…). Nulla di nuovo, è così da sempre. Solo che qualcuno si era illuso (o meglio era stato illuso) che qualcosa stesse cambiando.

Le vicende di questi giorni hanno spazzato via quell’illusione, parliamo soprattutto della scandalosa e vergognosa (anche per tutto ciò che gli sta ruotando intorno) vicenda della truffa da 49 milioni di euro della Lega ma anche della meno pubblicizzata storia del procedimento contro il padre di Alessandro Di Battista che è fermo da mesi perché il ministro della giustizia (il grillino Bonafede, guarda il caso un compagno di partito di Di Battista) non concede l’autorizzazione per procedere.

La vicenda risale al periodo delle consultazioni per la formazione del nuovo governo e, in particolare, al momento in cui il presidente della Repubblica Mattarella, sulla base delle prerogative concessegli dalla Costituzione, aveva posto il veto su Savona. Come ormai è triste tradizione di queste tempi, sui social si erano scatenati gli “haters” ed erano volati anche insulti e pesante minacce (con ignobili riferimenti al fratello ucciso dalla mafia).

Tra i protagonisti di questo indegno e indecente spettacolino anche il padre di Alessandro Di Battista, con tanto di riferimenti minacciosi nei confronti del presidente stesso. Un paio di mesi dopo le Procure di Palermo e di Roma, in seguito alle segnalazioni della polizia postale, hanno avviato le indagini sulle minacce via facebook contro il presidente, denunciando una quarantina di persone, tra cui anche Vittorio Di Battista.

La bizzarra normativa italiana (in particolare il codice penale), però, prevede che per questo genere di reati sia necessario il via libera del Guardiasigilli per portare avanti il procedimento. Che, per 39 cittadini “normali”, tutti senza legami parentali “importanti”, sta regolarmente procedendo. Per il padre dell’ex deputato e figura di spicco del M5S, invece, l’indagine è ferma perché dopo oltre 3 mesi non è arrivato l’atteso via libera da parte del ministro della giustizia. Che, quindi, fino ad ora non ha autorizzato l’indagine della Procura di Roma che, se non ci saranno a breve fatti nuovi, rischia di chiudersi definitivamente.

Magari sarà solo una dimenticanza, però come ripeteva sempre Andreotti “a pensar male si fa peccato ma quasi sempre si azzecca”! C’è poco da pensar male, perché tutto terribilmente chiaro ed inequivocabile, riguardo, invece, la vicenda che ha coinvolto la Lega. Che è scritto a chiare lettere nelle sentenze, ha truffato lo Stato ottenendo rimborsi elettorali di cui non aveva diritto e, di conseguenza, deve restituire 49 milioni di euro ma potrà farlo con tutta calma, praticamente in 80 anni. Una farsa, un’inaccettabile vergogna, un trattamento che non si può definire neppure di favore, è la resa del nostro sistema giudiziario di fronte a chi in questo momento rappresenta più di ogni altro la cosiddetta “casta”.

Il tutto mentre in questi anni abbiamo spesso assistito a prove di forza di quello stesso sistema contro ben più deboli ed indifesi cittadini, che per qualche centinaio o per poche migliaia di euro non pagate si sono visti sequestrare e confiscare di tutto, anche la casa stessa. In una vicenda già di per se così sconfortante, ci sono poi alcuni aspetti che rendono il tutto ancora più insopportabile.

Parliamo innanzitutto dell’insopportabile “spocchia” con la quale i vertici della Lega commentano questa indecenza. Salvini, furbescamente, tace, anche perché la rete (per questo implacabile) gli ha subito ricordato quando (era il marzo 2005), insieme al suo partito, protestava e urlava furiosamente contro la decisione dell’Agenzia delle entrate che aveva concesso alla Lazio di Lotito la dilazione del debito di 140 milioni con il fisco (a differenza di ora, però, l’accordo prevedeva l’estinzione del debito in 23 anni, non in 80…).

Nessuno sconto ai signori del pallone” recitava lo striscione esposto proprio dallo stesso Salvini. Che ora, però, dopo aver fatto la “faccia cattiva” e aver interpretato la parte di chi si sentiva in qualche modo vittima, ha portato a casa un accordo molto più vergognoso di quello ottenuto da Lotito. E se, con quel pizzico di decenza che gli è rimasto, il leader del Carroccio si guarda bene dal proferire parola, i suoi scudieri, non paghi dell’indecenza, non si fanno alcuno scrupolo di infierire, di prendere in giro gli italiani. Come ha fatto il tesoriere della Lega, Giulio Centemero.

Troppi 80 anni? Tanto noi siamo immortali. Comunque non c’è nessuno scandalo, i giudici hanno solo applicato l’art. 49 della Costituzione” ha affermato Centemero. Rispetto al quale siamo sicuramente degli inesperti “pivelli”, anche perché non abbiamo mai provato l’ebbrezza di far parte di un partito o di un’associazione che ha truffato per 49 milioni di euro allo Stato. E, per giunta, a differenza sua non siamo immortali e, quindi, pur volendoci illudere sappiamo bene che non vivremo così a lungo per vedere restituito il maltolto (Centemero, invece, di anni ne avrà 118, pochi per chi come lui è immortale…).

Però, molto modestamente, la Costituzione la conosciamo bene e siamo anche in grado di comprendere il significato dei principali articoli che la compongono. Almeno quel tanto per non avere dubbi che il citato art. 49 non ha alcuna attinenza con questa vicenda. “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico per determinare la politica nazionale” recita infatti quell’articolo della Costituzione.

Che, con la vicenda della Lega, ha in comune solo il numero 49, proprio come i milioni da restituire. Se è difficile accettare il sarcasmo di Centemero, è praticamente impossibile comprendere la benevolenza con cui molti di quelli che fino a qualche mese fa parlavano di onestà e di “repubblica dei cittadini”, facendo intendere di voler eliminare non solo i privilegi ma anche e soprattutto il concetto di casta. Che invece viene esaltato ai massimi livelli da questa vicenda che conferma anche come l’onestà non abita certo in questo paese.

Il silenzio di quegli improbabili “paladini” dell’onestà (o, addirittura, il patetico tentativo di trovare appigli e giustificazioni) è a dir poco emblematico. Non vale, invece, neppure la pena spendere due parole sull’atteggiamento di sottomissione, purtroppo tipico, a prescindere da chi sia “il padrone”, di gran parte dell’informazione italiana, salvo rarissime eccezioni.

Tutti a correre in soccorso ai nuovi padroni, praticamente nessuno che ha provato a chiedersi come mai, dopo aver assunto per mesi i panni della vittima di questa situazione, in realtà poi Salvini si sia così rapidamente prodigato per trovare subito una soluzione. Eppure la spiegazione è semplicissima, il leader della Lega sapeva benissimo di essere in torto e, dopo aver approfittato per fare un po’ di propaganda (vestendo gli improbabili panni della vittima), ha ottenuto quello che voleva.

Un trattamento di favore di quelli tipicamente riservato ai rappresentanti (vecchi e nuovi) della casta, evitando così anche il rischio di intrusioni investigative nei conti di partito e, soprattutto, in quelli di associazioni e fondazioni legate al suo cerchio magico.

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