La “terrificante” vignetta di Natangelo su Pirozzi e la vergognosa battuta di Gene Gnocchi sulla Petacci ripropongono la discussione sulla satira. Ma dare del “maiale” ad una donna uccisa 70 anni fa o rammaricarsi per la mancata morte di un “avversario” non è certo satira…
Per chi scrive il sindaco di Amatrice Pirozzi è una delle più grandi delusioni del post terremoto. Aveva sempre assicurato che non l’avrebbe mai fatto, che non mirava ad una carriera politica e alla fine, invece, si è candidato, per la precisione alla presidenza della Regione Lazio.
Una scelta che getta delle pesanti ombre sul primo cittadino amatriciano che, comunque la si voglia vedere, alla fine ha sfruttato la grande notorietà (che, di questo siamo più che certi, Pirozzi avrebbe molto volentieri evitato…) che ha acquisito a causa del terremoto. Però non possiamo che essere dalla sua parte e non possiamo che condividere il suo sdegno per l’invereconda vignetta di Natangelo che già in passato si è distinto per volgarità e pessimo gusto ma che questa volta ha davvero toccato il fondo (anche se immaginiamo che qualcuno ora ritirerà fuori il “pippotto” sulla satira). Quasi non servirebbe, invece, sottolineare quanto profondo e assoluto sia il nostro antifascismo, quanto puerili e insopportabili riteniamo tutte le “bufale” del genere “quando c’era lui” che da qualche tempo “ignoranti” (nel senso di mancanza di conoscenza) e “boccaloni” fanno circolare sui social, per non parlare di quanto patetici e anti storici siano i surreali tentativi di riabilitazione postuma del tipo “ma ha fatto anche tante cose buone”.
Però, proprio come per Pirozzi, anche noi siamo indignati e schifati per la vergognosa ed infausta battuta su Claretta Petacci fatta da Gene Gnocchi nel corso del programma di La7 “Dimartedì”. In questo sempre più malandato nostro paese, sembra davvero che non si tocchi mai il fondo. Ogni volta che ci si illude di aver toccato il punto più basso, ecco che accade qualcosa di peggiore, che sposta l’asticella ancora più in basso. Purtroppo ci siamo ormai abituati al fatto che chi la pensa in maniera differente da noi, chi è su posizioni differenti non va contrastato con argomentazioni concrete nell’ambito di un civile, per quanto spigoloso e aspro, confronto ma va aggredito, ingiuriato, insultato, senza alcuna forma di rispetto, con il solo obiettivo di demolirlo e screditarlo sotto ogni punto di vista.
Però in questo irrefrenabile delirio credevamo che almeno fosse rimasto un briciolo di umanità, di dignità e di coscienza in grado quanto meno di mantenere un paio di imprescindibili paletti, come l’assoluto rispetto nei confronti dei morti e nei confronti di vicende altamente tragiche. Invece anche questo minino barlume di civile umanità sembra essere caduta. Quel che più che ci indigna e ci sconcerta è che di fronte a certe “sconcezze” un paese civile reagirebbe in maniera univoca e compatta. Invece anche in questi casi ci si schiera secondo appartenenza, secondo le simpatie, cercando di giustificare l’ingiustificabile nel sacro nome della satira.
Ma, è bene dirlo con chiarezza e senza esitazioni, dare del maiale ad una donna morta (uccisa) 70 anni fa o fare battute e vignette su una tragedia che ha provocato oltre 200 vittime non può in alcun modo essere considerato satira. E’ semplicemente un’indecenza, una vergognosa caduta di stile che squalifica chi ne è responsabile.
Ci piacerebbe davvero capire cosa sia passato per la testa a Gene Gnocchi martedì scorso mentre pronunciava quell’infausta battuta riferita alle foto sullo scandalo rifiuti postate nei giorni scorsi da Giorgia Meloni, nelle quali si vede un maiale tra i cassonetti dei rifiuti nel quartiere della Romanina. “E’ un maiale femmina. Si chiama Claretta Petacci” ha detto il comico. Per i pochi che non lo sapessero, Claretta Petacci era l’amante di Benito Mussolini, uccisa insieme al Duce dai partigiani.
Non che abbia una qualche importanza, perché anche in caso contrario non cambierebbe nulla, ma la Petacci non si è macchiata di chissà quali efferati crimini, ha avuto il solo “torto” di aver amato Mussolini. E proprio questo suo profondo amore le è costato la vita ed una fine cruenta. Non bisogna certo essere dei nostalgici fascisti per indignarsi di fronte ad una simile sconcezza, se non si comprende quanto vergognosa sia una simile battuta, per altro completamente priva di qualsiasi significato, allora vuol dire che si è perso ogni barlume di buon senso, di dignità.
Apprezziamo Gene Gnocchi, questa volta ha sbagliato ma di molto e avrebbe fatto bene quanto meno a scusarsi per la pessima battuta. Ci sarebbe, poi, da parlare di tutto il contorno a questa brutta vicenda, semplicemente paradossale e imbarazzante, tra chi approfitta della caduta di stile del comico emiliano per rispolverare nostalgie fuori tempo e il surreale intervento di Virginia Raggi per spiegarci a chi apparteneva il maiale della foto (ai Casamonica), come se di fronte alla vergogna e all’indecenza di quel cumulo di rifiuti in strada l’unica cosa importante fosse capire a chi appartenesse il suino… Neppure il tempo di provare quanto meno ad assorbire questo ennesimo squallido capitolo che puntuale arriva qualcosa se possibile ancora più imbarazzante e squallido, l’insulsa vignetta di Natangelo su Pirozzi e la sua affermazione sulle cose buone che avrebbe fatto Mussolini.
Si può pensare tutto il peggio possibile su quella dichiarazione che, per altro, riteniamo che il sindaco di Amatrice ha forzato esclusivamente per accaparrarsi ancor più le simpatie della destra estrema. E’ più che legittimo criticare anche con veemenza le dichiarazioni di Pirozzi, si può farlo in diversi modi e con diversi mezzi senza, però, dover sprofondare così in basso come ha fatto il vignettista del “Fatto Quotidiano” che non solo ha messo in mezzo l’immane tragedia del terremoto (costata ad Amatrice 229 morti) ma, in pratica, ha augurato la morte del primo cittadino amatriciano.
Nell’insulsa e vereconda vignetta, dal titolo “Il sindaco di Amatrice riabilita Mussolini” si legge la dichiarazione incriminata di Pirozzi (“comunque il duce ha fatto tante cose buone”) e sotto c’è la morte, con tanto di fascia stile sindaco con la scritta “terremoto”, che esclama: “eccallà, ma guarda te se proprio il fascista dovevo scordarmi”. Il chiaro e ignobile riferimento alle vittime di quella tragedia inorridisce, l’idea che ci si rammarichi che in quella stessa tragedia non sia morto l’autore di quella dichiarazione (per quanto sbagliata la si possa ritenere) è a dir poco terrificante. Non è certo la prima volta che una vignetta di Natangelo fa discutere e suscita indignazione, qualche settimana fa al centro delle critiche erano finite quelle sulla Boschi, il “Cosciometro”, che persino acerrimi rivali della sottosegretaria avevano definito “sessiste, volgari e penose”.
Meglio sorvolare, poi, sulle reazioni che si sono scatenate dopo la pubblicazione di quella insulsa vignetta, con Natangelo che, di fronte alle legittime e più che condivisibili critiche di Pirozzi, è se possibile caduto ancora più in basso. Uno squallore unico, davvero c’è poco altro da aggiungere. Se non sottolineare che è del tutto fuori luogo provare a giustificare queste due “sconcezze” appellandosi alla satira che è ben altra cosa.
“La satira è quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene” sancisce una pronuncia della Corte di Cassazione. “La satira è un bisogno profondo dell’anima e dell’intelletto, serve per far riflettere, deve spingere a riflettere su qualcosa, per questo deve essere dissacrante e pessimista” spiegava tempo fa Mario Cardinali, direttore del “Vernacoliere”.
Non bisogna certo essere dei geni per comprendere che definire “maiale” una donna uccisa 70 anni fa non suscita alcun sorriso né tanto meno induce a riflettere, così come non ci può essere alcun “esito finale di carattere etico” e non c’è nulla di dissacrante nel rammaricarsi per la mancata morte di qualcuno. Non ci sono e non possono esserci appigli di fronte a simili indecenze.