“E’ stato morto un ragazzo”


Il 25 settembre di 12 anni fa il 18enne ferrarese Federico Aldrovandi veniva ucciso da 4 poliziotti, poi condannati a 3 anni e 6 mesi di reclusione per “eccesso colposo dell’uso legittimo delle armi”. In un altro procedimento 3 poliziotti sono stati condannati per depistaggio

Chi ha avuto la forza di vedere “E’ stato morto un ragazzo”, il film documentario di Filippo Vendemmiati che ricostruisce la tragica storia di Federico Aldrovandi e la coraggiosa ricerca da parte dei genitori del ragazzo della verità non può in qualche modo non sentirsi legato al ragazzo ferrarese e alla sua famiglia.

Sono pas­sa­ti 12 anni da quan­do, la mat­ti­na del 25 set­tem­bre, Fe­de­ri­co ven­ne uc­ci­so a cal­ci, pu­gni, man­ga­nel­la­te da 4 po­li­ziot­ti (Pao­lo For­la­ni, Mo­ni­ca Se­gat­to, Enzo Pon­ta­ni, Luca Pol­la­stri). Chi lo co­no­sce­va lo ha sem­pre de­scrit­to come un ra­gaz­zo tran­quil­lo, al­le­gro, di si­cu­ro non un sog­get­to pe­ri­co­lo­so. Gli ami­ci che quel­la mat­ti­na lo la­scia­ro­no a po­che cen­ti­na­ia di me­tri da casa, dopo una se­ra­ta tra­scor­sa al Link di Bo­lo­gna, sono con­cor­di nel dire che era se­re­no e tran­quil­lo.

Dal­le ana­li­si suc­ces­si­ve ri­sul­tò che nel­la not­te ave­va as­sun­to so­stan­ze stu­pe­fa­cen­ti ma in mo­di­ca quan­ti­tà. E di cer­to Fe­de­ri­co non era un dro­ga­to e tan­to meno un sog­get­to pe­ri­co­lo­so. Cosa ac­cad­de quel­la mat­ti­na, come tut­to sia ini­zia­to è dif­fi­ci­le da ri­co­strui­re. Quel­lo che è cer­to, pur­trop­po, come tut­to sia tra­gi­ca­men­te fi­ni­to, con la mor­te di Fe­de­ri­co per asfis­sia da po­si­zio­ne (to­ra­ce schiac­cia­to sul­l’a­sfal­to dal­le gi­noc­chia de­gli agen­ti)  e il cor­po del po­ve­ro ra­gaz­zo sfre­gia­to da 54 le­sio­ni ed echi­mo­si.

Con un ca­stel­lo di men­zo­gne e omis­sio­ni, co­strui­to an­che con il sup­por­to di al­cu­ni col­le­ghi, gli agen­ti che poi ver­ran­no con­dan­na­ti in via de­fi­ni­ti­va a 3 anni e 6 mesi di re­clu­sio­ne per “ec­ces­so col­po­so nel­l’u­so le­git­ti­mo del­le armi”, so­sten­ne­ro di es­se­re in­ter­ve­nu­ti per “fer­ma­re un ra­gaz­zo che si sta­va fa­cen­do male” ( e per aiu­tar­lo a non far­si male l’han­no am­maz­za­to…), ci­tan­do an­che una chia­ma­ta in Que­stu­ra che, però, poi si sco­pri­rà es­se­re sta­ta fat­ta da al­cu­ni re­si­den­ti del luo­go al­lar­ma­ti dal­le gri­da che ar­ri­va­va­no dal­la stra­da quan­do già la tra­ge­dia era in atto.

Ai ge­ni­to­ri di Fe­de­ri­co, che fu­ro­no av­vi­sa­ti solo 5 ore dopo l’ac­ca­du­to, fu det­to che il ra­gaz­zo era mor­to per un ma­lo­re, ma tut­te quel­le le­sio­ni ed echi­mo­si sul suo cor­po re­se­ro da su­bi­to im­pro­po­ni­bi­le la ri­co­stru­zio­ne. Solo gra­zie alla te­na­cia e alla for­za del­la ma­dre (so­prat­tut­to) e de­gli ami­ci di Fe­de­ri­co si è riu­sci­ti a fare un po’ di chia­rez­za, fino ad ar­ri­va­re al pro­ces­so e alle con­dan­ne. In un al­tro pro­ce­di­men­to, poi, 3 po­li­ziot­ti sono sta­ti con­dan­na­ti per de­pi­stag­gio, men­tre un quar­to agen­te (che non ha ac­cet­ta­to il rito ab­bre­via­to) è andato a giudizio.

No­no­stan­te tut­to la me­mo­ria di Fe­de­ri­co e l’im­men­so do­lo­re dei ge­ni­to­ri con­ti­nua­no ad es­se­re in­sul­ta­ti ed ol­trag­gia­ti. Ba­ste­reb­be pen­sa­re che tre dei quat­tro po­li­ziot­ti con­dan­na­ti han­no re­go­lar­men­te ri­pre­so ser­vi­zio, sia pure in uf­fi­ci am­mi­ni­stra­ti­vi, men­tre da anni il pre­si­den­te del sin­da­ca­to di po­li­zia Sap Gianni Tonelli, sta con­du­cen­do una ver­go­gno­sa cam­pa­gna, con la de­li­ran­te mo­ti­va­zio­ne che “le vere vit­ti­me del caso Al­dro­van­di sono i 4 po­li­ziot­ti”.

Un rap­pre­sen­tan­te del­la leg­ge, un uomo del­le for­ze del­l’or­di­ne per il qua­le la leg­ge non con­ta,  che ritiene ciò che è san­ci­to da tre gra­di di giu­di­zio sol­tan­to un op­tio­nal. Ba­ste­reb­be que­sto per ca­pi­re la gra­vi­tà del­la si­tua­zio­ne, il com­por­ta­men­to in­qua­li­fi­ca­bi­le di una par­te, si­cu­ra­men­te mi­ni­ma, dei rap­pre­sen­tan­ti del­le for­ze del­l’or­di­ne che mina la cre­di­bi­li­tà, la fi­du­cia che i cit­ta­di­ni do­vreb­be­ro ri­por­re nel­le for­ze del­l’or­di­ne stes­se, la cui mag­gio­ran­za è si­cu­ra­men­te com­po­sta da agen­ti e fun­zio­na­ri im­pec­ca­bi­li, che svol­go­no il loro la­vo­ro nel mi­glio­re dei modi. Però an­che e so­prat­tut­to loro do­vreb­be­ro ri­flet­te­re, ad esem­pio sul per­ché il caso Al­dro­van­di dopo 12 anni con­ti­nua ad es­se­re così di at­tua­li­tà.

Un­di­ci anni fa, una sera men­tre tor­na­va a casa fu fer­ma­to e poi col­pi­to, di nuo­vo col­pi­to, di nuo­vo e an­co­ra col­pi­to ste­so a ter­ra fino alla mor­te Fe­de­ri­co Al­dro­van­di – scri­veva lo scorso anno, il giorno dell’undicesimo anniversario, la de­pu­ta­ta del Pd Giu­dit­ta Pini sul pro­prio pro­fi­lo fa­ce­book per ri­cor­da­re Fe­de­ri­co – quel­la sera in via del­l’ip­po­dro­mo ci po­te­vo es­se­re io, ci po­te­vi es­se­re tu. Un­di­ci anni, ma sem­bra ieri. Oggi un pen­sie­ro va alla mam­ma, al papà e al fra­tel­lo di Fe­de­ri­co che in tut­ti que­sti anni non han­no mai smes­so di lot­ta­re per la ve­ri­tà e per la giu­sti­zia. Per­ché cose così non de­vo­no più suc­ce­de­re”.

Un post che, di fat­to, è an­che una ri­spo­sta alla no­stra do­man­da. E’ tri­ste am­met­ter­lo,  ma i fat­ti e le vi­cen­de di que­sti anni di­mo­stra­no che, in ef­fet­ti, al po­sto di Fe­de­ri­co ci po­te­va es­se­re chiun­que.  E che cose così, pur­trop­po, sono sem­pre suc­ces­se e con­ti­nua­no a suc­ce­de­re. Basterebbe pensare ai casi di Stefano Cucchi, Marcello Lonzi. Riccardo Rasman, Aldo Bianzino, Giuseppe Uva, Gabriele Sandri, Riccardo Magherini.

A 12 anni di distanza il nostro, oltre ad essere il doveroso e sincero omaggio a quel povero ragazzo e alla sua straordinaria famiglia che ha avuto la forza di lottare per vedere quanto meno riconosciuta la verità, non vuole essere in alcun modo un atto di accusa nei confronti degli uomini e delle donne delle forze dell’ordine quanto, piuttosto, un appello rivolto ai tantissimi di loro, di certo la stragrande maggioranza, che portano la divisa con estremo onore.

Perché quelle vicende, la “mano leggera” nei confronti di chi si è macchiato di un così grave crimine, le inaccettabili esternazioni e la vergognosa posizione di chi (come il presidente del Sap) alla fine fanno del male e si ritorcono proprio nei confronti della grande maggioranza “sana” delle forze dell’ordine che, proprio in virtù di queste vicende, rischia di perdere credibilità e rispetto da parte della popolazione

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