Università: scioperano i professori, pagano gli studenti


Protestano i movimenti studenteschi che ritengono quello dei professori universitari uno “sciopero corporativo” che non si preoccupa dei veri problemi dell’Università e che rischia di provocare grossi problemi agli studenti stessi

Per i corridoi della facoltà e nei pressi delle aule dove si tengono gli appelli c’è il tradizionale assembramento di studenti, più o meno pronti a sostenere gli esami. Che, però, nella quasi totalità dei casi non si svolgono causa sciopero dei professori universitari. E’ accaduto ieri (mercoledì 13 settembre) all’Università di Teramo.

Ma la stessa scena praticamente si è ripetuta in tutte le Università, quelle delle Marche e del resto del paese. Secondo quanto sostiene il professor Carlo Ferraro del Politecnico di Torino, fondatore del Movimento per la Dignità della Docenza universitaria, sono 5444 i professori e ricercatori universitari di 79 Università ed Enti di ricerca italiani che si sono astenuti dall’effettuare gli esami di profitto nell’attuale sessione autunnale, dal 28 agosto al 31 ottobre. “Lo sciopero – si legge in una nota del Movimento – ha lo scopo di ottenere un provvedimento di legge nel quale le classi e gli scatti stipendiali dei professori, dei ricercatori universitari e dei ricercatori degli enti di ricerca italiani, aventi pari stato giuridico, bloccati nel quinquennio 2011-2015, vengano sbloccati a partire dal 1 gennaio 2015 anziché come è attualmente a partire dal 1 gennaio 2016”.

Nel 2011 il governo Berlusconi bloccò tutte le progressioni di carriera per il pubblico impiego – aggiunge Antonio Mussino professore di Statistica alla Sapienza di Roma –  non solo gli stipendi, ma anche gli scatti e l’adeguamento all’inflazione. Il blocco è stato tolto dal governo Renzi nel 2015, a tutti tranne che ai docenti universitari. Dopo una prima protesta, dal 2016 è stato eliminato anche per noi, ma senza ripristinare l’anzianità giuridica. Cinque anni scomparsi nel nulla, che penalizzano soprattutto i colleghi più giovani. Vogliamo che ci vengano riconosciuti, ma anche che l’opinione pubblica percepisca il malessere dell’intero sistema dell’università”.

L’opinione pubblica in realtà, almeno quella interessata alle sorti dell’Università, il malessere dell’intero sistema lo percepisce e lo  denuncia da tempo, quasi sempre inascoltata, senza avere mai avuto l’appoggio dei professori. Che, in questi giorni, mentre montavano le polemiche e le proteste degli studenti (che sono i più penalizzati dallo sciopero), hanno più volte cercato di allargare il discorso, di far passare il concetto che la protesta non è solo una “pur legittima rivendicazione salariale” ma un grido di accusa che riguarda l’intera esperienza e valenza dell’università pubblica, per denunciare un vero e proprio attacco al sistema formativo pubblico, per gridare che “un Paese che taglia università e istruzione taglia sul proprio futuro”.

“I governi – si legge in una nota del Movimento – hanno violato con metodo la dignità degli studi universitari, rendendo il percorso sempre più confuso e costoso”: Tutto giusto, tutto (o quasi) pienamente condivisibile. Però, bando alle ipocrisie, si possono fare tutti i bei discorsi che si vogliano ma non si può negare la realtà, chiara ed evidente, che è sotto gli occhi di tutti. Come ha sottolineato correttamente il prof. Pasquino quello dei professori universitari è uno “sciopero corporativo”, il cui unico e principale obiettivo è economico. E, d’altra parte, non lo nasconde lo stesso Movimento che nella nota in cui annuncia lo sciopero, parla esclusivamente di questo aspetto. Poi con il passare dei giorni, con il montare della protesta, si sono moltiplicate le dichiarazioni nelle quali si parla anche dei problemi complessivi dell’Università in Italia.

Ma ciò ovviamente non toglie che è sin troppo chiaro quali siano gli obiettivi e le motivazioni della mobilitazione. Per carità, sicuramente legittimo chiedere ciò che spetta e che il governo (a detta dei professori) continua a negare. Ma, senza voler fare discorsi demagogici, davvero le retribuzioni dei professori sono l’ultimo dei problemi dell’Università italiana. Anche perché, nonostante l’ingiusto comportamento dei governi che si sono alternati in questi anni, i professori universitari italiani continuano ad essere tra i più pagati. E’ quanto risulta anche da una ricerca condotta un paio di anni fa per Routledge (casa editrice britannica che si occupa di pubblicazioni accademiche) e poi pubblicata anche da Repubblica secondo la quale gli stipendi dei professori universitari italiani sono i più alti dopo quelli di Canada e Sudafrica.

Naturalmente questo non vieta ai docenti di rivendicare un proprio diritto ma è ipocrita cercare di mascherare una protesta che ha esclusivamente fini economici con qualcosa di più alto, che coinvolge l’interesse generale. Ed ancora più ipocriti sono certi appelli rivolti agli studenti, innanzitutto perché per anni i professori stessi hanno ignorato le loro richieste di mobilitazione comune proprio contro quei problemi del sistema universitario che ora vogliono far credere di denunciare. E, poi, anche perché il loro sciopero colpisce soprattutto e rischia di procurar danni proprio agli studenti.

Siamo stati i primi – si legge in una nota dell’Unione studenti universitari – a sottolineare come vi fosse uno scientifico disegno di distruzione dell’università pubblica. Dicevamo che il taglio ai finanziamenti avrebbe portato all’abbattimento dei diritti di tutta la comunità accademica: il diritto allo studio degli studenti, i diritti dei lavoratori per tecnici amministrativi, ricercatori e professori, con il dilagare di precarietà e sfruttamento. Dicevamo che quei provvedimenti avrebbero comportato un duro attacco anche a chi già era incardinato nel sistema della docenza.

Siamo stati isolati dal resto della comunità accademica ai tempi delle proteste contro la cosiddetta legge Tremonti, abbiamo inutilmente invocato la partecipazione anche dei professori e dei ricercatori alla protesta contro la cosiddetta legge Gelmini ma il mondo accademico si è sempre tenuto fuori da ogni forma di protesta. Nonostante tutto riteniamo le rivendicazioni di questo sciopero legittime ma l’astensione dagli esami di profitto è uno strumento di protesta estremamente sbagliato. è inutile produrre un danno diretto agli studenti, che non sono utenti di un servizio, ma parte integrante della comunità accademica e principale componente, non solamente da un punto di vista prettamente numerico. Questa modalità di protesta rischia di produrre una spaccatura nell’università, invece di creare la coesione necessaria a rilanciare le rivendicazioni contro i principi delle riforme che hanno ridotto l’università allo stato disastroso di oggi”.

In altre parole l’associazione degli studenti evidenzia (a nostro avviso pienamente a ragione) come in realtà lo sciopero si ponga un obiettivo alquanto limitato  e assolutamente corporativo, mettendo nel dimenticatoio tutti gli altri problemi che stanno portando alla disintegrazione del sistema universitario italiano e alla dissoluzione della sua funzione politica e sociale. E come quello sciopero alla fine più che il governo colpisce gli studenti stessi, procurando ad alcuni di loro solo un piccolo disagio ma rischiando di creare gravi problemi (di diverso tipo) ad altri.

Se, infatti, è vero che l’astensione può riguardare solo il primo degli appelli fissati tra fine agosto e ottobre e che i docenti che avessero fissato un solo appello, sono tenuti a richiedere un appello straordinario nei 14 giorni successivi, è comunque innegabile che anche così le conseguenze per diversi studenti potrebbero essere molto pesanti. Perché se per molti si tratterà solamente di aspettare l’appello successivo, per altri il posticipo potrebbe creare gravi inconvenienti per la laurea e per la frequenza di università straniere nelle quali i corsi sono già cominciati.

Non solo, considerando che metà-fine settembre solitamente è il periodo in cui si presentano le domande per accedere alle borse studio (per esenzione o riduzione tasse e altri servizi universitari) e che, dal secondo anno in poi, il beneficio è legato non solo al reddito ma anche al merito, gli appelli in questi giorni potrebbero risultare determinanti per molti studenti per raggiungere il numero di crediti necessario richiesto tra i requisiti per poter accedere alle borse di studio stesse.

C’è, poi, da aggiungere che identico discorso vale per la nuova norma che prevede l’esenzione dalle tasse per gli studenti del cratere, anche in questo caso dal secondo anno in poi conta anche il merito e l’esame in questo periodo potrebbe risultare decisivo. Evidente, quindi, il danno che si rischia di procurare agli studenti (soprattutto quelli che hanno maggiori problemi economici), così come è evidente che una simile astensione in altro momento dell’anno, pur sollevando le stesse perplessità, di certo avrebbe procurato molti meno danni.

C’è da aggiungere che anche la gestione da parte dei professori e delle università stesse della mobilitazione lascia molto a desiderare ed è ancora una volta pesantemente penalizzante per gli studenti. Considerando che in questo periodo le lezioni non sono ancora riprese, la maggior parte degli studenti che si recano in facoltà per sostenere gli esami sono pendolari. Allora si potrebbe quanto meno evitare loro di fare un viaggio a vuoto, pubblicando sul sito internet l’elenco dei professori che aderiscono allo sciopero e che, quindi, non terranno il primo appello. Elenco che in via ufficiosa circola nei gruppi e nei siti degli studenti ma che, ovviamente, non può essere preso per definitivo e certo.

Purtroppo la maggior parte delle università neppure se lo pongono il problema e nel proprio sito praticamente fingono di ignorare lo sciopero. E chi invece se ne occupa non fornisce comunque indicazioni particolarmente utili agli studenti. “Il sito di Ateneo e i siti dei vari Dipartimenti daranno, per quanto possibile e limitando al minimo i disservizi, tempestive informazioni al riguardo” si legge nell’home page dell’Università di Macerata. Dove, però, poi di informazioni al riguardo non se ne trovano altre. Non lascia alcuna possibilità , invece, l’Università di Teramo che sul proprio sito internet scrive che “lo sciopero potrà essere verificato solo nel giorno fissato per l’appello”. In altre parole gli studenti che vengono da fuori sono comunque costretti a fare il viaggio a vuoto…

E’ chiaro che alla luce di tutto ciò è davvero difficile non sollevare grosse perplessità su come i professori universitari stanno portando avanti la loro mobilitazione. “Non sarebbe stato preferibile per professori, che pure dovrebbero saperne di più, escogitare nuove forme di lotta ? – afferma il prof. Pasquino – Da tempo molti sostengono che lo sciopero è superato, peggio, che colpisce i ceti più deboli che sostanzialmente sono gli utenti dei servizi pubblici (e l’Università è un servizio pubblico), raramente apportando vantaggi alla collettività. E’ troppo chiedere che i professori universitari ragionino anche, meglio se soprattutto, in termini di miglioramento complessivo del servizio che offrono agli studenti e per esteso alla società italiana?” .

Evidentemente si, i fatti di tutti questi anni dimostrano che i professori universitari, che hanno sempre evitato di scendere in piazza per battaglie di più ampio raggio, si sono mobilitati ora solo per difendere il proprio orticello. Che, per altro, come abbiamo visto non se la passa neppure troppo male…

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