Dopo la mancata adesione del Comune allo Sprar, l’intesa che prevede un limite all’assegnazione dei rifugiati, la Prefettura ha scelto le 9 associazioni e cooperative che accoglieranno 596 rifugiati, dividendosi complessivamente oltre 11 milioni di euro
Quasi 7 milioni e mezzo in un anno, oltre 11 milioni di euro per tutta la durata dell’accordo. Sono le cifre del giro di affari (è davvero brutto definire in tal modo un procedimento che riguarda non beni di vario tipo ma l’accoglienza delle persone ma, purtroppo, è la definizione adatta) generato ad Ascoli dall’accoglienza dei richiedenti.
La polemica in proposito era esplosa durante l’estate quando, grazie alla denuncia dell’attivista politico ascolano Feliziano Ballatori, era emerso come il Comune di Ascoli non aveva aderito allo Sprar, l’intesa con il ministero dell’Interno che avrebbe permesso di porre un limite massimo al numero di immigrati d 1° livello. Aderendo allo Sprar ad Ascoli ne potevano essere assegnati 161, numero aumentabile in caso di necessità del 25% (quindi non oltre 201), con il Comune che avrebbe dovuto presentare un progetto il cui costo fino al 95% sarebbe stato a carico dello Sprar, con la gestione diretta o tramite bando ad una cooperativa.
“Non aderendo allo Sprar – accusava Ballatori allora – la condizione del Comune potrebbe cambiare, i 280 ospiti attuali potrebbero aumentare in caso di necessità e le principali cooperative che gestiscono gli immigrati potrebbero vedere aumentare sensibilmente i loro introiti. Da una stima il giro di affari presunto è di 4 milioni di euro”. Praticamente inevitabile, di fronte ad una simile situazione, non pensar male (come diceva sempre Andreotti “a pensar male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca”…) visto che, da un punto di vista strettamente economico, la differenza tra aderire o no allo Sprar è molto semplice: in caso di adesione i fondi per l’accoglienza degli immigrati di primo livello vanno al Comune, nel secondo caso alle cooperative e alle associazioni.
Ancor più ora che gli atti ufficiali evidenziano come il giro di affari è decisamente più sostanzioso, praticamente quasi tre volte di più della cifra ipotizzata. A fine agosto è, infatti, arrivato il decreto della Prefettura di Ascoli di aggiudicazione della gara di accoglienza, con la contestuale distribuzione dei rifugiati tra le 9 associazioni e cooperative che hanno partecipato al bando e la rispettiva tariffa giornaliera (da un minimo di 34 ad un massimo di 35,12 euro al giorno). Complessivamente sono 596 i rifugiati da accogliere per il periodo previsto dal bando che va dal 1 luglio 2017 al 31 dicembre 2018.
Complessivamente 548 giorni che, moltiplicati per i 596 rifugiati e per le rispettive tariffe giornaliere, determinano un costo complessivo di oltre 11 milioni di euro (11.334.607 euro per la precisione). In realtà il dato non dovrebbe stupire più di tanto perché nel bando e nel disciplinare di gara l’importo stimato dell’accordo, calcolato però sulla base di 640 rifugiati, era di quasi 12 milioni e mezzo di euro (4.136.908,80 euro per il periodo luglio –dicembre 2017, 8.206.368 per il 2018). Naturalmente, è giusto sottolinearlo, ciò non vuol dire che alla fine quello sarà davvero il costo complessivo dell’operazione, non è assolutamente scontato che concretamente arriveranno tutti e 596 rifugiati assegnati al territorio e tanto meno che resteranno per tutti i 548 giorni.
In ogni caso, però, è evidente che è una cifra assolutamente importante che finirà nelle casse di cooperative e associazioni (invece che in quelle del Comune). Il maggior numero di rifugiati (vedi tabella nella foto) è stato assegnato al Gus, 245, con tariffa giornaliera di 34,63 euro e un contributo complessivo di oltre 4 milioni e mezzo. Dietro al Gus la cooperativa Viva che ha ottenuto 105 rifugiati, con tariffa giornaliera di 35,12 euro ed un contributo complessivo di oltre 2 milioni di euro. Proprio la cooperativa Viva, all’epoca della pubblicazione del bando, era finita nel mirino dopo che il presidente di Giocamondo (la cooperativa ascolana che gestiva il centro di accoglienza di Carpineto, al centro nei mesi scorsi di violente polemiche per un durissimo articolo di denuncia pubblicato da Melting Pot) Stefano De Angelis aveva pubblicamente negato ogni possibile vicinanza tra le due cooperative.
Peccato, però, che le successive visure camerali avevano evidenziato che il presidente della cooperativa Viva altri non era che lo stesso De Angelis, con il vicepresidente che era una delle consigliere di Giocamondo, senza dimentica le tre donne consigliere di entrambe le cooperative. In pratica, almeno per quanto riguarda i vertici, non c’era alcuna differenza tra le due cooperative. Tornando alle polemiche susseguenti al bando, il sindaco Castelli, in un intervista ad un quotidiano locale, aveva provato a giustificare quella discutibile scelta con motivazioni francamente risibili.
Con una buona dose della solita demagogia, aveva messo in mezzo ancora una volta il terremoto (buono da usare per ogni situazione anche se non c’entra evidentemente nulla), poi aveva parlato di motivazione politica. “La nostra amministrazione non si riconosce in quello che lo stesso ministro dell’interno Minniti ha definito l’estremismo umanitario che tra trasformando l’Italia in una specie di Hotspot dell’Europa” aveva affermato il primo cittadino. Che, in pratica, per far “dispetto” al ministro e alla sua politica in tema di accoglienza, preferisce triplicare il numero di rifugiati da accogliere in città…
Complimenti davvero, sembra la famosa storiella del marito che se lo taglia per far dispetto alla moglie… Probabilmente rendendosi conto di quanto una simile giustificazione fosse improponibile, nel proseguo dell’articolo il sindaco provava comunque a smontare lo Sprar, sostenendo che non fissa un limite ben preciso sugli arrivi (è vero, il numero massimo può essere aumentato per necessità ma solo fino ad un massimo del 25%, quindi nel caso del nostro territori fino ad un massimo di 201 che resta sempre tre volte inferiore a 596…) e che sostanzialmente serve a poco e che tutti ne parlano ma senza sapere cosa realmente sia.
Di certo, bisogna dargliene atto, il primo cittadino sicuramente sa bene di cosa si tratta e lo sa da tempo, almeno dal 12 ottobre 2016. Cioè da quando si è svolto, nell’ambito dell’Assemblea annuale dell’Anci (l’unione dei Comuni) a Bari, un convegno dedicato proprio allo Sprar. Quasi casualmente, nei giorni scorsi, ci siamo imbattuti nel resoconto dettagliato di quel convegno, con tanto di commenti e twitter di commento di vari sindaci. E, con una certa sorpresa, abbiamo scoperto che allora il sindaco Castelli non sembrava pensar così male dello Sprar, anzi.
Secondo quanto è riportato in quel resoconto, al termine del convegno i sindaci avevano sottoscritto all’unanimità (Castelli era presente, quindi…) un documento nel quale, tra le altre cose, si affermava che “il nostro sistema è il migliore sistema di accoglienza che trova nella rete Sprar il modello ideale da seguire”. Non solo, nel corso del convegno i sindaci intervenuti si erano unanimente pronunciati sulla grande importanza del nuovo accordo, sui suoi benefici, sui suoi indiscutibili vantaggi e, sempre nel corso del convegno, erano state anche presentate alcune esperienze di Sprar assolutamente molto soddisfacenti. Come quella del Comune di Verona, guidato allora dal leghista Stefano Tosi, uno che non può certo essere accostato alle posizioni del governo in tema di accoglienza.
Ma il primo cittadino ascolano nel corso di quel convegno si era espresso, prima con un tweet riportato sulla pagina della Rete Sprar (“Il governo deve dotare i Comuni di strumenti di solidarietà finanziaria per l’accoglienza”), poi con un intervento nel quale, però, in alcun modo aveva espresso la sua contrarietà dettata da una motivazione politica. Anzi, secondo quanto si legge, a proposito dello Sprar aveva sostenuto che “il miglioramento della cornice istituzionale entro la quale i Comuni sono chiamati ad operare rappresenta un elemento decisivo per qualificare l’azione della città”, chiedendo poi un impegno chiaro su questioni come i tempi di pagamento e le dotazioni di personale dei Comuni impegnati nel sistema di accoglienza.
Tutto l’opposto di quanto dichiarato in quell’intervista del 20 agosto scorso. Altro che contrarietà, quel 12 ottobre il sindaco esprimeva ben altra posizione, al punto da chiedere chiarezza su questioni fondamentali dell’accordo stesso. Per carità, tutti hanno poi il diritto di cambiare idea, di rendersi conto di aver sbagliato ad assumere una determinata posizione. In un simile contesto, però, è altrettanto evidente che è inevitabile pensare che il cambiamento di opinione del sindaco sia giustificato da oltre 11 milioni di buoni motivi…