A sorpresa la Corte di Appello di Ancona ribalta la sentenza di primo grado, tutti assolti perché il “fatto non sussiste” i 7 imputati. Tutto era partito nel 2010 con un blitz dei carabinieri nella casa di accoglienza per anziani si concluse e l’arresto dei proprietari della struttura
Che la giustizia italiana non funziona, che è ridotta in condizioni pietose lo sappiamo ampiamente da diverso tempo. Ma se per caso dovessimo dimenticarcelo, ecco che c’è sempre qualche vicenda a ricordarcelo. Come la clamorosa sentenza emessa poche ore fa dalla Corte di Appello di Ancona in merito alla casa di accoglienza per anziani “La Casa di Giobbe”. Che, a sorpresa, ha completamente ribaltato la sentenza di primo grado che aveva visto 7 condanne e due assoluzioni per reati gravi come il maltrattamento di persone incapaci e lesioni.
Ora, invece, la Corte di Appello ha assolto tutti perché il “fatto non sussiste”, mettendo forse fine ad una vicenda esplosa improvvisamente nel 2010. Quando, nel corso di un blitz operato dai carabinieri nella struttura, vennero trovati gli anziani ospiti in condizioni igienico sanitarie precarie, alcuni di loro con segni sospetti sul corpo. Nel corso del blitz finirono in manette 9 persone, compresi i due proprietari della struttura, che poi finirono a processo.
Per 7 di loro il giudice del tribunale di Ascoli Marco Bartoli emise nel settembre 2015 una sentenza di condanna (da un massimo di 2 anni e 10 mesi ad un minimo di un anno e 4 mesi), riconoscendo tutti colpevoli di maltrattamenti e uno dei due proprietari anche di lesioni personali. Assolte due badanti nigeriane, acusate di aver svolto un lavoro infermieristico senza essere in possesso dei requisiti necessari, il giudice stabilì anche una provvisionale di 57.500 euro, demandando al procedimento civile l’ammontare dell’eventuale risarcimento dovuto alle vittime.
Quasi superfluo sottolineare come all’epoca quella vicenda destò grandissimo scalpore, ancor più dopo la sentenza di condanna. La struttura fu definito una sorta di lager, mentre i proprietari e gli operatori degli insensibili aguzzini. Su di loro e su tutto quanto era accaduto all’interno de “La Casa di Giobbe” in questi anni sono stati versati fiumi di inchiostro. Che, però, dopo la sentenza di oggi dovrebbero essere completamente rivisti. E’ chiaro ed è inevitabile che una simile sentenza, una simile conclusione della vicenda lascia a dir poco perplessi, fa precipitare ancora più in basso la già scarsissima credibilità del sistema giudiziario italiano.
Naturalmente con questo non vogliamo assolutamente dire che è ingiustizia la sentenza di assoluzione, non conosciamo a fondo e non abbiamo visto gli atti e non potremmo quindi esprimere alcun tipo di giudizio. Come sempre si ripete in queste circostanze le sentenze vanno applicate e rispettate, questo però non vuole certo dire che non possono essere criticate e discusse. Nello specifico, come detto, non si discute la sentenza assolutoria di oggi ma è sin troppo evidente che qualcosa non funziona e non ha funzionato in questa vicenda.
Perché ci sono delle persone che sono state addirittura arrestate, che hanno trascorso del tempo in carcere e che sono state additate come dei “mostri” per quello che si imputava loro. Ora dopo 7 anni, dopo che quelle persone hanno subito anche una condanna, la Corte di Appello di Ancona ci dice che quelle persone sono assolutamente innocenti e che non hanno commesso nulla (“il fatto non sussiste”). E’ chiaro che da qualche parte è stato commesso un gravissimo errore, oggi, sulla base dell’ultima sentenza, bisognerebbe concludere che quelle persone sono state ingiustamente esposte e, di conseguenza, bisognerebbe chiedersi chi li risarcirà per quello che hanno dovuto subire.
E’ altrettanto chiaro, però, che, fermo restando il fatto che le sentenze si applicano e si rispettano, di dubbi ne restano tantissimi. In ogni caso, comunque la si pensi, è evidente che ancora una volta la giustizia italiana ha dimostrato la sua assoluta inaffidabilità. Un problema non da poco su cui sarebbe ora che si iniziasse a riflettere.