“E’ stata una bambinata”. Così il sindaco di Pimonte etichetta lo stupro di gruppo nei confronti di una quindicenne da parte di 12 suoi coetanei. Che, dopo pochi mesi, sono già liberamente in giro per il paese, mentre la famiglia della vittima ha deciso di andarsene e tornare in Germania
Chissà se passare da “se l’è andata a cercare” a “è stata una bambinata” si può comunque considerare un leggerissimo segnale di progresso. Amara ironia a parte, dovrebbe invece essere evidente che quelle due vergognose affermazioni in realtà sono la terribile fotografia di un paese incivile, dove lo stupro, per giunta nei confronti di minorenni, viene considerato qualcosa di non così grave, da giustificare con stereotipi dal sapore medievale o, al massimo, da considerare una bravata di un gruppo di ragazzini, alla stregua di un vetro rotto con una pallonata o qualcosa di simile.
Quel che è peggio è che quel genere di commenti non sono stati ascoltati in un bar, in una piazza dei paesi coinvolti. Vengono invece dai sindaci dei luoghi dove sono avvenute queste barbarie. Nei mesi scorsi fu il sindaco di Melito di Porto Salvo a scagliarsi contro la stampa che aveva dato risalto alla vicenda e a giustificare, secondo il più bieco degli stereotipi maschili (il modo in cui si vestiva e l’intraprendenza della ragazzina), la violenza subita dal branco (9 ragazzi tra i 18 e i 30 anni) da una ragazzina, all’epoca dei fatti neppure 14enne.
Ora è il sindaco del comune napoletano di Pimonte, Michele Palummo, a tentare di ridurre lo stupro di gruppo su una ragazzina di 15 anni da parte di 12 suoi coetanei (tra cui il fidanzato) ad una semplice bravata. Lo ha fatto rispondendo alla domanda dell’inviato de “L’aria che tira” (La7) che, lo scorso 3 luglio, gli chiedeva: “uno stupro di gruppo?”. “No, nel modo più assoluto – ha risposto davanti alle telecamere il primo cittadino napoletano – piuttosto una bambinata. Ormai è acqua passata, sono tutti minorenni , cosa ti puoi aspettare”.
Per chi non conoscesse la storia, stiamo parlando di una ragazzina di 15 costretta a subire uno stupro di gruppo da 12 ragazzini, in un casolare che doveva essere utilizzato per la rappresentazione di Natale, filmata, minacciata e ricattata. Questa, secondo il sindaco di Pimonte, sarebbe la “bambinata” che è talmente “acqua passata” che la famiglia della ragazzina ha deciso di tornare in Germania (erano emigranti tornati da alcuni anni nel Napoletano) per cercare disperatamente di ritrovare un minimo di tranquillità. Senza troppi giri di parole, tra i tanti aspetti ignobilmente vergognosi di queste vicende, uno dei più sconcertanti è sicuramente che entrambi i sindaci sono tranquillamente al proprio posto.
Non hanno avuto la coscienza di dimettersi (d’altra parte se sono riusciti a fare determinate affermazioni…) e nessuno si è sentito in dovere di chiedere loro di farsi da parte, di far presente che chi è in grado di affermare simili bestialità non può rappresentare le istituzioni. Certo, il sindaco di Pimonte proprio in queste ore, forse colpito dal clamore delle sue dichiarazioni, ha cercato di fare marcia indietro, chiedendo scusa alla famiglia della vittima.
Ma la sostanza non cambia e, soprattutto, sarebbe sin troppo semplice e riduttivo liquidare il tutto con le sciagurate dichiarazioni di quei due sindaci. In entrambe le vicende quelle dichiarazioni non sono altro che l’espressione del sentimento delle due comunità, dei due paesi. Che, più che con la vittima, solidarizzano con i “carnefici”, nella migliore delle ipotesi ritenuti autori di qualcosa di poco conto (nella peggiore giustificati perché “provocati” dalla vittima), che più che interrogarsi e riflettere su quanto accaduto preferiscono scagliarsi contro la stampa, contro l’informazione che amplifica il clamore di situazioni che, ai loro occhi, non sono poi così gravi.
“Se l’è andata a cercare”, “non sa stare al posto suo”, “le vere vittime sono i ragazzi” erano i commenti più frequenti che si potevano ascoltare a Melito di Porto Salvo alcuni mesi fa, con lo sdegno e la rabbia della comunità (parroco del paese compreso) che non si riversava sugli autori dello stupro quanto sull’informazione che aveva acceso i riflettori su quella storia. “Parlate sempre di questo? Ma non avete nulla di più importante di cui occuparvi?”, “i soliti giornalisti pronti a montare un caso da quasi nulla” sono invece i commenti che si ascoltano di frequente a Pimonte, con una comunità che si preoccupa soprattutto di fare in modo che questa vicenda non comprometta il buon nome del paese.
D’altra parte, però, la volontà di quelle due comunità di derubricare tutto a qualcosa di non troppo grave trova un valido appiglio e un importante fondamento nel modo stesso in cui la giustizia ha trattato questi due casi. A Melito di Porto Salvo la maggior parte dei componenti del “branco” sono tranquillamente in giro, in attesa del processo. A Pimonte tutti i ragazzi che hanno partecipato allo stupro dopo pochi mesi (meno di un anno) sono già tornati a casa. Certo, dovranno seguire un programma di riabilitazione articolato in attività scolastica o lavorativa, oltre a sport e volontariato sociale. Poi ad ottobre 2018 dovranno tornare davanti al giudice che valuterà l’esito del percorso che hanno fatto. Però intanto hanno ripreso la loro vita di tutti i giorni, girano liberamente per il paese (e anche per questa situazione, per evitare di incontrarli che la famiglia della ragazzina ha deciso di tornare in Germania) e, al di là di qualche piccolo impegno, dopo appena pochi mesi non devono quasi più subire le conseguenze del grave reato commesso.
Probabilmente se fossero extracomunitari, un simile trattamento avrebbe provocato una reazione forte. Invece sono ragazzini italiani e, quindi, va benissimo che a loro sia riservato il trattamento che si riserva a chi ha commesso una leggerezza. Ma davvero uno stupro può essere considerato tale in un paese civile? Certamente no, però evidentemente il nostro non può essere considerato tale. D’altra parte basterebbe ricordare alcune incredibili sentenze che abbiamo dovuto leggere in questi mesi per capire quale sia la situazione.
Il giudice di Torino Diamante Minnucci, ad esempio, ha assolto un uomo dall’accusa di stupro perché la vittima ha si detto basta, lo ha implorato di fermarsi, però non ha urlato. E la Cassazione, qualche mese prima, ha considerato legittimo applicare le attenuanti se lo stupro viene commesso sotto gli effetti dell’alcol. Che, a pensarci bene, non è tanto diverso dal considerarlo “una bambinata”. Segno evidente che la strada da percorrere, almeno in questo campo, è ancora molto lunga…