Dall’indagine della Commissione Joe Cox, istituita alla Camera per approfondire i fenomeni di odio in Italia, emerge un quadro inquietante del nostro paese dove pregiudizi, stereotipi e false rappresentazioni generano discriminazioni, violenze fino ad arrivare a “crimini di odio”
Quasi una donna su tre tra i 16 e i 70 anni ha subito almeno una volta una violenza fisica o sessuale, quasi sempre dal partner o dall’ex partner. Più di un ragazzo su due tra gli 11 e i 17 anni ha subito almeno una volta un episodio di bullismo e quasi il 10% di loro (cioè ben 360 mila adolescenti) è oggetto di episodi di bullismo con cadenza settimanale. Quasi un italiano su due ritiene che le pratiche religiose di altri possano rappresentare un pericolo.
Poco meno di un omosessuale (gay o lesbica) su due ha subito discriminazioni a scuola, nel lavoro ma anche nella ricerca di una casa. Ancora, secondo l’indagine Ignorance Index di Ipsos Mori l’Italia risulta il paese al mondo con il più alto tasso di ignoranza sull’immigrazione (la maggioranza degli italiani è convinta che gli immigrati nel nostro paese sono più del 30% anziché l’8% come realmente sono), secondo un’indagine dell’agenzia Fra l’Italia è, nella percezione delle persone omosessuali e transessuali, il paese più omofobo nella Ue, secondo un indagine internazione PEW siamo il secondo paese più islamofobo e il quinto più antisemita.
Questo è quanto emerge dalla relazione finale della Commissione Jo Cox (dal nome della deputata inglese laburista uccisa a Leeds lo scorso anno) sull’intolleranza, la xenofobia, il razzismo nel nostro paese. Una relazione che dovrebbe far riflettere (ma è una speranza vana viste le prime reazione di alcuni organi di informazione…) perchè fotografa la situazione di un paese che è rimasto al Medioevo. La Commissione è stata istituita alla Camera nel maggio 2016 per approfondire i fenomeni di odio nel nostro paese.
Era presieduta dalla presidente della Camera Laura Boldrini e composta da un deputato per ciascun gruppo politico oltre che da rappresentanti del Consiglio d’Europa, delle Nazioni Unite, dell’Istat, di centri di ricerca e associazioni impegnate attivamente nello studio e nella sensibilizzazione sul linguaggio d’odio e da esperti. Nei 14 mesi di lavoro ha ascoltato 31 soggetti ed ha acquisito ed analizzati ben 187 documenti tra studi, ricerche, pubblicazioni monografiche, raccolte di dati, position papers.
Nella relazione finale, approvata alla Camera il 6 luglio scorso, vengono evidenziate le dimensioni, le cause e gli effetti del discorso di odio (hate speech) secondo la definizione data dal Consiglio d’Europa ( “l’istigazione, la promozione o l’incitamento alla denigrazione,all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di motivi, quali la “razza”, il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale”).
Ed il quadro che emerge è davvero preoccupante perché ci mostra un paese fortemente legato e condizionato dai pregiudizi, da vecchi stereotipi, da rappresentazioni false e fuorvianti che contribuiscono ad alimentare la violenza verbale e fisica, le discriminazioni, fino ad arrivare a veri e proprio “crimini di odio”. La relazione evidenzia come sia in preoccupante e rapida crescita l’utilizzo di linguaggio di odio che si materializza con minacce e incitamento alla denigrazione e alla violenza contro una persona o gruppi di persone identificate in base ad una qualche caratteristica come il sesso, l’orientamento sessuale, l’etnia, il colore della pelle, la religione o altro.
Linguaggio che spesso sfocia anche in atti violenza fisica, fino all’omicidio, contro quelle persone che vengono in quel modo identificate. Inoltre emerge anche come siano ancora presenti e frequenti le discriminazioni nel mondo del lavoro, nella scuola ma anche nelle relazioni sociali nei confronti di quelle categorie di persone. Dall’indagine della Commissione è emerso con assoluta chiarezza che le maggiori destinatarie di discorsi di odio sono le donne, con il 63% dei messaggi negativi rilevati che sono a loro destinati, con gli omosessuali poco sotto.
“Questi fenomeni – si legge nella relazione finale della Commissione – sono alimentati dalla rappresentazione delle donne nei media, dalla pubblicità agli spettacoli di intrattenimento, dove le donne sono spesso presenti solo come corpi più o meno denudati da esibire e guardare, o come figure di contorno (“vallette”) e raramente come veicolatrici di informazioni o opinioniste. Vi è una sola direttrice donna di un quotidiano nazionale (il Manifesto) e molte giornaliste finiscono nelle pagine di costume”. Solo il 10% dei messaggi, invece, riguarda i migranti.
Al primo posto nella classifica di intolleranza contro le donne c’è la Lombardia, seguita da Umbria e Lazio. Un dato che purtroppo non stupisce più di tanto, soprattutto se si considera il contesto ricco vecchi stereotipi e di false credenze nel quale questo sentimento di odio si sviluppa. L’italia è un paese nel quale ancora un gran numero di uomini sono rimasti legati ad una visione antica, quasi arcaica della società, nella quale l’uomo era il capofamiglia, colui che doveva badare alle necessità materiali della famiglia stessa, mentre alla donna spettava il compito di accudire i figli e il marito.
Sembra incredibile ma ancora oggi, nel 2017, è molto alta la percentuale di uomini che continua a ritenere che il posto giusto dove dovrebbe stare una donna è a casa. Praticamente uno su due (il 49,7%) ritiene che dovrebbe essere l’uomo a provvedere alle necessità economiche della famiglia e che le donne siano più adatte ad occuparsi delle faccende domestiche., mentre più di un uomo su tre (il 34,4%) ritiene che una madre occupata non possa stabilire un buon rapporto con i figli. In un simile contesto così antiquato è quasi inevitabile che si generino discriminazioni e crimini di odio.
In particolare il 36,8% delle donne dichiara di aver subito discriminazioni nell’ambiente di lavoro (contro il 6% degli uomini), dato che cresce e arriva fino al 44,4% nella ricerca del lavoro. Significativo il fatto che il 44% delle donne vittime di discriminazioni sul lavoro poi ha dovuto rinunciare al lavoro stesso. Per quanto riguarda gli atti di violenza e odio nei confronti delle donne, incluso il femminicidio, sono spesso opera di persone con cui le vittime sono in relazione amicale o affettiva, quando non all’interno della famiglia.
L’11,9% delle donne che hanno esperienza di relazione di coppia ha subito aggressioni verbali violente dal proprio partner, mentre il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito almeno una volta una violenza fisica o sessuale, per lo più da un partner o ex partner. Le italiane subiscono più violenze sessuali, le straniere più violenze fisiche di altro tipo ed anche più violenze psicologiche. Il 16,1% ha subito stalking.
Se le donne sono indiscutibilmente il principale oggetto di discorsi di odio e di discriminazioni, non molto migliore è la situazione delle persone omosessuali. Anche in questo caso non si tratta, purtroppo, di un dato inatteso e sorprendente, l’Italia è infatti il paese europeo dove un minor numero di omosessuali fa outing. L’universo di stereotipi e di false credenze sull’omosessualità in Italia sconfina in un mix tra il ridicolo e il paradossale.
Poco meno di una persona su due (il 43,1%) ritiene che i gay siano uomini effeminati, mentre il 38% che le lesbiche siano donne mascoline. Addirittura una persona su 4 (il 25%) considera l’omosessualità una malattia, mentre il 20% delle persone non accetta l’idea di avere un collega, un superiore o un amico omosessuale. Anche in questo caso un simile ampio raggio di pregiudizi finisce per generare discriminazioni (il 40,3% di persone omosessuali dichiara di averne subite) e episodi di omofobia (il 23,3% della popolazione omosessuale ha subito minacce e aggressioni fisiche, mentre il 35,5% è stato oggetto di insulti e umiliazioni).
Molto più vasta la gamma di stereotipi e false credenze che riguarda gli stranieri, con il 52,6% degli italiani che ritiene che l’aumento degli immigrati favorisce il diffondersi del terrorismo e della criminalità, mentre il 65% ritiene che siano un peso perché godono di benefits e del lavoro degli abitanti (in Germania, invece, il 59% dei tedeschi credono che gli immigrati rendono il Pese più forte con il lavoro e i loro talenti).
Inevitabile, anche in questo caso, le conseguenti discriminazioni e episodi di odio, con un peggioramento complessivo del clima sin troppo evidente. Secondo un rapporto Onu del 2014 sui diritti umani in Italia viene sempre più frequentemente utilizzata una terminologia basata sul disprezzo che legittima l’esclusione o la criminalizzazione dei migranti, specie irregolari, creando un ambiente in cui si giustifica il loro sfruttamento. Inoltre nel nostro paese i siti razzisti sul web sono aumentati in maniera molto consistente negli ultimi anni.
La relazione, poi, mette in evidenza anche un fenomeno crescente e sempre più preoccupante: l’odio tra i ragazzi, il bullismo. Poco più del 50% degli 11-17enni è stato oggetto di qualche episodio offensivo o violento da parte di altri ragazzi o ragazze, il 9,1% di loro (cioè più di 360mila ragazzi) con cadenza settimanale. Ancora più significativo e inquietante il fatto che l’82% dei ragazzi non considera grave insultare, ridicolizzare o rivolgere frasi aggressive sui social, ritenendo che le conseguenze per la vittima non siano gravi e che, poiché non si dà luogo a violenza fisica diretta, l’atto aggressivo verbale può essere considerato non grave e irrilevante.
La relazione si chiude con una serie di raccomandazioni per prevenire e contrastare l’odio. Tra queste, oltre a tutta una serie di interventi educativi e di sensibilizzazione, ci sono proposte (sanzionare penalmente le campagne d’odio, valutare, tutelando comunque la liberà di informazione su internet, la possibilità di rimuovere l’hate speech e stabilire responsabilità giuridica dei provider e delle piattaforme di social network prevedere l’istituzione di un giurì che garantisca la correttezza dell’informazione) che puntualmente scatenano proteste e discussioni perché secondo alcuni potrebbero in qualche modo limitare la libertà di espressione.
Un argomento sicuramente sensibile (anche se libertà di espressione non vuol certo dire libertà di offendere, insultare, discriminare, incitare all’odio…) che è giusto affrontare. Partendo, però, dal presupposto che il clima di intolleranza in questo paese sta diventando insostenibile, come evidenzia in maniera inequivocabile l’indagine condotta dalla Camera.