L’11 settembre scorso scadeva il mandato del commissario straordinario per la ricostruzione. Ma in quasi 4 mesi il nuovo governo non è riuscito a trovare un sostituto. E l’inaccettabile stallo riguarda anche altri importanti decisioni, non solo in tema di terremoto
Se è vero, come sostenava il filosofo e saggista tedesco Gotthold Ephraim Lessing, che “l’attesa del piacere è essa stessa il piacere”, a giudicare dai suoi primi mesi di vita con il nuovo governo giallo-verde si rischia una vera e propria abbuffata di “piacere”. L’attesa, il costante rimandare “a dopo” le decisioni e i provvedimenti importanti e cruciali sono per il momento il tratto distintivo dell’esecutivo. E non solo sulle più importanti e impegnative promesse elettorali (flat tax, reddito di cittadinanza, rimpatri, legge Fornero) per le quali, visto l’impatto economico (per le casse dello Stato) che produrrebbero, è comprensibile che si proceda con cautela.
Anche quelli che, secondo le promesse elettorali, dovevano essere i primi simbolici provvedimenti non sono stati attuati e sono in lista di attesa. Parliamo, ad esempio, del taglio degli stipendi parlamentari che, a pochi giorni dalle elezioni del 4 marzo, il candidato premier del M5S Di Maio annunciava che sarebbe stato argomento del primo decreto del futuro governo. O anche del taglio delle accise dei carburanti, le 7 accise che in campagna elettorale Salvini aveva promesso di tagliare al primo Consiglio dei ministri in modo da far diminuire il prezzo della benzina (che invece è salito).
Poco male anche in questo caso, al di là del mancato rispetto delle promesse elettorali (non certo una novità nella storia politica del nostro paese). Ci sarà il tempo, almeno si spera, per approvare quei provvedimenti nei prossimi mesi (del taglio delle accise si è tornato a parlare in questi giorni, ipotizzando che possa essere inserito nella prossima finanziaria). Il problema vero, però, è che questo attendismo, questo rimandare i provvedimenti importanti “a dopo” viene attuato anche in vicende nelle quali il fattore tempo è fondamentale e che, invece, avrebbero bisogno di interventi immediati.
Parliamo, in particolare, dell’emergenza per il crollo del ponte di Genova e, ancor più, del sempre più problematico post terremoto nel centro Italia. In tal senso sin troppo emblematico il decreto Genova licenziato venerdì 14 settembre dal Consiglio dei ministri con la formula “salvo intese” che è già tutto un programma. Perché significa che c’è il decreto ma non c’è il testo concordato nel dettaglio che verrà definito successivamente dal confronto e dal lavoro tra i capi gabinetto. Una sorta di guscio vuoto, tutto ancora da riempire e, soprattutto, che non si occupa (e quindi rinvia) quelli che in realtà sono i nodi fondamentali del post Genova: chi sarà il commissario straordinario, quali poteri avrà, a chi saranno affidati i lavori per la ricostruzione del ponte (direttamente a Fincantieri o attraverso selezione con almeno 5 candidati?), se Autostrade per l’Italia sarà completamente esclusa dalla ricostruzione o no.
Sui punti più importanti il governo ancora una volta decide di rinviare, quelle che sono le scelte fondamentali in questa vicenda vengono differite e verranno prese solo dopo l’approvazione del testo finale del decreto legge (i cui contenuti sono ancora da scrivere) con un successivo decreto del presidente del Consiglio.
Nei giorni del crollo, quando ancora si lottava per cercare eventuali superstiti o per il triste recupero delle vittime, Conte, Di Maio e Salvini avevano assicurato in coro che avrebbero fatto prestissimo, che avrebbero preso subito le decisioni fondamentali per la ripartenza e la ricostruzione. Invece i tempi si allungano e non di poco, secondo voci perché non si riesce a trovare un punto di incontro tra le due forze che compongono il governo.
Come sempre non ci piace e non ci sembra corretto basarci su voci e indiscrezioni. Il dato concreto, però, è che per ora, quale che sia la ragione, si è deciso di non decidere. Le perplessità per questo incomprensibile attendismo per la situazione a Genova, diventano indignazione e rabbia per lo stesso inaccettabile comportamento per quanto riguarda il terremoto del centro Italia. Perché in questo caso c’è l’aggravante, non di poco conto, che sono trascorsi 2 anni dalla prima drammatica scossa del 24 agosto e la situazione, per chi è in quelle zone, diventa giorno dopo giorno sempre più insostenibile e sconfortante.
Anche in questo caso in campagna elettorale si erano sprecate le promesse e le rassicurazioni da parte dei partiti che ora compongono il governo. Come purtroppo sempre accade (almeno nel nostro paese), “passata la festa, gabbato lo santo”. Sin dall’inizio, dal momento della lunga e laboriosa predisposizione del contratto di governo (nella prima stesura neppure si parlava di terremoto, poi dopo le proteste e le polemiche sono state aggiunte 11 righe che più generiche non si poteva), i segnali non erano stati incoraggianti. E con il passare del tempo la situazione non è certo migliorata.
Si continua a rinviare, a differire decisioni importanti con ogni genere di giustificazione. Tanto che mai vorrà essere, per chi aspetta da 2 anni, attendere qualche mese in più… L’11 settembre scorso, ad esempio, è scaduto il mandato del commissario per la ricostruzione Paola De Micheli, scelta dal precedente governo. Il nuovo esecutivo doveva scegliere il suo sostituto ma al momento non ne è stato capace. Una fatto grave, perché non è accettabile che in quasi 4 mesi non si sia riusciti a trovare un nome che metta d’accordo tutti.
Certo, visti i nomi che sono circolati in questi mesi (l’ex sindaco di Amatrice Pirozzi, l’ex responsabile della protezione civile Curcio), non sappiamo quando fondatamente, verrebbe quasi da pensare che forse è stato meglio così. Ironia a parte non è ammissibile questa mancata decisione. Anche perché inevitabilmente la De Micheli, espressione di un governo che non c’è più, in questi mesi non poteva e non può assumere decisioni importanti, dare dei precisi indirizzi, compiti che spetterebbero al nuovo commissario, fedele espressione dell’esecutivo.
Per questo, addirittura, c’era chi, all’interno della maggioranza stessa, aveva ipotizzato una sostituzione della De Micheli prima ancora del termine del suo mandato. Scelta che sarebbe stata quanto mai opportuna, a prescindere dal giudizio sul lavoro svolto dal commissario straordinario (molto apprezzato anche da amministratori e politici della parte avversa, un po’ meno dai “terremotati”).
Invece neppure alla scadenza del suo mandato (11 settembre) si è riusciti a prendere una decisione. Così la De Micheli resta per il momento al suo posto, in attesa che si sblocchi la situazione, con tutto quello che questa situazione di precarietà comporta. Anche perché il governo non segna il passo, per quanto riguarda il terremoto, solo nella scelta del nuovo commissario. Già l’approvazione del primo (e fino ad ora unico) decreto sul terremoto da parte di questo governo aveva provocato non pochi malumori tra i “terremotati”.
In realtà si trattava della conversione in legge del decreto approvato in tutta fretta, a fine maggio, dal dimissionario governo Gentiloni per evitare anche la beffa del termine di alcune importanti agevolazioni. In assenza del nuovo esecutivo (all’epoca ancora da formare), per evitare il peggio il premier dimissionario è intervenuto, non potendo ovviamente adottare provvedimenti di più ampio respiro. Che si pensava, almeno lo pensavano i comitati e le associazioni che rappresentano i terremotati, potessero essere inseriti dal nuovo governo al momento della conversione in legge in Parlamento.
A tal proposito i rappresentanti di comitati e associazioni avevano fatto presente quanto fosse importante per loro che ciò accadesse. Cosa che invece non è accaduta, visto che il decreto è stato poi approvato con pochissime modifiche, respingendo tutti gli emendamenti che andavano nella direzione richiesta da comitato e associazioni del cratere ma anche dai sindaci di quelle zone. Comprensibile la protesta e la delusione che ciò ha poi determinato.
“Neppure un segnale di buona volontà e ascolto è arrivato dal governo la nostra sensazione è che le due forze politiche non siano riuscite a concretizzare quel cambiamento che avevano promesso, per il momento fermo alle parole” commentavano allora i rappresentanti di comitati e associazioni, sottolineando e ribadendo che si attendevano immediate risposte dal governo, a partire proprio dalla nomina del nuovo commissario.
Dovranno aspettare ancora, così come si è in attesa di quei provvedimenti indispensabili e non più differibili (bisogna prorogare la struttura commissariale e rinnovare i contratti per circa 700 persone impiegate a tempo determinato nella ricostruzione, tra comuni e Usr). Arriveranno sicuramente nei prossimi mesi, prima della fine del 2018. Lo ha assicurato il premier Conte e sarebbe delittuoso se ciò non avvenisse.
Certo, però, chi è in quelle condizioni da 2 anni si sarebbe aspettato ben altro tipo di segnale per illudersi e sperare che davvero le cose possano cambiare…