“Voglio correre più veloce della meningite”: al Liceo Scientifico la storia di Andrea Lanfri
Dall’amputazione di entrambe le gambe e di 7 dita delle mani, a causa di una meningite con stepsi meningococcica, alla medaglia d’argento ai mondiali di Londra: il racconto di Andrea Lanfri nell’ambito dell’iniziativa “Lo sport paralimpico: una via di inclusione”
Non capita tutti i giorni di incontrare persone speciali, che con la loro disarmante genuinità in pochi minuti ti inducono lasciano dentro qualcosa di indelebile. A noi e ai ragazzi di alcune classi del Liceo Scientifico “Antonio Orsini” di Ascoli (e al Liceo Artistico “Osvaldo Licini” dove successivamente, nella stessa giornata, è stata riproposta l’iniziativa) questa fortuna è capitata venerdì 13 aprile grazie all’iniziativa “Lo sport paralimpico: una via di inclusione”, promossa e organizzata dalla professoressa Elisabetta Argenziano e sostenuta dalla dirigente scolastica, prof.ssa Nadia Latini. Che ci ha permesso di conoscere e scoprire Andrea Lanfri e la sua storia che, fino a che non abbiamo ascoltato il suo suggestivo racconto, avremmo sicuramente definito “drammatica”.
Perché sembrerebbe impossibile definire in altro modo le vicende che hanno provocato ad un ragazzo neppure trentenne l’amputazione di entrambe le gambe e la perdita di 7 dita. Invece quella che abbiamo ascoltato con straordinaria commozione è una splendida e incoraggiante lezione di vita, che di “drammatico” ha solamente le circostanze che l’hanno generata ma che poi sembra essere davvero un inno alla vita stessa, all’ottimismo anche di fronte alle difficoltà che sembrano più difficili da superare.
Per semplificare potremmo definire Andrea Lanfri la versione maschile di Bebe Vio, la campionessa paralimpica di fioretto che ha “stregato” tutti con la sua simpatia e sua prorompente vitalità. Andrea Lanfri quanto a vitalità e voglia di fare non è certo da meno ma, a differenza della campionessa di fioretto (colpita dalla meningite quando aveva 11 anni), il suo personale dramma l’ha vissuto in età adulta, nel 2015, sulla soglia dei 30 anni (è del 1986).
Prima di conoscere e ascoltare la sua storia, ci ha pensato il prof. Mauro Ficerai, docente di scienze motorie all’Università di Urbino e referente tecnico nazionale Fisdir (Federazione italiana sport disabilità intellettiva e relazionale), ad introdurre la platea di studenti e insegnanti nel mondo dello sport paralimipico. Prima di lui la dirigente scolastica Latini, nel presentare l’iniziativa, ha sottolineato come da anni il Liceo Scientifico Orsini promuova l’educazione alla salute, con tanto di riconoscimento da parte dall’Unesco.
Presente anche l’assessore comunale allo sport Massimiliano Brugni che, dopo aver doverosamente e giustamente ringraziato la dirigente e la scuola per il bellissimo progetto (ringraziamenti meritatissimi…), ha sottolineato come Ascoli ha una bella offerta sportiva per la disabilità, per poi chiudere con una citazione di Papa Giovanni Paolo II (“Non lasciatevi vivere, avete nelle vostre mani un grande tesoro, fatene un grande spettacolo”), rivolta ai ragazzi presenti nell’aula.
Lo sport paralimpico, uno spettacolo unico da un punto di vista umano
E davvero uno spettacolo unico dal punto di vista umano è lo sport paralimpico, almeno così come ce l’ha raccontato e illustrato il prof. Ficerai, con il supporto di alcuni video davvero emozionanti, che ha partecipato anche alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.
“Ho avuto la fortuna di partecipare a questi eventi – ha affermato – umanamente un’esperienza straordinaria. E’ un mondo a cui teniamo in maniera particolare e in grande crescita, lo sport è per loro la possibilità di vita normale. Quando si pensa alla disabilità siamo abituati a vedere quello che manca, ora invece mi sono abituato a vedere quello che hanno in più. Mi sono trovato per caso in questo mondo, nel 2009 con l’Asa mi sono trovato a seguire un ragazzo congolese, che scappava dalla guerra, con disabilità intellettiva. Nel 2011 ha disputato la prima gara mondiale in Svezia, ora ha vinto diversi titoli mondiali ed europei”.
Il prof. Ficerai ha brevemente ricordato la storia dello sport paralimpico, spiegando poi come, per quanto riguarda l’atletica leggera, ci siano due grandi gruppi: il Fisdir e il Fispes, il primo che comprende a sua volta due differenti classi (della disabilità intellettivo – relazionali e della sindrome di Down) e il secondo che riguarda tutte le altre disabilità fisiche e sensoriali.
“Nel 2015 – ha raccontato Ficerai non senza una punta di commozione – ho partecipato in Sudafrica ai mondiali riservati agli atleti con sindrome di Down ed è stata l’esperienza più bella della mia vita a livello umano, sono dei ragazzi fantastici, con un particolare sensibilità e molto affettuosi”. Proprio in quell’occasione è nata quella che poi è diventata la splendida favola di Nicole Orlando, vincitrice nell’occasione di ben 4 ori, la cui tenerissima foto sul podio fu ripresa e pubblicata sul sito dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi e in un attimo divenuta virale. Al punto che poi, nel discorso di fine anno, il presidente della Repubblica Mattarella la citò tra le tre donne che avevano caratterizzato il 2015.
“Per quanto concerne il Fispes la parola chiave è adattamento che significa che per gareggiare o si ricorre all’ausilio di strumenti o ad un accomodamento di carattere regolamentare” ha spiegato il prof. Ficerai che, poi, ha elencato tutte le categorie e le classi del Fispes, concludendo il suo intervento ricordando alcuni degli atleti italiani paralampici più noti (Federica Maspero, Martina Caironi, Roberto la Barbera Simone Manigrasso, Assunta Legnante, Oney Tapia, Raffaele Di Maggio). Tra loro da due anni c’è anche Andrea Lanfri, un 32 enne toscano (di Lucca) che ha visto cambiare la propria vita ad inizio 2015.
“Voglio correre e fare un dispetto alla malattia”
Secondo i nostri tradizionali e superficiali standard fino a venerdì scorso avremmo sicuramente sostenuto che, da quel fatidico gennaio 2015, la sua vita è cambiata in peggio. Dopo averlo ascoltato attentamente ed esserci emozionati e commossi alle sue parole, ci sorge il sospetto che, per quanto assurdo e paradossale possa essere, per certi versi quasi si potrebbe dire che la sua vita è cambiata in meglio.
“Fino a quel fatidico 21 gennaio lavoravo e avevo la passione dell’arrampicata – ha raccontato – poi quella sera sono andato a letto con la febbre alta e la mattina successiva sono entrato in coma. Mi sono risvegliato in ospedale, non sapevo cosa era accaduto”. Andrea è stato colpito da una meningite con sepsi meningococcica che costringe i medici ad operarlo per amputargli entrambe le gambe e 7 dita della mano. Tra Firenze prima e Lucca poi resterà in ospedale per circa 5 mesi.
“Il mio primo pensiero dopo le amputazioni è stato quello di chiedermi come avrei fatto a mangiare – racconta – la mia prima reazione è che mi è venuta voglia di correre. Fino ad allora avevo sempre fatto sport ma non avevo mai corso e non mi piaceva neppure. Da quel momento il mio sogno è diventato quello di correre, un dispetto che volevo fare alla malattia. Appena uscito dall’ospedale sentivo di voler fare qualcosa, avevo la necessità di sfruttare e vivere ogni momento. Ho iniziato subito con il sitting volley, poi con il tennis in carrozzina.
Certi sport prima non immaginavo neppure che esistevano, il tennis in carrozzina ad esempio è molto faticoso. Ma il mio sogno era quello di correre. Non avevo ancora neppure le protesi per camminare e quelle per correre costano tantissimo. Per questo ho avviato una raccolta di fondi on line e in meno di un mese, dal 1 al 26 novembre, ho raccolto più del doppio della cifra necessaria. Così nel gennaio 2016 ho iniziato la mia carriera da atleta. All’inizio era difficilissimo stare anche in piedi poi piano piano ho preso confidenza con le nuove protesi. Ho partecipato ai primi campionati indoor, poi sono arrivati i primi campionati europei nei quali l’obiettivo era riuscire ad arrivare in fondo.
Poi sono riuscito a coronare il sogno di partecipare ai mondiali di Londra (2017). E’ stata un’emozione enorme gareggiare in uno stadio pieno, però prima delle semifinali non volevo entrare, ho sentito il boato dello stadio e mi ero bloccato. E’ stata un’esperienza ed un’emozione fantastica , conclusa splendidamente con l’argento nella staffetta. In tutto questo naturalmente mi è rimasta la passione per l’arrampicata e nel 2017, grazie a delle protesi particolare, ho potuto riprendere ad arrampicare”.
Andrea ha poi mostrato alla platea le differenti protesi che utilizza per la corsa (in pista) e per arrampicare, spiegandone le rispettive caratteristiche. Ha poi risposto alle tante domande che gli hanno rivolto i ragazzi.
“Ovviamente la mia è una storia lunga, ora sembra tutto perfetto ma è un percorso fatto anche di tante batoste – spiega – però a volte penso a quante cose mi sarei perso se quel giorno non mi fossi alzato da quel letto di ospedale. Io alla fine mi sento normale, come prima ma sono una persona che si è arricchita, ho imparato ad apprezzare ciò che mi è rimasto senza perdere troppo tempo a pensare a ciò che ho perso. Ho perso cose materiali che si rimpiazzano facilmente ma ho scoperto tante cose che non si trovano facilmente, ho scoperto un nuovo mondo, tantissime persone con una carica e una voglia di vivere che nella vita di prima nessuno eguagliava”.
Quella straordinaria voglia di vivere che ora lancia Andrea verso nuove sfide in questo 2018. Innanzitutto gli europei di Berlino, poi a fine agosto la conquista della vetta della Cima Grande alle Tre Cime di Laveredo. Ma anche l’intenzione di realizzare (in realtà è già in fase di realizzazione) un docufilm sulla sua esperienza e di pubblicare la sua biografia, dal titolo emblematico: “Voglio correre più veloce della meningite”.
“Vorrei che la mia storia possa essere di esempio per molte persone – conclude – vorrei dare un piccolo aiuto a superare problemi e paure. La cosa più importante è non smettere mai di credere che si può ricominciare, c’è sempre una soluzione anche nei momenti più duri”. Per noi sicuramente lo è stata e, soprattutto, ci porteremo sempre dentro l’esempio e le parole di Andrea.