Parlamentari, che pacchia!


Le elezioni di domenica 4 marzo stabiliranno chi saranno i 945 fortunati (630 deputati e 315 senatori) che, tra indennità e rimborsi, per i prossimi 5 anni guadagneranno fino a 14 mila euro al mese. Senza dimenticare il lauto assegno di fine mandato e la successiva pensione…

Finalmente (perché davvero non ne possiamo più di questa imbarazzante e indecente campagna elettorale) domenica prossima si vota. In ballo c’è molto, innanzitutto chi avrà l’onere e l’onore di governare questo paese (ammesso che dalle urne esca un risultato tale da consentirlo), ma anche il destino di alcuni leader politici (Renzi, Di Maio, Salvini) e di alcuni partiti.

Sarebbe, però, ipocrita negare che in ballo ci sono anche milioni e milioni di euro, quelli che entreranno nelle tasche dei 945 fortunati che verranno eletti ed entreranno in Parlamento alla Camera o al Senato. Probabilmente sarebbe eccessivo pensare che questo sia l’aspetto preponderante ma è innegabile che in chi aspira ad entrare in Parlamento la possibilità di “sistemarsi” economicamente ha certamente una discreta influenza. Anche perché tra stipendio (indennità), rimborsi e tutti i benefit connessi diventare parlamentare dal punto di vista economico equivale davvero a vincere all’Enalotto.

Quello della riduzione dei costi della politica, quindi il taglio delle indennità, le cosiddette “restituzioni”, la “rimborsopoli” sono argomenti molto discussi da sempre, ancora più in questa campagna elettorale. Allora in vista delle elezioni di domenica 4 marzo cerchiamo innanzitutto di capire quanto realmente intascano ogni mesi i nostri parlamentari e quanto ci costano. Partendo dal fatto che, come vedremo, l’indennità vera e propria non è la parte più rilevante del “bottino” dei nostri parlamentari. Ma sottolineando anche che non è sempre stato così, che quello del parlamentare non è sempre stato un “mestiere” (o, se vogliamo essere più romantici, una vocazione) così ben remunerata. In principio l’indennità per i parlamentari non solo non era prevista ma anche solo ipotizzarla era considerato quasi un sacrilegio.

L’art. 50 dello Statuto Albertino recitava testualmente: “Le funzioni di Senatore e Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità”. Addirittura quando il senatore Roncalli propose di introdurre un rimborso per il biglietto del treno per i senatori che risiedevano fuori da Torino, la sua proposta fu sonoramente bocciata “perché servire la Patria è un privilegio per il quale non si deve chiedere nulla in cambio”. Al di là dei concetti di dovere e di privilegio, l’assenza di qualsiasi indennità e rimborso era perfettamente in linea con il concetto elitario della rappresentanza politica, che secondo il convincimento di allora, doveva essere di esclusiva competenza di un determinato ceto sociale.

Una convinzione non scalfita fino al 1900, quando arrivano in Parlamento (per la precisione alla Camera) l’operaio Pietro Chiesa e il contadino Pietro Abbo, con il primo supportato dai portuali che raccoglievano il denaro per mantenerlo a Roma, mentre Abbo (che non aveva denaro sufficiente per pernottare a Roma) usufruiva del cosiddetto “permanente” rilasciato dalle Ferrovie dello Stato (cioè la possibilità di dormire sul treno Roma-Firenze). La prima sorta di indennità parlamentare fu introdotta 12 anni dopo, nel 1912, mascherata da rimborso delle spese di corrispondenza, visto il divieto posto dall’art. 50 dello Statuto.

La Costituzione repubblicana, poi, in linea con quanto previsto da tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato (secondo cui è giusto garantire ai rappresentanti del popolo sovrano un trattamento economico adeguato ad assicurarne l’indipendenza), all’art. 69 ha stabilito che “i membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge”. La norma in questione è la legge n. 1261 del 31 ottobrein cui si sancisce che “l’indennità spettante ai membri del Parlamento per garantire il libero svolgimento del mandato”.

Il trattamento economico dei parlamentari è concepito come condizione dell’esercizio indipendente di una fondamentale funzione costituzionale ma anche come garanzia che tutti i cittadini, a prescindere dal proprio stato sociale, possano permettersi di svolgerla. Concetti assolutamente condivisibili, il problema è che si è decisamente esagerato. Ancora più se si pensa che negli ultimi anni sono stati operati dei tagli e dei ridimensionamenti ma, nonostante ciò, il trattamento economico riservato ai parlamentari resta imbarazzante. Ogni deputato ha, infatti, innanzitutto diritto ad un’indennità mensile lorda pari a 10.435 euro (12 mensilità) che, al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali e fiscali, ammonta a 5.246,54 euro. A cui devono essere sottratte le addizionali regionali e comunali che, ovviamente, variano in base al domicilio del deputato stesso.

In media, quindi, l’importo mensile dell’indennità ammonta a circa 5 mila euro. A cui, però, va aggiunta la cosiddetta diaria, un rimborso spese di soggiorno a Roma, che ammonta a 3.503,11 euro (trattandosi di rimborso ovviamente netti). Va qui evidenziato innanzitutto che mediamente i parlamentari, per lo svolgimento della propria funzione, soon a Roma non più di 20 giorni al mese (spesso molto meno), quindi ciò significa che in pratica ottengono un rimborso pari quasi a 200 euro al giorno. Inoltre la norma prevede una decurtazione della diaria stessa per ogni giorno di assenza dalle sedute in cui si svolgono le votazioni in Assemblea.

Ma la definizione di “assenza” è a dir poco di “manica larga”, visto che basta essere presenti al 30% delle votazioni effettuate in giornata per essere considerati presenti. Oltre alla diaria ogni deputato ha diritto ad un ulteriore rimborso, sempre al netto, quello per le spese per l’esercizio del mandato pari a 3.690 euro. Tale rimborso viene corrisposto per il 50% (1.845 euro) in maniera forfettaria, il restante 50% a titolo di rimborso per specifiche categorie di spesa che devono essere attestate (consulenze, ricerche, gestione dell’ufficio, convegni, ecc.).

Ricordato che usufruiscono di tessere per la libera circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea (quindi viaggiano gratis sul territorio nazionale),  i deputati hanno anche un rimborso spese trimestrale per i trasferimenti dal luogo di residenza all’aeroporto più vicino e tra l’aeroporto di Fiumicino e Montecitorio pari a 3.323,70 (1.107,90 euro al mese) se la distanza da percorrere è fino a 100 km  e a 3.995,10 (1.331,70 euro al mese) se è superiore ai 100 km. Infine ogni deputato ha diritto ad un rimborso delle spese telefoniche pari a 1.200 euro annui (100 euro al mese). Cifre analoghe, pur se con qualche minima variazione, per quanto riguarda il Senato dove l’indennità lorda mensile è leggermente più bassa (10.385,21 euro), mentre la diaria mensile è pari 3.500 euro.

Più consistente è invece il rimborso mensile per l’esercizio del mandato (4.180 euro), mentre i senatori hanno poi diritto ad un rimborso forfettario mensile di 1.650 euro che copre le spese per i trasporti e quelle telefoniche. In pratica, quindi, ogni parlamentare può incassare ogni mese da un minimo di 13.647,55 euro ad un massimo di 14.634,89 euro, senza considerare che poi alcuni “fortunati” possono ulteriormente aumentare i propri introiti con le cosiddette indennità di carica (riservate a chi ha una carica come presidente o vice presidente di commissione, questore, segretario, ecc.). Ai cittadini italiani, però, ogni parlamentare costa mensilmente intorno ai 20 mila euro.

Questo significa che i 950 parlamentari (630 deputati, 315 senatori più i 5 senatori a vita) ci costano ogni mese 19 milioni al mese, quasi 230 milioni all’anno e 1,2 miliardi per l’intera legislatura. Alla luce di questi dati è del tutto evidente che il problema reale non è tanto la misura dell’indennità mensile che spetta ai parlamentari quanto piuttosto i lauti e incomprensibili rimborsi che ammontano a quasi 10 mila euro al mese. Quindi può sicuramente giovare ridurre un po’ l’indennità mensile ma servirebbe una riduzione consistente dei rimborsi, visto che non si può certo fare affidamento sul buon senso dei parlamentari.

Per rendersene conto basta vedere le voci dei rimborsi dei vari parlamentari, tra una serie incredibile di consulenze, pranzi e cene “luculliane”, case in affitto a prezzi fuori mercato, pernottamenti in hotel a 5 stelle (anche ad agosto, quando il Parlamento è chiuso…) e tutto il solito triste corollario. Senza entrare nel merito della polemica politica, ma prendendolo a riferimento perché è l’unico gruppo parlamentare di cui si dispongono i dati completi, il Movimento 5 Stelle nel corso di questa legislatura per i suoi 123 parlamentari ha ottenuto rimborsi spese per quasi 52 milioni di euro, circa 415 mila euro a parlamentare e quasi 90 mila euro all’anno per ognuno di loro. E’ del tutto evidente che siamo di fronte ad un’esagerazione inaccettabile, che questo genere di spesa sia del tutto fuori controllo ed è soprattutto qui che bisognerebbe agire.

Naturalmente c’è poi da evidenziare come le “fortune” dei parlamentari non si esauriscono con indennità, rimborsi, privilegi e benefit. Al termine del mandato ogni parlamentare riceve l’assegno di fine mandato pari all’80% dell’importo mensile lordo dell’indennità, moltiplicato per ogni di mandato effettivo (o frazione non inferiore ai 6 mesi). Questo significa che, se la legislatura arriva a conclusione naturale, un’unica legislatura è sufficiente per ricevere un assegno di fine mandato di oltre 40 mila euro.

Ci sono poi le laute pensioni che aspettano in seguito i nostri parlamentari. Dal 1° gennaio 2012 non c’è più l’istituto dell’assegno vitalizio ma si è passati ad un trattamento pensionistico basato sul sistema di calcolo contributivo (che si applica ai parlamentari eletti dopo quella data). Il diritto alla pensione scatta al compimento dei 65 anni a seguito dell’esercizio del mandato parlamentare per almeno 5 anni effettivi. Per ogni anno di mandato ulteriore l’età di conseguimento del diritto è diminuita di un anno, con il limite dei 60 anni di età.

Quanto all’entità della pensione stessa ovviamente dipende dagli anni di mandato, con chi ha alle spalle un unico mandato per 5 anni (o meglio sarebbe dire 4 anni, 6 mesi ed un giorno) che riceverà comunque un assegno netto mensile di 1.100 euro. Praticamente quasi quanto riceve chi ha versato contributi per oltre 30 anni. Superfluo aggiungere altro…

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