Dopo i 1.500 euro per lo stalking e l’assoluzione di un uomo dall’accusa di violenza sessuale perché la vittima “aveva detto solamente basta senza urlare”, nuova sentenza shock al tribunale di Torino: niente reato di maltrattamento se le aggressioni non sono continue
Era finita al pronto soccorso più volte negli ultimi anni. Una volta si era presentata con una costola rotta, la volta successiva con il setto nasale fratturato, poi quasi sempre con ferite ed ecchimosi evidentemente originate da percosse. Però per il giudice della quinta sezione penale del tribunale di Torino le 9 volte che quella donna è finita in ospedale, in 8 anni, non sono sufficienti per configurare il reato di maltrattamenti in famiglia.
Ancora una volta il tribunale del capoluogo piemontese ci regala l’ennesima “perla” in materia. Qualche mese fa proprio una sentenza del tribunale di Torino aveva costretto il ministero a rivedere le norme e i casi di applicazione della cosiddetta giustizia riparativa. Il giudice dell’udienza preliminare l’aveva, infatti, applicata in un caso molto delicato di stalking, con un 39enne che aveva perseguito e minacciato a lungo una 24enne astigiana che se l’era cavata pagando alla vittima un risarcimento “offensivo”, di appena 1.500 euro. Pochi mesi prima il giudice Diamante Minucci aveva assolto un uomo accusato di violenza sessuale perché la vittima non aveva urlato, “ha detto solamente basta ma non ha urlato” si legge nelle sconcertanti motivazioni della sentenza.
Questa volta a firmare l’ennesima sconcertante pagina giudiziaria è addirittura un giudice donna secondo cui se le aggressioni non sono frequenti e continue non c’è il reato di maltrattamenti in famiglia. Già, ma 9 volte al pronto soccorso in 8 anni possono essere considerate “non frequenti e continue”? Probabilmente se la vittima fosse finita anche altre volte, oltre quelle 9, in ospedale magari invece del reato di maltrattamenti si starebbe discutendo di quello di omicidio. Il pm aveva chiesto più di 3 anni di reclusione, supportando la propria richiesta con una serie impressionante di certificati medici che documentavano le aggressioni dell’uomo, un disoccupato di 41 anni di Collegno, che secondo il legale della vittima avrebbero causato “uno stato di prostrazione fisico e morale”.
“Dall’esame della persona offesa non è emersa una situazione tale da cagionare un disagio continuo e incompatibile con le normali condizioni di vita” scrive il giudice che evidenzia anche che “la teste ha ricollegato genericamente gli episodi ad una lite ma, a parte l’ultimo, non è stata in grado di fornire una descrizione dettagliata”. Ma certo, se le percosse dell’uomo non hanno cagionato, come sostiene il giudice, “un disagio continuo” (quindi significa che hanno comunque cagionato in diversi momenti disagio…) allora sono accettabili e consentono comunque, almeno a giorni alterni, anche di avere normali condizioni di vita. E, poi, la vittima è davvero una sprovveduta, durante quegli episodi invece di preoccuparsi eventualmente di difendersi doveva essere più attenta e concentrata in modo da poter fornire poi una descrizione dettagliata e precisa di quanto le stava accadendo.
Strano che il giudice non abbia invece evidenziato che la vittima è addirittura colpevole di non essersi neppure preoccupata di riprendere con il telefonino ciò che stava accadendo… Lo ammettiamo, siamo estremamente pignoli e probabilmente anche un po’ esagerati. Però per noi anche un unico episodio che è certamente riconducibile ad una lite e alle sue conseguenze violente (come scrive il giudice nelle motivazioni) sarebbe ampiamente sufficiente per configurare il reato di maltrattamenti. Saremmo, però, curiosi di sapere secondo il giudice quante volte una donna deve essere picchiata per far si che si possa configurare quel genere di reato e anche in che intervallo di tempo. Magari siamo poco informati, ma ignoravamo che a fine di ogni anno si azzera tutto e si riparte da zero… Naturalmente resta inteso che nessuno vorrebbe che un innocente paghi per cose che non ha commesso.
Ma a leggere certe sentenze, ad approfondire certe motivazioni c’è da rimanere inorriditi. Le persecuzioni e le minacce non possono certo essere cancellate dal pagamento di una sanzione (men che mai di 1.500 euro, fermo restando che le conseguenze, le umiliazioni e i danni provocati dallo stalking non sono così facilmente quantificabili), una violenza sessuale non può in alcun modo essere giustificata dal fatto di non aver urlato (dire solo “basta” o “non voglio” non è sufficiente, notoriamente è risaputo che quando una donna dice no in realtà vorrebbe dire si…), è sufficiente subire percosse una volta per parlare di maltrattamenti.
Dovrebbero essere concetti indiscutibili e non opinabili, invece alcune sentenze che arrivano, chissà perché, tutte dal tribunale di Torino rimettono incredibilmente in discussione. Di fronte a simili “indecenze” diventa persino inutile promuovere battaglie di civiltà a tutela delle donne, non serve a nulla quando basta così poco per giustificare ciò che invece dovrebbe essere ingiustificabile.
Quel che è peggio è che in un paese preso a discutere di facezie e ridicole idiozie (come le buste per frutta e verdura), certe sentenze e certe aberrazioni finiscono per passare sotto silenzio, quasi come fossero la normalità